SCIENZA E RICERCA
Tropicalizzazione del clima, minaccia globale
Foto: Reuters/Nasa Earth Observatory/Holli Riebeek/Handout via Reuters
In futuro ci sarà una crescente domanda di risposte militari alle crisi umanitarie globali indotte da eventi meteorologici estremi. Questo l’ammonimento del rapporto del Pentagono diffuso qualche giorno fa. Per la verità, già in un precedente rapporto del 2003 di Peter Schwartz e Doug Randall sulle implicazioni di uno scenario di rapido cambiamento climatico, si paventavano possibili effetti esplosivi nel breve volgere di un decennio sulla sicurezza nazionale americana.
Se si incrociano i timori sugli effetti del cambiamento climatico con quelli del picco della produzione di petrolio (peak oil) convenzionale, si possono intravedere fenomeni potenzialmente in grado di modificare gli equilibri geopolitici. Alcuni analisti hanno messo in evidenza che le rivolte dei paesi arabi (Tunisia, Egitto, Siria), si sono manifestate nel momento storico in cui i consumi petroliferi, anche per effetto di un boom demografico, hanno superato la produzione di questi paesi, fino a pochi anni fa esportatori netti.
Il nuovo rapporto del Pentagono traccia una road map di come l’apparato militare dovrà adattarsi all’aumento del livello marino, alle tempeste sempre più violente e alle siccità estreme. In un intervento di lunedì scorso a un meeting di ministri della difesa in Perù, il segretario alla difesa Chuck Hagel ha affermato: “La perdita dei ghiacciai metterà in crisi l’approvvigionamento di acqua in vaste aree del nostro emisfero, la devastazione da parte degli uragani spargerà i semi dell’instabilità. Siccità e scarsità dei raccolti porteranno milioni di persone a migrare in massa”.
Il rapporto è l’ultimo di una serie di studi, ma la sua caratterizzazione come una sfida che richiede un’azione immediata rappresenta una novità per i militari. In precedenza, la risposta del Pentagono al cambiamento climatico era di adattamento delle installazioni militari agli effetti previsti, come ad esempio la protezione delle basi navali dall’innalzamento del mare. A Hampton Roads in Virginia, dove vi è la più ampia concentrazione di siti militari, la rapida salita del livello del mare ha già causato ripetuti allagamenti.
Il nuovo rapporto, invece, incorpora il cambiamento climatico in una più ampia strategia sulle regioni ad alto rischio come il Medio Oriente e l’Africa, i cui assetti politici saranno minacciati da siccità e carenza di cibo. Secondo gli esperti il nuovo approccio dovrebbe valutare il contributo del ruolo giocato dal cambiamento climatico nell’insorgenza dei gruppi estremisti come l’Isis.
Marcus D. King, esperto di cambiamento climatico ed affari internazionali alla George Washington University, sostiene che il global warming può aver innescato la siccità che ha causato lo spostamento degli agricoltori nelle città siriane, dove i giovani sono più esposti ad avvicinarsi ai gruppi estremisti. L’Isis avrebbe sfruttato la scarsità d’acqua per aumentare la sua influenza.
Il nuovo rapporto non quantifica quanto i militari dovranno spendere per questa nuova agenda, ma se il Pentagono presenterà le richieste di budget al Congresso, dovrà scontrarsi con i repubblicani, molti dei quali dubitano dell’evidenza scientifica del cambiamento climatico indotto dall’uomo.
Il senatore James M. Inhofe dell’Oklahoma, repubblicano del Comitato forze armate del Senato e noto scettico sul cambiamento climatico, si dichiara sconcertato dall’attenzione del pPresidente e dell’amministrazione sul global warming, nel momento in cui l’Isis sta diventando una minaccia mondiale crescente. L’enfasi del Pentagono sulle sfide alla sicurezza nazionale che arriverebbe a causa del cambiamento climatico sarebbe mirata a conquistare appoggi presso le Nazioni unite, in vista della firma il prossimo anno a Parigi di un impegno per limitare le emissioni di carbonio da parte dei maggiori Paesi inquinanti.
I negoziatori del clima si incontreranno in Perù in dicembre per redarre questi accordi. Il discorso di Hagel di qualche giorno fa è sembrato un passo per costruire questo consenso. Gli esperti dicono che il ruolo crescente di Hagel nel promuovere un nuovo trattato sul cambiamento climatico è un segno che questo problema sta cambiando il dibattito politico.
Infatti, nel 1977 Hagel, allora senatore repubblicano del Nebraska, ebbe un ruolo cruciale nel bloccare la partecipazione degli Stati Uniti nel primo trattato sul clima. Insieme al senatore Robert C. Byrd, democratico del West Virginia, scrisse una risoluzione che impegnava il senato a non ratificare il protocollo di Kyoto, che richiedeva alle maggiori economie del pianeta di tagliare le emissioni da fonti energetiche basate sui combustibili fossili. Oggi, lo sforzo di Hagel per preparare il terreno a un nuovo sforzo sul problema climatico segna un importante cambio di rotta.
Sherri W. Goodman, vice presidente della CNA Corporation, sottolinea l’importanza del fatto e osserva che includere il problema climatico tra le priorità come Isis, Ebola e Russia, è un segnale sulle intenzioni dell’amministrazione.
Di fronte a notizie come queste è veramente difficile da parte dei negazionisti continuare a essere scettici. Tuttavia, non da ora il consensus sul ruolo predominante dell’uomo nel cambiamento climatico in atto riguarda il 97% degli scienziati che si occupano di clima, come dimostrano le dichiarazioni ufficiali delle principali associazioni scientifiche: AAAS (American Association for the Advancement of Science); ACS (American Chemical Society); AGU (American Geophysical Union); AMA (American Medical Association); AMS (American Meteorological Society); APS (American Physical Society); GSA (Geological Society of America); U.S. National Academy of Sciences, e molte altre. Senza contare che le ultime rilevazioni delle temperature a livello mondiale ci dicono che lo scorso settembre è stato il più caldo da quando sono iniziate le misurazioni, 135 anni fa.
Dario Zampieri