Negli ultimi cinquant’anni la scienza ha vissuto importanti cambiamenti anche dal punto di vista sociale, dall’internazionalizzazione delle collaborazioni alla creazioni di istituti sovranazionali. Nonostante i passi in avanti, le donne faticano ancora a emergere, soprattutto nelle posizioni più alte. Un problema, quello della Gender equality, che è stato inserito anche tra gli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu, più precisamente nel creare le stesse opportunità per uomini e donne. Secondo i dati proposti dall’Unesco institute for statistics, solo il 29% dei ricercatori nel mondo è donna.
Il primo riguarda la componente individuale, cioè quella biologica. È stato dimostrato da recenti ricerche neuroscientifiche che i meccanismi di studio e apprendimento non si differenziano in base al genere ma vengono influenzati dall’ambiente esterno, dal momento che il cervello nei primi anni di vita è malleabile. È stato dimostrato anche che i bambini che spiccano per un linguaggio scritto e una capacità spaziale (cioè la capacità di percepire, agire ed operare utilizzando le coordinate spaziali), hanno più alte probabilità di eccellere nelle materie STEM.
A questo si aggiunge la componente psicologica che può influenzare l’interesse delle bambine e adolescenti. Ci sono due fattori determinanti: la percezione di sé stessi e l’attitudine a materie scientifiche, entrambi legati comunque alla crescita e all’ambiente circostante. Gli stereotipi di genere che maggiormente vengono a galla durante l’infanzia e l’adolescenza sono “i bambini sono più bravi in matematica e nelle scienze rispetto alle bambine” e “le scienze e l’ingegneria sono di dominio maschile”. Questo, oltre alla scarsa rappresentanza di modelli femminili, influenza fortemente la scelta di carriere in ambito STEM e la fiducia nelle loro capacità, che diminuiscono soprattutto con l’avanzare dell’età.
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La famiglia e il gruppo di coetanei è il secondo fattore che può incoraggiare o scoraggiare maggiormente il percorso di bambine e ragazze nelle discipline STEM. I genitori giocano un ruolo importante: le ideologie e le aspettative che vengono proiettate nel futuro delle proprie figlie sono spesso dettate dal livello di educazione, status socioeconomico, etnia e da norme sociali più ampie. In particolare sono le aspettative della madre a influenzare maggiormente, soprattutto nella scelta dell’istruzione superiore e nelle scelte della carriera.
Il terzo fattore preso in considerazione, la scuola, è costituito dal lavoro degli insegnanti: è stato dimostrato che donne in ruoli d’insegnamento portano beneficio per bambine e ragazze in quanto rappresentano un modello d’ispirazione e aiutano a ridurre gli stereotipi di genere nell’ambito STEM. L’attenzione deve però focalizzarsi sulle dinamiche di classe, promuovendo un apprendimento paritario tra maschi e femmine, esperienze STEM per mantenere alto l’interesse e la comprensione di questi studi ed evitando processi di valutazione che includono stereotipi di genere (per esempio screditare le capacità STEM di bambine e ragazze).
I processi sociali sono l’ultimo fattore preso in esame dal report: la partecipazione di ragazze in materie scientifiche riporta un dato positivo soprattutto in società in cui l’uguaglianza di genere è maggiore. Azione mirate, come incentivi o politiche di genere, possono far aumentare il numero di ragazze e donne nelle carriere STEM.
Tuttavia, in questo fattore si inserisce anche il mondo dei mass media: sempre più spesso questo ambito è vittima di stereotipi di genere che influenzano in particolare le ragazze in età adolescenziale. Contro questa direzione e per costruire un nuovo linguaggio mediatico, nel 2016 è stata lanciata la banca dati online 100 esperte in cui sono presenti ormai più di un centinaio di nomi di esperte in STEM, economia e finanza e politica internazionale. Il progetto nasce per contrastare un dato in particolare: l’82% degli esperti che vengono interpellati dal mondo dell’informazione sono uomini. Tuttavia, come spiegano i promotori dell’iniziativa (l’Osservatorio di Pavia e l’associazione Giulia in collaborazione con la Fondazione Bracco), le esperte ci sono e possono dare il proprio apporto nei diversi ambiti della società.
Il progetto e altri temi legati alla povertà di donne nella scienza sono stati discussi in occasione del Cicap Fest: ospiti dell’incontro sono state Chiara Segrè, Supervisore Scientifico della Fondazione Umberto Veronesi e scrittrice di libri per ragazzi, Lucia Votano, direttore dei Laboratori nazionali del Gran Sasso dell’INFN, e Antonella Viola, direttore scientifico di Irp-Città della Speranza e docente ordinario di Patologia generale dell’università di Padova.
“Come Fondazione Veronesi - spiega la dott.ssa Segrè -, in ambito biologico le donne sono tantissime: l’80% dei ricercatori che sosteniamo infatti è donna. Nell’approccio scientifico, le donne non ragionano in maniera diversa rispetto agli uomini: le difficoltà, le differenze nascono dalla sfera culturale. Ci sono una serie di dati che dimostrano come il pregiudizio culturale e il contesto familiare influenzino notevolmente la carriera delle donne nell’area STEM”. “Dirigo l’istituto di ricerca pediatrica della Fondazione Città della speranza in cui la ricerca è quasi completamente al femminile. Il mio ruolo - racconta Antonella Viola - non è solo quello di dirigente ma anche di mentore: una fonte d’ispirazione per le donne più giovani, dimostrando loro che si può ambire a posizioni importanti, e promotrice di un ambiente in cui le differenze di genere non esistono”.
“Quando mi confronto con il mondo esterno - sostiene la prof.ssa Votano -, tutto sommato le discriminazione in ambito scientifico sono molto meno plateali che in altri casi, sono più subdole ed è per questo che forse sono anche più difficili da estirpare. È chiaro che c’è ancora molto da fare per raggiungere la parità: credo sia il momento giusto in cui le donne, oltre che lottare per raggiungere la piena realizzazione delle proprie aspirazioni, debbano passare all’attacco. Il problema delle donne nella scienza è un “problema nel problema”. In Italia si fa poca ricerca: mi piacerebbe che le ricercatrici caratterizzassero la loro lotta d’ora in poi prendendo in mano anche questa battaglia”.