Maddalena penitente, Canova, marmo. Da The State Hermitage museum, San Pietroburgo. In mostra a Roma
In quella Maddalena penitente abbandonata sulle ginocchia, con il volto rigato dalle lacrime e la croce in bronzo dorato tra le mani, c'è tutto il dolore del mondo. La luce bianca della scultura acceca, i dettagli dei lunghi capelli, delle vesti morbide che appena coprono il seno, il confronto tra la sua pelle carnosa e il teschio liscio poggiato sulla roccia fanno emozionare chi guarda. Esposta a Parigi nel 1808, venne definita "esecuzione magica", "tutta figlia del cuore". Davanti all'opera, giocata sull'ambiguità tra sacro e profano, si fermano tutti: restano lì, immobili, per qualche minuto, in contemplazione, poi scivolano via, passano oltre, per ammirare altra folgorante bellezza, incontrando, ad appena due passi, L'amorino alato, il bello ideale a cui Canova lavorò per diverso tempo tenendolo nel suo studio prima di spedirlo in Russia nel 1801 per consegnarlo al principe Nikolaj Jusupov che nel 1794 l'aveva commissionato.
La mostra a Palazzo Braschi, Museo di Roma, è un trionfo di luce esaltata dalla scelta di calare le sale nel buio, unica soluzione possibile, del resto, per accogliere il candore di Antonio Canova (Possagno 1757 – Venezia 1822), protagonista della rivoluzione figurativa del Neoclassicismo. Canova. Eterna bellezza, realizzata in collaborazione con l’Accademia nazionale di San Luca e con la Gypsotheca e il Museo Antonio Canova di Possagno, inaugurata il 9 ottobre scorso e visitabile fino al 15 marzo, a inizio dicembre ha raggiunto e superato i 55mila visitatori. Incentrata sul legame tra Canova e la città di Roma, con oltre 170 opere esposte, racconta in tredici sezioni l’arte canoviana e il contesto che lo scultore trovò giungendovi, per la prima volta, nel novembre 1779. In quegli anni, a Roma, stava cambiando tutto: la letteratura con le tragedie di Vittorio Alfieri, la pittura con i dipinti di David e di Peyron. E proprio in quel quadro di rinnovamento si inseriva il genio di Canova.
Oltre alla relazione con la città, l'esposizione approfondisce quella con la letteratura del tempo, concentrandosi in particolare sul rapporto con Alfieri, la cui tragedia Antigone, andata in scena a Roma nel 1782, si distingue per la "nuda semplicità dell'azione", per una recitazione scandita da pause di silenzio, per i "pochissimi personaggi". Si tratta di una rivoluzione che trova nelle parole di Winckelmann, padre del Neoclassicismo, la sua sintesi: "L'intelletto sano preferisce il fare con poco al fare con molto: così una singola figura può essere la scena di tutta la maestria di un artista". Nella nascita del nuovo stile tragico si inserisce Canova, con il Monumento funerario di Clemente XIV, spartiacque tra due epoche, opera esaltata anche dal critico Francesco Milizia per la sua semplicità ed eleganza.
Uno degli aspetti più significativi della poetica neoclassica è determinato dall'incontro e confronto tra antico e moderno, che definisce il teorema perfetto del gusto neoclassico. Ne è un esempio il salone di Palazzo Papafava, a Padova, con le quattro statue che si richiamano a coppie: l'Apollo del Belvedere e il canoviano Perseo trionfante, il Gladiatore Borghese di contro al Creugante, uno dei due pugilatori. Andando oltre ogni forma di collezionismo, il conte e architetto Alessandro Papafava (1784-1861) creò nel suo palazzo padovano la Sala dei paragoni, ricostruita ora nella sala espositiva di Palazzo Braschi.
"Il colloquio dell’artista con il mondo classico è stato profondo - spiega il curatore Giuseppe Pavanello, riferendosi a Canova -, andando a incidere su istanze cruciali, prima fra tutte la volontà di far rinascere l’antico nel moderno e di plasmare il moderno attraverso il filtro dell’antico, istanze, dunque, creative nel senso pieno del termine. L’antico bisognava mandarselo in sangue, parole dello stesso Canova, sino a farlo diventare naturale come la vita stessa. Anche per tale motivo, l’artista si può considerare l’ultimo degli antichi e il primo dei moderni. Perciò lo scultore si rifiutò sempre di realizzare copie di sculture classiche, reputandolo lavoro indegno di un artista creatore, così come non volle mai intervenire con restauri sui marmi antichi, ‘intoccabili’ per definizione".
“ L’Antico bisogna mandarselo in sangue sino a farlo diventare naturale come la vita stessa Antonio Canova
Antonio Canova, Endimione dormiente, 1819, gesso, Possagno, Gypsotheca e Museo Antonio Canova 2019, Possagno (TV), Fondazione Canova onlus - Gypsotheca e Museo Antonio Canova | Archivio Fotografico interno Foto di Lino Zanesco
Sculture ma anche disegni: Canova infatti si dedicò per tutta la vita all'attività grafica, laboratorio segreto, strumento fondamentale per l'ideazione artistica e palestra di studio. I disegni esposti a Roma sono nudi, studi di panneggio e dell'antico, disegni di invenzione.
E infine, ecco l'atelier, la riproduzione dell'ambiente che, nel 1784, Canova prese in affitto nel vicolo Colonnette di San Giacomo degli incurabili e dove lavorò insieme a un nutrito gruppo di collaboratori, tra tutti Antonio D'Este, al suo fianco dal 1779. Ampliato nel 1803, sull'onda del successo ottenuto, lo studio divenne negli anni tappa di pellegrinaggio per artisti e viaggiatori.
A Roma i prestiti sono tanti e importanti: le opere arrivano, tra gli altri, dall’Ermitage di San Pietroburgo, dai Musei Vaticani, la Gypsotheca e il Museo Antonio Canova di Possagno, il Museo Civico di Bassano del Grappa, i Musei Capitolini, il Museo Correr di Venezia, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, le Accademie di Belle Arti di Bologna, di Carrara e di Ravenna, l'Accademia Nazionale di San Luca, il Musée des Augustins di Tolosa, i Musei di Strada Nuova-Palazzo Tursi di Genova, il Museo Civico di Asolo.
Una seconda mostra dedicata a Canova è in corso alle Gallerie d'Italia di Milano. Canova | Thorvaldsen. La nascita della scultura moderna (fino al 15 marzo) mette in relazione lo scultore italiano con il danese Bertel Thorvaldsen, celebrati come i “classici moderni" sulla scena di una Roma cosmopolita.