SCIENZA E RICERCA
Non solo Ebola. I nuovi virus nel mondo globalizzato
Un campo medico per cercare di contenere il virus Ebola. Foto: Reuters/Ahmed Jallanzo/UNICEF/Handout via Reuters
Le prime epidemie di Ebola si diffusero nei villaggi africani in cui c’era l’usanza di baciare i corpi dei morti come gesto di affetto che li avrebbe accompagnati nella loro vita ultraterrena: un fattore di trasmissione ideale per un virus che si trasmette attraverso i fluidi corporei. Identificata nell’agosto 1976, la malattia prende il nome dalla valle dell'Ebola, nella Repubblica Democratica del Congo, dove in quell'anno si manifestò per la prima volta in forma epidemica rivelandosi da subito letale, nonostante i tempestivi interventi sanitari volti a contenerne gli effetti.
“La malattia da virus Ebola – spiegano dal dipartimento di Medicina Molecolare dell’università di Padova - è una febbre emorragica che generalmente si manifesta con sintomi gravi e un tasso di mortalità che può toccare il 90% nell’uomo e nei primati come gorilla e scimpanzé. La diffusione del virus nella popolazione umana avvenne, verosimilmente, in seguito a un primo contatto diretto con fluidi (sangue e secrezioni) e/o organi di animali infettati e, in seguito, attraverso la trasmissione interumana.
"Il tempo di incubazione – proseguono i ricercatori del Dipartimento - varia da alcuni giorni fino a tre settimane e l’esordio della malattia è improvviso, caratterizzato da sintomi simili a quelli influenzali. Il serbatoio naturale della malattia non è stato ancora identificato con certezza, anche se alcune evidenze attribuiscono ai pipistrelli un ruolo chiave nel mantenimento del virus nell’ecosistema.”
A preoccupare, nel caso dell'Ebola, è in particolare il fatto che non si siano ancora trovate cure né vaccini efficaci. Negli ultimi quarant’anni si sono registrati diversi focolai che hanno interessato una dozzina di paesi africani coinvolgendo un totale di circa 2400 persone. Ma la sporadicità dell’infezione nell’uomo e la diffusione limitata dei casi umani non hanno finora incentivato lo sviluppo di contromisure – medicinali specifici, vaccini, campagne di profilassi - adatte a controllare la diffusione dell’infezione. Inoltre, proprio l'elevato potenziale di contagiosità e il tasso di letalità, uniti alla rapidità del decorso, limitano paradossalmente le potenzialità del virus, che esaurisce il più delle volte il suo potenziale in piccole comunità nell'arco di un breve tempo.
Per queste stesse caratteristiche, Ebola è classificato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità tra gli agenti patogeni che richiedono per la manipolazione e lo studio laboratori e strutture di livello BSL4, ovvero biosicurezza 4: il più alto in assoluto. Il virus proprio in virtù della sua letalità sembrerebbe prestarsi per essere impiegato come arma biologica, ipotesi che ha già spinto le grandi potenze mondiali a correre ai ripari. Il timore è quello di atti di bioterrorismo, ma anche dello sviluppo di armi e vettori in grado di trasmettere Ebola da parte di Stati interessati se non ad impiegarli in un attacco perlomeno a farne uso come deterrente o per minacciare i vicini.
Possibilità di difesa dal virus? “Le conoscenza relative alla biologia e alla patogenesi dell’infezione da virus Ebola sono limitate e, oggigiorno, non sono presenti farmaci o vaccini specifici per il suo debellamento. Le terapie adottate sono essenzialmente di supporto e finalizzate alla reidratazione dei pazienti e al controllo dell’ossigenazione. La maggior parte dell’attività di ricerca per lo sviluppo di farmaci e vaccini è stata supportata dal governo americano, preoccupato per il rischio dell’utilizzo di Ebola a scopi bioterroristici. Attualmente sono in fase di sviluppo alcuni farmaci e vaccini profilattici ma, sfortunatamente, le ricerche sono ancora ferme a un livello di sperimentazione pre-clinica.”
L’attuale epidemia che sta flagellando l’Africa occidentale dal dicembre 2013 rappresenta la prima vera grande epidemia di Ebola che coinvolge almeno quattro nazioni: Guinea, Liberia, Nigeria e Sierra Leone. Si tratta anche della prima volta in cui il virus ha raggiunto le città, abbandonando le zone rurali e causando un numero significativo di morti anche tra gli operatori sanitari. La strategia per il controllo della diffusione dell’infezione si basa sul contenimento mediante l’adozione di misure di prevenzione.
“La prevenzione si affida al rispetto delle misure igienico-sanitarie (lavarsi le mani frequentemente e utilizzare dispostivi di protezione individuale), alla riduzione del contatto con animali ad alto rischio di infezione, alla capacità di una diagnosi clinica e di laboratorio precoce e all’isolamento dei pazienti. Quest’ultimo deve avvenire il prima possibile e proseguire fino al termine della fase viremica (circa tre settimane dall’esordio della malattia). Anche i contatti dei soggetti infetti vanno sottoposti a sorveglianza sanitaria presso strutture ospedaliere. Tra le azioni di prevenzione vi sono anche importanti accortezze quali cuocere accuratamente i prodotti di origine animale o seppellire rapidamente le persone decedute, avendo cura di manipolare le salme utilizzando dispostivi di protezione individuale.
Purtroppo, nonostante gli sforzi dei governi locali e di enti non governativi, l’epidemia non accenna a fermarsi e, anzi, inizia a farsi strada la preoccupazione per un’ulteriore estensione ad altri paesi dell’Africa. Timori di una possibile espansione al di fuori del continente africano? In Europa sono state adottate, a scopo preventivo, procedure specifiche di sorveglianza nei principali porti e aeroporti che ricevono merci e passeggeri provenienti dalle zone colpite dall’epidemia.”
Se Ebola raggiunge le prime pagine dei giornali, non si tratta però della sola possibile minaccia, in un'epoca in cui la mobilità da un lato all'altro del pianeta, grazie ai viaggi aerei, è ampissima e richiede tempi ristretti, ampiamente inferiori all'intervallo fra il contagio e il manifestarsi di molte malattie. La periodica comparsa di infezioni ad alto rischio per la salute pubblica mondiale, ricordano al Dipartimento, evidenzia l’importanza di una rete di sorveglianza globale e la necessità di investimenti per la ricerca sui patogeni emergenti al fine di comprenderne le caratteristiche biologiche, ecologiche e per lo sviluppo di opportuni approcci terapeutici e vaccinali.
Un impegno che vede la nostra università in primo piano: “In tale contesto l’università di Padova, tramite il Dipartimento di Medicina Molecolare, ha avviato una collaborazione con l’Agenzia di Sanità Pubblica della Svezia, dotata di laboratori BSL4, presso l’Istituto Karolinska di Stoccolma, per lo studio di farmaci contro il virus Ebola e il virus della febbre emorragica Crimea-Congo (CCHFV), trasmesso dalle zecche. Proprio il CCHFV è in veloce diffusione nell’est Europa e l’Italia è tra i Paesi a rischio di introduzione di questo virus emergente.”
Gioia Baggio