SOCIETÀ

Terremoti in Italia: la scienza cammina, la politica rallenta

È possibile e utile prevedere i terremoti? Una domanda evidentemente provocatoria quella di Marco Mucciarelli, direttore del centro ricerche sismologiche dell’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale di Trieste, ad un recente convegno padovano. Una domanda attorno alla quale tuttavia nel 2009, dopo il terremoto dell’Aquila, si è articolato il dibattito mediatico. “In realtà – continua il docente – l’attenzione dovrebbe essere spostata sulla possibilità di prevedere e quindi mitigare le conseguenze dei terremoti. La conoscenza delle sorgenti sismiche, infatti, delle amplificazioni locali e della vulnerabilità degli edifici (il danno atteso), permette di fare scenari di previsione degli effetti”. E di affrontarli in modo più adeguato.

In Italia si verifica mediamente un terremoto grave ogni dieci anni e uno di media entità ogni cinque. E in una zona in cui si sono manifestati eventi sismici, molto probabilmente continueranno ad esserci. Oggi la ricerca scientifica riesce a fornire in anticipo le conoscenze su quali saranno le zone che potrebbero essere soggette a un maggiore scuotimento sismico e quali le tipologie di edifici più vulnerabili. Ma non solo. “Nella valutazione del rischio sismico – sottolinea Claudio Modena, docente del dipartimento di ingegneria civile, edile e ambientale dell’università di Padova – è fondamentale anche la distribuzione e la densità abitativa”. Maggiore è la popolazione infatti e maggiore è il rischio per le cose esposte.

Solo nel 2003, in seguito ai terremoti verificatisi in Irpinia nel 1980 e in Molise nel 2002, sono stati emanati i nuovi criteri di classificazione sismica del territorio nazionale. Ciò allo scopo anche di orientare la pianificazione territoriale e ridurre in questo modo il verificarsi di danni di una certa intensità.

L’adeguamento alle nuove norme è stato infatti molto lento. Se da un lato la comunità scientifica ha offerto gli strumenti per affrontare lo stato di emergenza, dall’altro i vertici politico-decisionali vedono negli interventi di adeguamento dei vincoli alla loro azione amministrativa. E, tra una richiesta di deroga e l’altra, si continua a edificare. Come nel caso dell’Emilia, in cui si è assistito a una corsa alla costruzione di capannoni proprio mentre la Regione si stava adeguando alla legge. O come in Friuli, dove i sindaci in campagna elettorale si vantavano di essere riusciti a escludere il loro Comune da quelli a rischio sismico.

In Veneto è soprattutto dopo il terremoto che ha colpito l’Emilia, e che ha interessato 21 Comuni della provincia di Rovigo con una perdita di 50 milioni di euro, che la Regione ha dato una spinta agli interventi in questo settore. “Si assiste, in generale – sottolinea Mariano Carraro, direttore del dipartimento lavori pubblici della Regione Veneto – a un deficit nelle azioni di protezione sismica del patrimonio edilizio. In Veneto, in particolare, con la nuova normativa il 50% degli edifici pubblici richiede interventi”. 

Le forti scosse avvertite nel 2012 anche nella nostra regione, hanno cambiato la percezione del territorio, considerato comunemente poco sismico. "In realtà il Veneto – sottolinea Laura Peruzza, del Centro ricerche sismologiche dell’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale di Trieste – si conferma regione con una attività  sismica significativa. Grazie anche all’installazione di nuove stazioni in aree della regione precedentemente poco coperte dal monitoraggio, si sono registrati fenomeni sismici di un certo rilievo in tutta la fascia delle Prealpi Venete, indizi geomorfologici di una deformazione in atto". E non è trascurabile nemmeno l’attività delle strutture sottostanti nella pianura veneta, sia nel settore orientale che occidentale, poco conosciuta fino ai fatti dell’Emilia. “La maggior parte dei comuni veneti si è ‘scoperta’ sismica nel 2003, anno in cui sono stati emanati i nuovi criteri di classificazione sismica del territorio nazionale”.  

In particolare, secondo un dossier del Consiglio regionale Veneto del 2012, 89 Comuni sono stati individuati come territori a medio rischio sismico (zona 2), cioè il 16% della superficie regionale: 29 sono collocati nel bellunese, 49 nel trevigiano, 4 nel vicentino e 7 in provincia di Verona. Altri 327 (il 53% della superficie regionale) sono a basso rischio sismico (zona 3), infine 165 a rischio molto basso (zona 4, il 30% della superficie regionale). In nessun Comune è stato rilevato territorio ad alto rischio sismico. Padova, in particolare, è una zona a bassa sismicità. “Nei secoli – sottolinea Modena – sono stati documentati danni alla chiesa di Santa Sofia nell’Ottocento e alla chiesa del Carmine nel Cinquecento, ma si trattava di edifici che già manifestavano problemi di conservazione. Dove c’è stata una buona manutenzione si sono verificati danni, ma non crolli”. E continua: “Si tenga presente che un edificio viene progettato in maniera completamente diversa dagli altri, qualora debba far fronte a un probabile evento sismico”.

Le aree più esposte al rischio di terremoti in Veneto si trovano nelle zone in cui storicamente si è verificato il maggior numero di eventi sismici documentati: la provincia di Belluno ad esempio ne ha registrato 25 di importanti, quella di Verona 20, il trevigiano 16. Nei secoli sono stati invece molto rari i terremoti che hanno interessato la pianure di Padova (3), Venezia (4) e Rovigo (1).

“La sicurezza di fronte all’evento sismico dipende da tutti noi” conclude Modena. Da come si percepisce il rischio e da quanto si è disposti ad accettare dei “vincoli” in ragione dell’incolumità pubblica.

Monica Panetto

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