SCIENZA E RICERCA

Diversi – Le questioni di genere viste con gli occhi di un primatologo

Di che cosa parli questo libro lo dicono benissimo titolo e sottotitolo: le questioni di genere, e quindi anche le vere o presunte diversità fra maschi e femmine, viste con gli occhi di un primatologo. E che primatologo. Lui è il mitico Frans De Waal: l’unico esperto di scimmie (probabilmente, ma ci scommettiamo) che il Times abbia mai inserito nella lista delle persone più influenti al mondo. Uno che ha passato la vita a studiare, e soprattutto poi a raccontare, i primati non umani, parlando di conflitti ma anche del loro rovescio: di quando si fa la pace, di gentilezza, altruismo, empatia. E uno che è stato capace di vedere e gestire con agilità, e forse persino delicatezza, le implicazioni che ricerche di questo genere hanno avuto nel modo in cui noi Sapiens pensiamo a noi stessi.

Qui si parla di un argomento che accende gli animi, e De Waal non esita a mostrare i difetti di certe idee preconcette, talvolta ideologiche, contrapponendo loro ricerche che in decenni di osservazioni hanno raccolto tonnellate di dati. Per esempio: esistono giochi da maschi e giochi da femmine, o siamo noi adulti a condizionare i nostri piccoli umani? Ciascuno di noi pensa di avere in proposito un’opinione interessante, a buon senso. Dipende da che cosa ci fa comodo. La posizione A (chiamiamola “conservatrice”) potremmo sposarla se siamo più tradizionalisti, mentre potrebbe dispiacerci perché significherebbe che maschi e femmine hanno davvero predisposizioni diverse e quindi forse anche abilità diverse. Ma la posizione B (chiamiamola “femminista”) ci piace soprattutto se siamo dei tipi anticonvenzionali, anche se potrebbe finire per farci trascurare i desideri dei nostri figli, che, condizionati o meno, sono sempre desideri. La recensora qui apre una parentesi personale, da madre di figlia femmina. Sono stata una bambina di quelle che venivano chiamate “maschiaccio” e ho sofferto la sessualizzazione dei giochi che (erano gli anni ottanta) le maestre (tutte donne) ci imponevano (già chiamarmi “maschiaccio” era un biasimo grosso e palese). Mia figlia è una bambina allegra, non la direi particolarmente indirizzata in niente: poco fa ha dato la pappa ai suoi peluche e adesso è qui che gioca alla “corsa dei dinosauri”. In più a volte mi chiede vestiti e scarpe “rosa”. E io detesto il rosa. Che faccio? Le spiego che il rosa è un colore che si sporca e che a noi castane pallide non sta particolarmente bene? Che faccio, eh signor De Waal? Posto che ormai dei miei sentimenti non interessa più a nessuno, e che si cerca di fare il meglio per lei, che ha tre anni e che per fortuna nessuno chiamerà mai con un dispregiativo solo perché preferisce un gioco piuttosto che un altro, il signor De Waal arriva a dirmi che un po’ sì: un po’ le preferenze delle bambine potrebbero essere innate, come quelle delle loro coetanee scimpanzé. Non quella per il rosa, lei no, ma quelle per certi tipi di giochi, per esempio quelli di accudimento. Cioè: probabilmente la “corsa dei dinosauri” finirà con i dinosauri che vanno a fare la nanna e mia figlia li coccolerà e canterà loro la buonanotte, e va bene così. È allineata con la maggior parte delle sue coetanee primate, umane e non.

Attenzione però: i primati ci offrono possibilità di confronto e di riflessione. Ma in nessun caso sono modelli da emulare o da cui allontanarsi. Ci viene spontaneo giudicare secondo i nostri parametri i loro comportamenti e giudichiamo “buono” un animale che fa cose simili a quelle che facciamo noi, o che vorremmo fare. Ma non ha senso. Uno scienziato osserva e descrive e non può essere tacciato di sessismo o di maschilismo o di spregiudicatezza e immoralità se descrive le relazioni tra i sessi nelle specie che studia. Compresa la specie umana, che può essere oggetto come le altre dell’etologia.

De Waal peraltro si ritiene un femminista, in quanto essere umano, e ci tiene tantissimo a precisare con tutto l’inchiostro che ha che se anche ci sono differenze nei comportamenti tra i due generi di esseri umani di certo non ci sono differenze nelle facoltà cognitive (viene da precisare che lavorare con una di tre anni che fa la “corsa dei dinosauri” tra i tuoi piedi forse non ti rende la stella più brillante della tua comunità professionale, ma questo è un problema mio). Lo si vede anche negli animali che più ci assomigliano e ha molto senso: maschi e femmine si sono per forza evoluti insieme. E non ha nessun senso pensare che gli esseri umani siano animali diversi dagli altri. Certo: siamo esseri prevalentemente culturali e quello che facciamo dimostra in ogni istante l’intreccio inestricabile tra geni e ambiente. Ma, e di nuovo occhio al preconcetto ideologico, ci sono caratteri di quello che chiamiamo “genere” che invece sembrano provenire in tutto e per tutto soltanto “da dentro”, come l’identità di genere, cioè il sentimento di appartenenza a un genere o all’altro. Insomma: è complicata. Ci vuole la scienza e il suo rigore, e quasi cinquecento pagine di saggio.

Sì: De Waal, a volte la tira un po’ per le lunghe. Però alcuni punti del suo ragionamento sono cruciali. Storie di esperimenti sbagliati, di amicizie interspecifiche, di liti accademiche. Ripercorrendo la storia dell’etologia finisce per “osservare gli osservatori”, e per esempio nota come l’arrivo delle donne abbia cambiato radicalmente il modo di leggere i comportamenti dei primati, e quindi anche i nostri. Uno sguardo più femminile ha permesso la comprensione dei comportamenti altruistici, generosi, sociali. Ha superato le idee angelicate sul nostro genere e ci ha restituito cose come l’esistenza di gerarchie di potere, la rivalità, ma anche il sesso occasionale, che nella vecchia visione avrebbe dovuto essere prerogativa dei maschi e invece mica vero (un maschio con cui hai avuto un rapporto occasionale sarà protettivo verso la tua prole, quindi conviene batterseli a tappeto. Questo tra i primati non umani, dice).

Lungo il filo dei ragionamenti di De Waal si trova anche la conferma di tante cose che intimamente noi donne sappiamo bene, e a cui ci adeguiamo con troppa mollezza: la potenza fisica maschile sempre esibita, la voce più forte che di rado interrompiamo, e in generale la facilità con cui i maschi della nostra specie usano comportamenti prevaricatori che potrebbero ben riconoscere ed evitare, ma che fanno loro molto comodo. Poi tanto c’è qualcuno che li chiama “naturali” e li giustifica così. De Waal ne parla consapevole di essere un privilegiato (maschio, bianco, ricco, molto alto) e la sintetizza: “Una buona partenza sarebbe riconoscere le radici evoluzionistiche di queste distorsioni. Ma se è vero che i nostri amici primati ci offrono numerosi spunti, dovremmo anche considerare il potenziale della specie umana per modificare il nostro comportamento. E dobbiamo farlo con urgenza se desideriamo costruire una società in cui uomini e donne possano cooperare in condizioni di parità”.

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