SCIENZA E RICERCA
Coronavirus: lasciamo le mascherine a chi ne ha davvero bisogno
Ovunque si parla di mascherine. Nei primi giorni della diffusione del contagio, in Italia abbiamo assistito ad una vera corsa all’approvvigionamento di questo bene, che ha improvvisamente iniziato a scarseggiare a fronte di una domanda di mercato ingiustificata, causata dalla paura e dalla disinformazione, che talvolta e vergognosamente è divenuto oggetto di speculazione.
Le mascherine, infatti, sono sì necessarie, in determinate situazioni, ma comunque non sufficienti per prevenire il contagio. Come riporta il sito del CDC (Center for Disease Control and Prevention), il SARS-CoV-2, o “coronavirus”, si diffonde infatti principalmente in seguito a contatti ravvicinati tra persone, attraverso l’inalazione di particelle respiratorie infette o qualora le mucose (naso, occhi, bocca) vengano in contatto con superfici contaminate; più difficile, ma altrettanto possibile, è inoltre il contagio per via orofecale.
Come spiega l’OMS, la prima e più efficace azione da compiere – il più frequentemente possibile, coerentemente con l’esposizione a situazioni in cui aumenta la possibilità di contagio – è il corretto lavaggio delle mani: vanno insaponate sul dorso e sul palmo per almeno 40 secondi, e sciacquate attentamente sotto acqua corrente fredda o tiepida; in assenza di acqua, bisogna frizionarle per 20-40 secondi con una soluzione alcolica.
Poiché la trasmissione del SARS-CoV-2 avviene – come accennato – soprattutto per via aerea, è fondamentale evitare di diffondere secrezioni respiratorie, soprattutto quando si hanno sintomi come tosse o raffreddore. A questo scopo, è sufficiente coprirsi naso e bocca con un fazzoletto monouso, da eliminare subito dopo l’utilizzo. Come sottolinea l’OMS, è ingiustificato l’utilizzo smodato da parte della popolazione di DPI (Dispositivi di Protezione Individuale)come le mascherine chirurgiche, la cui efficacia a scopo preventivo non è comprovata da riscontri scientifici. L’utilizzo è invece fortemente raccomandato ai pazienti infetti per evitare la diffusione del contagio tra conoscenti, familiari e nei luoghi pubblici, e, soprattutto, al personale assistenziale e medico, particolarmente esposto al contagio. Inoltre, è importante che le mascherine vengano impiegate in modo corretto e maneggiate con cura, così da non divenire un’ulteriore fonte di trasmissione.
A tutto ciò si aggiunge, chiaramente, il buon senso di ciascuno nell’evitare relazioni strette (il rischio d’infezione per contatto è particolarmente alto ad una distanza inferiore ai due metri): sia per preservare se stessi, sia per proteggere gli altri, nella misura in cui potremmo essere pazienti infetti ma ancora asintomatici. Secondo un recente studio, infatti, il tempo d’incubazione varia dai 2 ai 14 giorni, con una media di circa 5 giorni.
Dunque, tutti gli organi istituzionali (Ministero della Salute, ECDC, OMS) raccomandano l’uso dei DPI* solo ai pazienti infetti e agli operatori sanitari. Ciò riguarda non solo le comuni mascherine chirurgiche, ma anche i respiratori dotati di maggiore capacità filtrante, identificati dalle sigle FFP 1, 2 o 3: solo quelli contrassegnati dalle sigle FFP2 e FFP3 proteggono dai virus, ma sono destinati anzitutto agli operatori sanitari che si espongono, nelle attività di assistenza, ad aerosol contaminati.
La popolazione civile non ha bisogno delle mascherine: queste risultano, infatti, inutili per la protezione individuale. Al contrario, è importante che le azioni di ognuno siano guidate da razionalità e pacatezza, e che non si faccia abuso di questi dispositivi: essi devono rimanere a disposizione di coloro che ne hanno veramente bisogno. Quegli stessi strumenti che per la maggioranza dei cittadini sono superflui, possono infatti risultare fondamentali per coloro che, nell'assicurare un servizio di pubblica utilità, operando nel settore sanitario o assistendo una persona malata, sono quotidianamente esposti alla contaminazione da SARS-CoV-2.
*Il collegamento ipertestuale rimanda ad un documento elaborato dal Ministero della Salute nel 2009, ma ancora attuale ed applicabile anche all’emergenza da COVID-19.