SCIENZA E RICERCA

I danni di una gestione forestale troppo incentrata sul cambiamento climatico

Sia in termini di mitigazione sia di adattamento, il contribuito delle foreste è ritenuto un tassello fondamentale al contrasto del cambiamento climatico. Lo stesso accordo di Parigi invita a implementare e supportare attività che riducano le emissioni tramite riforestazione e conservazione forestale.

Negli ultimi anni è nato un fiorente mercato volontario di scambio di crediti di carbonio, associati a progetti forestali in grado di assorbire anidride carbonica. Le aziende che acquistano questi crediti possono dirsi sostenibili senza modificare il proprio modello produttivo, ma delegando l’assorbimento dei gas serra a una qualche attività forestale, magari dall’altra parte del mondo, che in cambio viene remunerata.

I carbon offsets, le compensazioni carboniche, sono ritenuti anche dai Paesi in via di sviluppo uno strumento indispensabile della finanza climatica per sostenere economicamente la transizione ecologica in quella parte di mondo che altrimenti non disporrebbe delle risorse per affrontarla. Il mercato volontario delle compensazioni carboniche nel 2020 valeva 2 miliardi di dollari e si stima che nel 2050 potrebbe salire a 250 miliardi.

Tuttavia, diverse inchieste, giornalistiche e scientifiche, hanno dimostrato i problemi da cui questi strumenti finanziari sono gravati: nella maggioranza dei casi, le emissioni che un progetto forestale dichiara di assorbire sono largamente sovrastimante.


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Ora un secondo ordine di problemi associati al mercato dei carbon offsets sembra emergere da un recente rapporto della International Union of Forest Research Organization (IUFRO), ripreso anche da un editoriale su Nature. Un’analisi della letteratura scientifica degli studi pubblicati in ambito di politica forestale nell’ultimo decennio (dal 2011 al 2022) mostra una tendenza alla “finaziarizzazione” e alla “climatizzazione” dell’intero settore.

Da un lato le foreste vengono sempre di più considerate un ingrediente indispensabile nel contrasto al cambiamento climatico, e questo è un segnale importante, ma dall’altro si osserva la riduzione della gestione forestale a strumento di mitigazione climatica e a mezzo finanziario.

“Il panorama della finanza associata alla gestione forestale è cresciuta in complessità, con nuovi strumenti emergenti, incentivi, standard e obiettivi in una varietà di forme” si legge nel rapporto. “Questa crescente complessità è supportata da attori e istituzioni con interessi di guadagno economico nel breve termine, piuttosto che di sostenibilità e transizione verso un giusto governo delle foreste”.

Ciò che passa viene trascurato sono questioni almeno altrettanto importanti come la tutela della biodiversità e delle comunità umane che vivono a contatto con le foreste, le cui conoscenze sono ritenute da diverse organizzazioni delle Nazioni Unite alleate imprescindibili negli sforzi di conservazione.

“Sebbene questi discorsi esistano ancora, sono spesso piegati verso le questioni climatiche”, ribadisce il rapporto. Il problema è che questa tendenza origina proprio dalla Convenzione quadro sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (UNFCC), che ha introdotto per la prima volta nel 2013 (alla Cop 19 di Varsavia) il meccanismo finanziario dei progetti REDD+ (Reducing emissions from deforestation and forest degradation), che oggi dominano il mercato dei carbon offsets e che a fine 2023 interessavano il 60% dell’area forestale dei Paesi in via di sviluppo.

“Questa crescente “finanziarizzazione” del settore forestale (e del territorio forestale) e la ricerca di guadagni sul breve termine, “è stata criticata o per trascurare o per addirittura perpetuare le diseguaglianze, ed è stato mostrato essere una spinta per la deforestazione e per la perdita di biodiversità” rimarca il rapporto, facendo riferimento alle inchieste e agli scandali del mercato volontario dei crediti di carbonio.


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Secondo il rapporto della IUFRO tuttavia esistono meccanismi finanziari alternativi ai REDD+ e ai carbon offsets che sono più adatti a una gestione forestale che adotti un orizzonte di più lungo termine, conciliando la riduzione delle emissioni con la tutela della biodiversità e il rispetto delle popolazioni indigene. “Questa finanza può essere a livello statale (tasse, prestiti, sovvenzioni), basata sui mercati (azioni), sulla filantropia (altre sovvenzioni) o sulla finanza di comunità. Gli strumenti associati variano, da quelli che aggiustano i mercati (come la carbon tax o la land tax) a quelli che ne creano di nuovi (come i sistemi ETSemissions trading schemes)”.

Ciò che il rapporto IUFRO mette sotto i riflettori è una contraddizione, tutta in seno alle due più importante convenzioni ambientali delle Nazioni Unite, da un lato quella sul cambiamento climatico (UNFCCC), dall’altro quella sulla biodiversità (CBD). Quest’ultima prevede, con l’accordo di Montreal-Kunming, di tutelare il 30% delle terre e delle acque entro il 2030, ma il raggiungimento di questo obiettivo rischia di venir dirottato, paradossalmente, da un eccessivo affidamento a un meccanismo, i crediti di carbonio, che vorrebbe mitigare il riscaldamento globale.

A ben vedere si tratta di un caso paradigmatico di quanto la comprensione delle interconnessioni tra le diverse crisi ambientali (clima, biodiversità, inquinamento) sia fondamentale per evitare di progettare soluzioni monosettoriali che si rivelano fonti di nuovi problemi.

Nel suo editoriale, Nature invita a un maggior coordinamento tra la convenzione sulla biodiversità e quella sul clima, appellandosi primariamente ai ricercatori che lavorano in questi ambiti, dato che la questione è emersa da un’analisi della letteratura scientifica degli ultimi dieci anni.

L’appello andrebbe rivolto però anche alla comunità politica, che sta lavorando proprio in questi anni alla definizione degli schemi di funzionamento del mercato volontario dei crediti di carbonio che, comunque vadano le cose, si ritiene vivrà un’espansione considerevole nei prossimi anni.

Il Parlamento Europeo ad esempio ad aprile ha approvato un accordo su un nuovo schema di certificazione per la rimozione del carbonio, che servirà proprio a fissare le metodologie per misurare l’anidride carbonica (e i crediti a essa associati) assorbita da progetti agro-forestali (si parla in questo caso di carbon farming), da tecnologie come la DAC (Direct Air Capture) e la CCS (Carbon Capture and Storage), e quella immagazzinata per lungo periodo (almeno 35 anni) in prodotti come il legno. I dettagli dovranno venire decisi con il supporto di un gruppo di esperti ed entro quattro anni dovrebbe venir pubblicato un registro elettronico europeo.

Anche la Casa Bianca a maggio ha pubblicato nuove linee guida per le compensazioni volontarie. Stati e mercati sono fermamente intenzionati a proseguire su una strada che finora tuttavia ha dimostrato di essere vantaggiosa solo per le aziende e i soggetti che vogliono dirsi sostenibili, ma non per il clima, né per la biodiversità forestale e tanto meno per le comunità locali a cui questa finanza dovrebbe in ultima analisi essere destinata.

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