SCIENZA E RICERCA

Il DNA dei vichinghi era più vario di quello odierno

Oggi la Scandinavia è essenzialmente terra di immigrazione, e di solito si pensa che questo sia un fenomeno piuttosto recente. Quando immaginiamo quelle terre nel medioevo pensiamo ai Vichinghi (dall’antico norreno vīk: “baia, insenatura”), viaggiatori ed esploratori, grandi guerrieri e predoni efferati, pronti a scorrazzare coi loro drakkar dal Mediterraneo a Terranova, da Costantinopoli alla Rus’ di Kiev. Invece no, la civiltà vichinga non era solo proiettata all’esterno: già tra l’ottavo e l’undicesimo secolo infatti essa aveva anche una grande forza attrattiva, capace di mobilitare un consistente afflusso di persone da tutta Europa. Che ovviamente hanno lasciato una traccia genetica del loro passaggio.

È quello che emerge dallo studio recentemente pubblicato su Cell da un gruppo di ricercatori guidato da Ricardo Rodriguez Varela e Anders Götherström, esperti di paleogenetica e archeologia molecolare presso il dipartimento di Archeologia e di Studi classici dell’università di Stoccolma. I campioni esaminati, 16.638 da donatori viventi e 297 genomi e genotipi antichi, 249 già pubblicati e 48 inediti, coprono un periodo di circa 2000 anni che va dal I secolo a oggi, per un’area comprendente Danimarca, Norvegia e Svezia. Tra i reperti esaminati ci sono le spoglie di 13 individui dell'epoca vichinga ritrovati a Sigtuna, che essendo stata fondata intorno al 980 d.C. è una della città più antiche della Svezia, e altre provenienti dal cosiddetto forte di Sandby Borg, nell'isola di Öland, dove nel tardo V secolo avvenne un tremendo massacro che riguardò almeno 26 persone, compresi bambini e anziani, le cui ragioni rimangono tutt’ora avvolte dal mistero. Lì vicino il 1° giugno 1676 affondò anche la nave da guerra svedese Kronan, portando con sé 800 marinai: 12 di loro hanno contribuito con il loro corredo genetico, recuperato assieme ai loro resti, alle ricerche dei biologi/archeologi autori dell’articolo.

Sono state identificate tre principali aree di provenienza delle migrazioni in epoca vichinga: le isole britanniche-irlandesi, il Baltico orientale e l'Europa meridionale. In particolare l'ascendenza britannico-irlandese risulta diffusa in tutta la Scandinavia, mentre quella baltica è di poco posteriore ed è localizzata soprattutto nell’isola di Gotland, nella valle del lago Mälaren e nella Svezia centrale. Infine, i flussi provenienti dall'Europa meridionale si concentrano in gran parte nel sud della regione.

La lettura fornisce molte informazioni e qualche sorpresa. A cominciare dal fatto che oggi in alcune regioni dell’area presa in considerazione la varietà genetica è addirittura minore rispetto a quella registrata nel medioevo. Dopo la fine dell’epoca vichinga infatti gran parte dell'influenza genetica dell'Europa orientale scompare, mentre quelle occidentale e meridionale vengono notevolmente diluite. Un calo che suggerisce che gli antichi immigrati abbiano contribuito proporzionalmente meno al pool genetico scandinavo moderno di quanto indicato dall'ascendenza dei genomi del periodo vichingo e medievale. Un dato non facile da spiegare ma che potrebbe essere dovuto essenzialmente al fatto che gli individui alloctoni avrebbero avuto una minore possibilità di riprodursi in loco, forse perché appartenenti a categorie non stanziali (come mercanti e diplomatici) o impossibilitate a farsi o a mantenere una famiglia (lavoratori molto poveri o schiavi).

Un altro aspetto sul quale lo studio ha permesso di iniziare a far luce è quello della varietà genetica all’interno delle stesse regioni nordiche, caratterizzare da un cline genetico nord-sud che risale almeno all’epoca vichinga e che allo stato attuale delle conoscenze sembra dovuto principalmente a livelli differenziali di ascendenza uralica, la quale caratterizza ad esempio la popolazione Sami nel nord della Finlandia. Tutti elementi da indagare e approfondire ulteriormente, ma che già oggi aiutano in parte a far luce sulle vicende storiche della Scandinavia, suscitando inoltre qualche riflessione. Il medioevo era probabilmente molto più “globalizzato” di quanto oggi si tende comunemente a credere, con una vitalità di scambi e di contatti uguagliata solo in epoca recentissima.

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