A partire dagli anni Settanta del secolo scorso, inizia ad assumere un'importanza centrale il concetto di giustizia ambientale. La riflessione su questo tema si basa sull'idea che se non viene rispettato il diritto delle persone a vivere in un ambiente sano, vengono lesi di conseguenza altri diritti, come quello alla salute e alla dignità umana. Intesa in questo senso, la giustizia ambientale ha una forte connotazione sociale, ed è intrecciata con principi che sono fondamentali in ogni società democratica, come l'uguaglianza, l'equità e la libertà di ognuno di perseguire gli scopi a cui assegna un valore.
Come nasce allora il concetto di giustizia ambientale e come si traduce il suo profondo legame con la giustizia sociale nelle costituzioni nazionali e nelle dichiarazioni internazionali? Lo abbiamo chiesto al professor Lorenzo Cuocolo, docente di diritto comparato dell'ambiente all'università di Genova.
“La riflessione su questo tema nasce negli anni Stati Uniti nella seconda metà del Novecento, quando il diritto all'ambiente inizia ad essere considerato strumentale all'esercizio di una serie di altri diritti costituzionalmente protetti nella maggior parte dei paesi del mondo, come quello alla salute e a condizioni di vita e di lavoro dignitose”, spiega il professor Cuocolo. “Il dibattito su questo argomento inizia infatti con riferimento alla situazione in cui si trovavano le comunità afroamericane povere, le cui condizioni di vita erano decisamente peggiori rispetto a quelle della media della popolazione, a causa delle conseguenze derivanti dall'impatto ambientale negativo. In quegli anni diventa evidente che la libertà di domicilio, ad esempio, è vanificata o comunque molto compressa se la propria abitazione si trova sotto i fumi di una ciminiera, nei pressi di una discarica oppure in una zona fortemente inquinata.
Nel corso degli anni Sessanta e Ottanta, a cominciare dagli Stati Uniti e poi in Europa, si fa strada perciò un movimento per i diritti civili che vede proprio nell'equità ambientale uno dei suoi cardini. L'idea di fondo è che gli eventuali effetti delle attività umane sull'ambiente debbano essere equamente ripartiti tra tutta la popolazione attraverso forme di equilibrio compensative, e che non sia solo la parte più debole a dover subire le conseguenze negative derivanti dall'impatto ambientale”.
Il tema della giustizia ambientale e il suo forte legame con il rispetto di diritti umani fondamentali viene ripreso anche nell'articolo 1 della Dichiarazione delle Nazioni Unite sull'ambiente umano, un documento redatto a seguito della Conferenza di Stoccolma del 1972, in cui si insiste sulla necessità di proteggere l'ambiente con lo scopo di garantire la salute e il benessere delle persone che lo abitano.
“L’uomo ha un diritto fondamentale alla libertà, all’uguaglianza e a condizioni di vita soddisfacenti, in un ambiente che gli consenta di vivere nella dignità e nel benessere. Egli ha il dovere solenne di proteggere e migliorare l’ambiente a favore delle generazioni presenti e future”.
“È necessario però che gli alti principi contenuti in questi documenti vengano ripresi e resi concreti a livello nazionale o sovranazionale”, precisa il professor Cuocolo, “altrimenti rimangono lettera morta e non sono azionabili da parte dei cittadini”.
Ciò che bisogna considerare davvero, perciò, sono le costituzioni nazionali.
“Le costituzioni che vennero approvate negli anni immediatamente successivi alla fine della seconda guerra mondiale, al contrario di quelle approvate nella parte finale del Novecento, non contenevano previsioni espresse sulla tutela dell'ambiente, perché all'epoca questo non era ancora considerato un tema di importanza tale da essere inserito in costituzione”, continua Cuocolo. “Anche quella italiana, infatti, non parla di ambiente fino alla riforma del 2001.
In ogni caso, il fatto che una costituzione non contenga previsioni espresse sull'ambiente non vuol dire necessariamente che questo non sia protetto. Laddove le costituzioni tacciono, infatti, sono spesso intervenute le corti costituzionali, che hanno trovato il modo di collegare il tema ambientale ad altri principi costituzionali.
Questo è un caso molto chiaro in Italia, dove la Corte costituzionale ha legato la tutela dell'ambiente da un lato all'articolo 9, che comprende la tutela il paesaggio, e dall'altro all'articolo 32, che recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività”, per cui in mancanza di un ambiente salubre tale diritto viene leso. Per via della giurisprudenza costituzionale si è riusciti quindi a recuperare la tutela dell'ambiente anche nei testi costituzionali che non la prevedono in modo esplicito.
Quando si parla di giustizia ambientale in questi testi normativi si fa riferimento quindi a una giustizia che ha una forte sfumatura sociale. In altre parole, siamo all'interno di una visione antropocentrica in cui l'obiettivo finale non è la protezione dell'ambiente in sé ma l'uguale protezione di tutti i cittadini e le cittadine di fronte ai danni ecologici”.
Il discorso cambia, invece, quando si parla di ecocidio, e in particolare della possibilità che questo reato possa essere dichiarato un crimine internazionale secondo la proposta avanzata da alcune associazioni ambientaliste, prima tra tutte il movimento Stop Ecocide.
“Per quanto la definizione di ecocidio non sia chiarissima, la costruzione più condivisa di questo termine rientra in una visione più ecocentrica del mondo, in cui il bene da tutelare è la natura, non gli esseri umani e la loro relazione con essa”, sottolinea il professor Cuocolo. “Il concetto alla base di questa idea è che sia necessario punire il danno alla natura in sé, al di là che questo produca conseguenze negative anche per gli esseri umani e le loro attività. Più che di giustizia ambientale parliamo, in questo caso, di giustizia climatica oppure di giustizia ecologica.
A livello normativo, questo è un tema che è stato variamente esplorato dalle corti sudamericane dove, a seconda dei casi, sono stati riconosciuti dei diritti alle foreste, ai fiumi, o alla barriera corallina. Sono stati individuati, quindi, alcuni beni ambientali come soggetti di diritti, a prescindere dal fatto che un danno causato a loro ne provochi uno anche agli esseri umani.
Ci sono alcuni ordinamenti, in particolare quelli sudamericani, che hanno introdotto questi principi nelle loro costituzioni, o comunque in fonti di rango internazionale. Questo è successo ad esempio in Bolivia, in Colombia, o in Ecuador, dove la costituzione prevede la difesa della Pachamama, ovvero della Madre Natura che ha il diritto di esistere, persistere, rigenerarsi, e seguire i propri cicli vitali. Si tratta di un'idea di natura piuttosto lontana da quella della tradizione culturale europea: è la concezione della “Madre Terra” e del buen vivir, molto importante per i popoli di quei paesi.
Ci sono poi anche alcuni esempi più vicini culturalmente ai nostri: in alcune località degli Stati Uniti, ad esempio, sono state emesse delle ordinanze relative alla pratica del fraking. Delle comunità locali hanno riconosciuto infatti dei diritti inalienabili alla natura, e siccome la fratturazione idraulica è stata considerata una pratica lesiva di tali diritti, è stata impedita indipendentemente dai vantaggi che potevano trarne gli esseri umani.
Un'altra sentenza da ricordare è stata quella della Corte d'appello di Parigi sul caso della petroliera Erika che aveva inquinato le coste del nord della Francia. In quell'occasione è stato riconosciuto risarcibile il danno ecologico puro, che consiste proprio nel danno provocato alla natura, scollegato da qualsiasi tipo di ripercussione sugli esseri umani. Tra l'altro, lo stesso presidente Macron ha proposto di inserire l'ecocidio nel codice penale francese.
Tutti questi esempi dimostrano che in molte parti del mondo, anche se con impostazioni diverse, ci si sta muovendo verso una sensibilità di questo tipo. Se qualche anno fa un tema centrale nel dibattito pubblico riguardava i diritti degli animali, ora si inizia a parlare dei diritti della natura in quanto tale”.