I cambiamenti climatici, per via della oggettiva gravità del tema, dell’impatto che gli eventi estremi (ondate di calore, siccità prolungate, uragani) hanno sui cittadini e della (relativa) comprensibilità del tema, hanno attirato l’attenzione dell’opinione pubblica, dei media e delle istituzioni più di altri temi ambientali, altrettanto gravi e seri, causati dalle attività umane. Per esempio, non ci sono titoli sui giornali che strillano contro il fallimento delle conferenze e iniziative internazionali che hanno a che fare con il declino della biodiversità.
Eppure la crisi della biodiversità eguaglia, e forse supera, per gravità e urgenza quella dei cambiamenti climatici. Sì, poiché non esiste un processo biologico o fisico di scala planetaria che stia attraversando un cambiamento più drammatico a causa delle attività umane come la perdita di biodiversità. Eppure di perdita di biodiversità si parla poco e i decisori politici non le assegnano l’attenzione che merita. Tanto che in occasione della ultima riunione dell’organo scientifico della Convenzione per la diversità biologica è stata usata "l’elefante nella stanza”, ossia una evidente verità ignorata.
Infatti, la perdita di biodiversità e la distruzione degli ecosistemi continuano a ritmi senza precedenti e le recenti relazioni di valutazione a scala regionale della piattaforma intergovernativa per la biodiversità e i servizi ecosistemi (IPBES) hanno presentato un quadro preoccupante per tutte le regioni del mondo. Il Global Risk Report 2018 del World Economic Forum ha elencato, tra i principali rischi globali, la perdita di biodiversità.
Due storie di insuccesso
In epoca ellenistica, Cirene, nel nord dell’odierna Libia, era una delle città-stato più prospere e sontuose del Mediterraneo. La sua ricchezza l’aveva fondata soprattutto sul commercio di una pianta spontanea, provvista di proprietà aromatiche e medicinali, di cui riforniva la Grecia e, successivamente, Roma: il silphion (Silphium per i latini). Secondo Plinio il suo valore in peso era superiore a quello dell’argento. Purtroppo non sarà possibile provare quanto si dice. Semplicemente perché la domanda eccessiva per questa pianta, insieme alla incapacità di allora di addomesticarla e di propagarla e la distruzione degli ambienti in cui viveva e si propagava ne ha provocato l’estinzione.
C’era una volta il silphion. E c’era una volta una rana che viveva nella foresta tropicale australiana. Il suo nome era Rheobatrachus silus. Questa rana, per proteggere i propri figli, dopo aver deposto le uova fecondate, le inghiottiva e, nel giro di due settimane, dava alla luce i girini, vomitandoli nell’ambiente esterno. Come potevano i girini svilupparsi all’interno dello stomaco senza essere digeriti? La risposta l’avevano trovata due ricercatori del Center for Health and the Global Environment dell’Harvard Medical School: erano gli stessi girini a produrre una sostanza capace di bloccare l’attività gastrica della madre. I due ricercatori già presagivano i potenziali sviluppi in medicina, a cominciare dalla lotta all’ulcera gastroduodenale, una malattia che colpisce decine e decine di milioni di persone nel mondo. Ma era troppo tardi: la distruzione dell’habitat in cui la rana a gestazione gastrica viveva aveva decretato l’estinzione della specie.
Del silphion e della rana australiana rimangono almeno documentazioni e testimonianze. Di migliaia di specie, animali e vegetali, macro-, meso- e micro-organismi purtroppo neanche quelle e non ne sapremo mai nulla. Estinte, senza che nessuno le abbia mai viste e senza che nessuno le abbia mai studiate e catalogate.
Ora, la scomparsa di una specie o di un ecosistema è nelle cose della Natura. Gli esperti ritengono che una specie, di generazione, possa vivere mediamente un milione di anni. Poi interviene una nuova specie, che nel frattempo si è evoluta e ne prende il posto. Così è stato per milioni e milioni di anni, da quando la vita esiste sul pianeta.
Il problema è che l’attuale ritmo di estinzione delle specie avviene a una velocità da 100 a 1.000 volte superiore a quello registrato in epoca pre-umana. Gli scienziati ritengono che siamo di fronte alla sesta estinzione delle specie (questa volta per cause antropiche), persino superiore a quella che ha segnato la fine dei dinosauri, 65 milioni di anni fa. Dal 1500 a oggi le specie estinte documentate sono 765, di cui 79 mammiferi, 145 uccelli, 36 anfibi. Attualmente le estinzioni procedono al ritmo di un numero compreso tra 10 e 690 specie per settimana.
Di tutte le le estinzioni, il 75% è stato causato da un eccessivo sfruttamento delle specie (caccia, pesca, commercio illegale di piante e animali) o dalle attività agricole, dall’inquinamento e dall’introduzione di specie aliene invasive. Gli scienziati dicono che il cambiamento climatico diventerà un problema sempre più dominante nella crisi della biodiversità e già adesso si contano estinzioni legate al caos climatico. Ma lo sviluppo umano e la crescita della popolazione significano anche un aumento degli impatti del sovra-sfruttamento e dell'espansione agricola.
L'estinzione di una specie fornisce una finestra chiara, ma stretta, sulla distruzione della biodiversità: essa è la scomparsa dell'ultimo individuo di un gruppo che per definizione è raro. Ma nuovi studi stanno esaminando la diminuzione del numero totale di animali. Un rapporto congiunto del WWF e della Zoological Society of London del 2016 sostiene che dal 1970 a 2012 le popolazioni degli animali selvatici si sono dimezzate. Lo studio ci dice anche che miliardi di singole popolazioni sono andate perse in tutto il pianeta. Inoltre, secondo la "lista rossa” dell'Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN), sono minacciati di estinzione 1.199 mammiferi (il 26% delle specie descritte), 1957 anfibi (41%), 1.373 uccelli (13%) e 993 insetti (0,5%).
Un’indagine condotta in 16 Paesi, dall’America meridionale all’Indonesia, afferma che il 25% delle 625 specie di primati oggi conosciute è in pericolo di estinzione, a causa della caccia, del commercio illegale, della distruzione degli habitat, dei cambiamenti climatici. Centinaia di leopardi delle nevi vengono uccisi ogni anno nelle montagne dell'Asia centrale, minacciando il grande felino già in pericolo: ci sono solo 4.000 esemplari di questo solitario e inafferrabile felino e il numero è diminuito di un quinto negli ultimi 16 anni. Il bucero dall'elmo, che si trova principalmente in Indonesia, Borneo e Thailandia, ha un solido becco rosso che è venduto come "avorio rosso" sul mercato nero a prezzi molte volte maggiore dell'avorio di elefante. Questo enorme uccello (un corpo di oltre un metro e apertura alare di oltre due metri) è stato cacciato per secoli per le penne della coda, apprezzati dalle comunità locali, ma dal 2011 il bracconaggio è cresciuto fino a nutrire la domanda cinese per l'avorio da intaglio, anche se il commercio è illegale. Ora di questa specie è considerata dall'IUCN in "pericolo di estinzione". Intanto la caccia, nonostante i divieti imposti da legge nazionali e internazionali, continua ad essere una grave minacci per centinaia di specie di mammiferi - dagli scimpanzé agli ippopotami ai pipistrelli - la cui carne entra nel menu di consumatori locali e turisti senza scrupolo.
La Biodiversità è la Biblioteca della Vita: cos’è e quanta ne abbiamo in Italia e nel mondo?
La biodiversità è “la ricchezza della vita sulla Terra, in tutte le sue forme e in tutte le sue interazioni”. La Convenzione sulla Diversità biologica distingue tre livelli in cui i milioni di piante, animali e microrganismi si organizzano: il livello dei geni, che danno vita alla diversità e all’eredità di ciascuna specie; il livello delle specie che sono parte di un ecosistema, quali farfalle, salamandre, salmoni, pioppi, querce, petunie; il livello degli ecosistemi, intesi come entità reali del mondo naturale (foreste pluviali, steppe, barriere coralline, fiumi, ghiacciai, ecc.). Secondo un modo più ‘filosofico’, la biodiversità rappresenta la conoscenza appresa dalle specie, nel corso di un processo evolutivo di milioni di anni, su come sopravvivere alle condizioni ambientali estremamente variabili. Alcuni studiosi dicono che con il declino dell’integrità biologica della Terra l'umanità si sta "bruciando la Biblioteca della Vita”.
In tutto il pianeta, i biologi hanno descritto 1.371.500 specie animali. Tuttavia, diversi studi riportano che il vero numero di animali viventi sul pianeta possa variare da 2 a 11 milioni. È possibile, come dimostrano le più recenti scoperte, che ci siano ancora mammiferi sfuggiti all’osservazione degli zoologi. I funghi descritti sono circa 100.000, ma il loro numero potrebbe essere compreso tra 600.000 e 10 milioni. Le piante descritte sono 307.700. È possibile che il loro numero complessivo possa salire intorno a 450.000 specie man mano che i botanici ne scoprono di nuove. Solo l’1% dei batteri è stato inventariato. Il pianeta Terra, insomma, almeno per le forme viventi è per molti versi ancora uno sconosciuto.
L’Italia è tra i Paesi europei più ricchi di biodiversità in Europa in virtù essenzialmente di una favorevole posizione geografica e di una grande varietà geomorfologica, microclimatica e vegetazionale. La fauna italiana è stimata in oltre 58.000 specie, di cui circa 55.000 di Invertebrati e 1.812 di Protozoi, che insieme rappresentano circa il 98% della ricchezza di specie totale, nonché 1.258 specie di Vertebrati (2%). Il phylum più ricco è quello degli artropodi (insetti e ragni per intenderci, con oltre 46.000 specie). Dati di maggior dettaglio relativi ai vertebrati, esclusi i pesci ossei marini e gli uccelli non nidificanti (svernanti e migratori), evidenziano anche tassi significativi di endemismo (specie di piante e di animali esclusivi di limitati territori), particolarmente per gli anfibi (31,8%) e i pesci ossei di acqua dolce (18,3%). Anche la flora italiana presenta una grande ricchezza: la flora briologica (muschi ed epatiche) conta 1.169 entità, tra specie e sottospecie, quella lichenica 2.704 e quella vascolare, secondo i più recenti inventari, comprende 8.195 specie e sottospecie autoctone, con un contingente di 1.371 endemiche.
La situazione non è migliore - e forse anche meno conosciuta - per i pesci. Il pesce è la fonte fondamentale di proteine per oltre 2,5 miliardi di persone, ma la dilagante sovra-pesca (un'eccessiva e non razionale attività di pesca) sta causando una diminuzione costante delle catture di pesce dal loro picco, registrato nel 1996, e ora più della metà dell'oceano è soggetto a un sistema di pesca industriale.
Estinzioni italiane
Anche la ricchezza della biodiversità italiana è seriamente minacciata e rischia di essere irrimediabilmente perduta, a causa della distruzione degli habitat e della loro frammentazione e degrado, l’invasione di specie aliene invasive, le attività agricole, gli incendi, il bracconaggio, i cambiamenti climatici. Dai dati dell’Annuario dei dati ambientali ISPRA emerge che - per quanto riguarda il grado di minaccia delle 672 specie di Vertebrati valutate nella recente “Lista Rossa IUCN dei Vertebrati Italiani” (576 terrestri e 96 marine) - 6 sono estinte nel territorio nazionale in tempi recenti: due pesci, lo storione comune e quello ladano; tre uccelli: la gru, la quaglia tridattila, il gobbo rugginoso; e un mammifero, il pipistrello rinolofo di Blasius.
Le specie minacciate di estinzione sono 161 (138 terrestri e 23 marine), pari al 28% delle specie valutate. Considerando che per il 12% delle specie i dati disponibili non sono sufficienti a valutare il rischio di estinzione e assumendo che il 28% di queste sia minacciato, si stima che complessivamente circa il 31% dei Vertebrati italiani sia minacciato. Il 50% circa delle specie di Vertebrati italiani non è a rischio di estinzione imminente.
Che fare?
Nel 2010 la Conferenza delle Parti della CBD ha approvato il Global Strategic Plan, la strategia mondiale per la tutela della biodiversità per il periodo 2011-2020. Il piano prevede 20 obiettivi, suddivisi in 56 indicatori, nel complesso noti come Aichi Biodiversity Targets, i quali stabiliscono il quadro di riferimento per la definizione di target nazionali o regionali e per promuovere gli obiettivi fondamentali della CBD. Purtroppo, l’ultimo Global Biodiversity Outlook dell’ONU ci dice che, quando mancano tre anni alla scadenza del decennio d’impegno, gran parte degli sforzi internazionali per raggiungere gli obiettivi di Aichi per la Biodiversità stanno fallendo miseramente e che se non si cambia passo gran parte delle nazioni non riusciranno a raggiungere gli obiettivi.
Dei 56 indicatori, solo 5 sono sulla buona strada per il 2020; 33 segnalano qualche progresso, ma a un tasso insoddisfacente per raggiungere l’obiettivo previsto, 10 non mostrano alcun progresso, mentre 5 mostrano addirittura un peggioramento e 3 non sono stati valutati.
Un raggio di luce è il cammino verso l’obiettivo di raggiungere il 17% di protezione rispetto alla superficie terrestre totale, che sarà presumibilmente raggiunto. Ma alcuni scienziati sostengono che almeno metà della superficie terrestre dovrebbe essere riservata alla natura!
Ciascuno degli Obiettivi di Aichi per la Biodiversità non può essere affrontato isolatamente, poiché il raggiungimento di ogni obiettivo dipende strettamente dalle azioni e misure che vengono messi in campo per raggiungere gli altri. In particolare, vi sono obiettivi relativi alla risoluzione delle cause alla base della perdita di biodiversità (in genere gli obiettivi nell'ambito dell'obiettivo strategico A), lo sviluppo di quadri nazionali per l'attuazione degli obiettivi di biodiversità Aichi (obiettivo 17) e la mobilitazione delle risorse finanziarie (obiettivo 20).
Il piano strategico per la biodiversità 2011-2020 e i 20 obiettivi di biodiversità di Aichi non sono stati quindi sufficienti a fermarne la perdita e arrestare la distruzione degli ecosistemi; i limiti planetari sono a rischio di essere superati e, in alcuni casi, sono già stati violati. Tale distruzione dell’ecosistema è stata aggravata da altri cambiamenti globali e, a sua volta, ha aggravato e contribuito a ulteriori sfide per la sicurezza alimentare, la salute e le sfide climatiche. La complessità e l’interdipendenza tra i sistemi sociali ed economici e i sistemi naturali richiedono misure interconnesse attraverso un approccio ai sistemi terrestri; la crisi della biodiversità non può essere fermata da misure prese isolatamente.
Un’ulteriore crescita economica potrebbe facilitare lo sviluppo sostenibile se essa stessa non fosse una causa del degrado della biodiversità e se fosse rafforzata la capacità della natura di contribuire alla vita delle persone. Tutto ciò tuttavia richiede un profondo cambiamento nelle politiche a livello globale e nazionale. I modelli dominanti di sviluppo e crescita economica hanno ignorato i vincoli dei limiti ecologici sullo sviluppo umano e sono stati basati su insostenibili modelli di consumo e produzione. Tali modelli hanno trascurato di tener conto sia dei costi della perdita di capitale naturale sia dei benefici derivanti dai servizi ecosistemici, i quali forniscono l’infrastruttura essenziale che sostiene sia la vita sulla Terra sia lo sviluppo umano. E’ necessario una forte evidenza scientifica ed economica per dimostrare l’importanza della biodiversità ai ministri dell’economia, così come alla comunità delle imprese e della finanza. Per questo, è fondamentale disporre di una scienza solida, capace di dimostrare che le soluzioni fornite dalla biodiversità possono raggiungere priorità di sviluppo sostenibile e creare percorsi in grado di guidare un “cambiamento radicale”.
È necessaria una più efficace capacità di comunicazione da parte degli scienziati. Spesso, gli studi, le ricerche, le valutazioni svolte dalla comunità scientifica rimangono confinate all’interno di una ristretta cerchia di esperti; in più, le barriere linguistiche impediscono la più ampia diffusione della scienza che viene sviluppata a livello nazionale. Tutte le fonti di conoscenza devono essere sfruttate, comprese le conoscenze tradizionali e quella delle comunità indigene.
Proseguire gli sforzi avviati per raggiungere gli Obiettivi di Aichi per la Biodiversità contribuirebbe in modo significativo a raggiungere anche gli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals, o SDGs), approvati nel 2015 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nell’ambito della Agenda 2030, che mirano, fra l'altro, a ridurre la fame e la povertà, migliorare la salute umana e assicurare un approvvigionamento sostenibile di energia, cibo e acqua pulita. Aver integrato la biodiversità negli obiettivi di sviluppo sostenibile ha offerto l'opportunità di portare la biodiversità nella corrente principale del processo decisionale.
Per una equa ripartizione dei benefici derivanti dalle risorse genetiche
Nell’ambito della Convenzione per la Biodiversità è stato adottato il protocollo di Nagoya che fornisce un quadro giuridico trasparente per l'effettiva attuazione di uno dei tre obiettivi della Convenzione: la giusta ed equa condivisione dei benefici derivanti dall'utilizzo delle risorse genetiche (CBD, Art. 1).
Questo obiettivo è di particolare importanza per i paesi in via di sviluppo, in quanto essi detengono la maggior parte della diversità biologica mondiale ma, in generale, non ottengono una quota equa dei benefici economici derivanti dall'uso delle loro risorse per lo sviluppo di prodotti derivante dalla diversità genetica, quali varietà coltivate ad alto rendimento, prodotti farmaceutici e cosmetici. Un tale sistema riduce l'incentivo per i paesi biologicamente più ricchi, ma economicamente più poveri del mondo a conservare e utilizzare in modo sostenibile le loro risorse per il beneficio di tutti. La condivisione dei benefici deve essere basata su condizioni reciprocamente concordate nel Protocollo di Nagoya (2014).
Le risorse genetiche vegetali, animali, microbiche, terrestri e marine e l’uso delle biotecnologie sono oggi alla base di molte attività di ricerca di base e applicata e sono fondamentali per lo sviluppo di nuovi prodotti in svariati settori. Considerevole è la richiesta di accesso a risorse genetiche che proviene dal mondo della ricerca accademica, di laboratorio, dalle industrie biotecnologiche, farmaceutiche e cosmetiche o dall’agricoltura.
Le Strategie europea e nazionale per la Biodiversità
Il principale strumento UE è la Strategia dell’Unione europea per la Biodiversità, i cui target sono a loro volta in linea con gli obiettivi di Aichi per la Biodiversità e i dati sono monitorati dall’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA). L’Italia ha adottato nel 2010 la propria Strategia Nazionale per la Biodiversità (2011-2020), documento di riferimento rispetto agli impegni ratificati nell’ambito della CBD.
La Strategia Nazionale per la Biodiversità (SNB) si pone come strumento di integrazione delle esigenze della biodiversità nelle politiche nazionali di settore, riconoscendo la necessità di mantenerne e rafforzarne la conservazione e l’uso sostenibile per il suo valore intrinseco e in quanto elemento essenziale per il benessere umano, rispondendo appieno alla sfida 2011-2020 per la biodiversità.
La strategia è stata articolata intorno a tre tematiche cardine: Biodiversità e servizi ecosistemici; Biodiversità e cambiamenti climatici; Biodiversità e politiche economiche, cui corrispondono altrettanti obiettivi strategici. In ragione della trasversalità del tema biodiversità, nonché dell’opportunità e necessità della sua integrazione all’interno delle politiche di settore, il conseguimento degli obiettivi strategici viene affrontato nell’ambito di 15 aree di lavoro.
In attuazione della strategia il Ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare ha istituito nel 2011 gli organismi di funzionamento della strategia (Comitato Paritetico per la Biodiversità, Osservatorio Nazionale sulla Biodiversità, Tavolo di consultazione). L’ISPRA partecipa alle attività dell’Osservatorio Nazionale sulla Biodiversità e ne assicura la segreteria e ha curato la messa a punto di una serie preliminare d’indicatori della Strategia Nazionale per la Biodiversità, che il Comitato paritetico per la Biodiversità ha approvato nel 2013 e che è costituito, nella sua prima fase, da 13 indicatori di stato e 30 indicatori di valutazione.
La biodiversità è alla base della ricchezza delle nazioni
La biodiversità è la base della ricchezza delle nazioni Oltre al valore intrinseco, infatti, la biodiversità è importante perché è fonte per l’umanità di beni e servizi, diretti e indiretti, indispensabili per la sua sopravvivenza e la sua prosperità. Questi beni e servizi sono stati distinti in quattro categorie: servizi di fornitura, quali gli alimenti, l’acqua dolce e altre materie prime come il legno, le medicine; servizi di regolazione, tra cui il mantenimento della fertilità del suolo, l'impollinazione delle colture da parte degli insetti, la regolazione del ciclo dell'acqua, la prevenzione dell'erosione dei suoli e il controllo del clima; i servizi legati agli habitat, i quali custodiscono la diversità genetica all’interno delle specie e sostengono i cicli di vita delle stesse specie che ospitano; i servizi culturali, che includono i benefici non-materiali, quali la ricreazione e il turismo, l’istruzione e le esperienze spirituali e culturali legate alla fruizione e al ricordo di una specie, di un habitat o di un paesaggio.
Purtroppo i benefici associati alla biodiversità e ai servizi ecosistemi e i costi del loro degrado non sono sufficientemente integrati nel processo decisionale, a tutti i livelli, sia pubblico sia privato. C’è scarsa consapevolezza di questo tra i cittadini e tra i decisori politici di ogni parte del mondo. Riconoscere l’enorme importanza della biodiversità e della natura per tutte le attività economiche fornisce una ragione politica ed economica in più per perseguire la conservazione della biodiversità e la protezione della natura e arrestare questo grave declino dell’integrità biologica del pianeta. In questo senso è interessante citare l’iniziativa globale. The Economics of Ecosystems and Biodiversity (TEEB) che si pone l’obiettivo di “rendere visibile i valori della natura”. Il TEEB valuta i costi della perdita di biodiversità e il relativo declino nei servizi ecosistemici in tutto il mondo e li confronta con i costi di un’efficace conservazione e di uso sostenibile della natura. Ci sono molti casi di successo che dimostrano che questo può portare a risparmi reali. Negli ultimi 20 anni, New York ha speso 2 miliardi di dollari per tutelare il bacino naturale che rifornisce la megalopoli di acqua pulita. Ha funzionato così bene che il 90% dell'acqua non ha bisogno di filtri o soluzioni tecnologiche. Viceversa, la costruzione di un impianto di trattamento delle acque sarebbe invece costato 10 miliardi di dollari.
Per capire l’importanza della biodiversità rispetto all’economia delle comunità e delle nazioni, pensiamo al ruolo che la biodiversità ha per il turismo. Le rive, le montagne, i fiumi, le foreste, i ghiacciai, sono le attrazioni principali per i turisti in tutto il mondo. La biodiversità contribuisce a rendere attrattive le varie destinazioni e quindi la loro competitività: ad esempio, la qualità degli habitat naturali e i progetti di conservazione di una specie o di un ecosistema contribuiscono a rendere più attraente e più competitiva una destinazione. La biodiversità è anche nei menu che sono offerti ai visitatori. Molti centri urbani aumentano il loro appeal se i parchi naturali sono ben tenuti e rispettati.
Uno studio del TEEB ha stimato che il servizio fornito dagli insetti all’umanità per il solo ruolo di impollinatori delle colture agrarie vale circa 160 miliardi d euro l’anno, mentre uno studio svizzero ritiene che lo stesso servizio svolto dalle sole api valga cinque volte il valore economico del miele.
I contributi della natura alle persone sono di importanza critica, sia per i ricchi sia per i poveri. La natura è alla base del benessere e delle ambizioni di ogni persona: dalla salute e dalla felicità alla prosperità e alla sicurezza.
La protezione della biodiversità e dei servizi ecosistemici deve diventare una responsabilità condivisa, con azioni coordinate tra la comunità della conservazione della natura e di altri settori produttivi, dal turismo all’agricoltura, dall’energia ai trasporti, dall’industria all’edilizia. Ognuno di noi può dare un contributo. La maggior parte della fauna e della flora selvatica viene distrutta dalla trasformazione di milioni e milioni di ettari foreste o steppe o prati, che ogni anno lasciano il posto a nuovi pascoli per il bestiame, per la soia, per l'olio di palma o la canna da zucchero. La maggior parte di noi acquista e consuma questi prodotti ogni giorno, con gli alimenti, i vestiti, i cosmetici. Scegliere sole opzioni sostenibili aiuta a tutelare la biodiversità (e non solo).