Notte del 23 ottobre 1942: il sole è tramontato da poco nel deserto egiziano, 100 chilometri a ovest di Alessandria, vicino al mare. A un tratto oltre mille cannoni di grosso calibro iniziano a martellare le postazioni tedesche e italiane.
Non si sa perché quel luogo si chiami El Alamein, in arabo ‘le due bandiere’; sta di fatto che da mesi nella zona si fronteggiano le forze dell’Asse e quelle degli Alleati: in gioco c’è il controllo del Nord Africa, via naturale per attaccare la ‘fortezza Europa’. La sproporzione a favore degli angloamericani comandati da Montgomery è tale che lo scontro dovrebbe chiudersi in poche, eppure Regio Esercito e Afrikakorps riescono a bloccare l’offensiva per giorni, a prezzo di perdite enormi. Un costo altissimo soprattutto per la Divisione Folgore: quando finalmente il 4 novembre le armi tacciono a ricevere l’onore delle armi sono poche centinai di soldati, unici superstiti di 5.000 loro compagni.
Per ricordare quella sconfitta onorevole, in cui gli italiani riuscirono parzialmente a recuperare l’onta di Beda Fomm (dove, disorientati, avevano subito un umiliante tracollo nel corso della prima offensiva britannica) proprio il 23 ottobre ha aperto a Palazzo Ferro Fini, sede del Consiglio regionale del Veneto, la mostra fotografica “El Alamein 1942. Italiani in guerra sul fronte nordafricano”, che durerà fino al 28 novembre (aperta da lunedì a venerdì dalle ore 10.00 alle ore 17.00; ultimo ingresso ore 16.00).
“La mostra nasce in seguito alle attività svolte in seno al Progetto El Alamein, che va avanti dal 2008 e si compone di molte iniziative: 10 anni di ricerche sul campo con oltre 20 missioni scientifiche, che hanno portato tra l’altro alla posa di 82 cippi commemorativi e alla creazione di un parco storico”, spiega a Il Bo Live Aldino Bondesan, docente di geografia fisica e di geomorfologia presso l’università di Padova e curatore della mostra assieme Toni Vendrame. Un’opera tanto più importante visto che in pochi anni una buona parte del campo di battaglia sarà ricoperta da New El Alamein City, una metropoli da due milioni di abitanti progettata dal governo del presidente Al Sisi.
Diventa quindi essenziale preservare la memoria di quella che è stata una delle battaglie più importanti della seconda guerra mondiale: una delle tre che, assieme a quelle di Stalingrado e delle Midway, sono considerate un vero e proprio giro di boa nel corso degli eventi, “The turning of the tide” secondo la definizione di Churchill. Da lì in avanti, complice la strenua resistenza sovietica e l’entrata in guerra degli americani, l’iniziativa sarebbe infatti definitivamente passata alle truppe alleate. “El Alamein è un punto nodale di svolta – continua Bondesan –; la sconfitta apre infatti la strada all’invasione dell’Europa, tanto che nel giro di pochi mesi gli Alleati sbarcheranno in Sicilia”.
“ El Alamein, assieme alle battaglie di Stalingrado e delle Midway, è un giro di boa nella storia della seconda guerra mondiale
Più difficile da definire e controversa è la questione dell’impatto di quella ‘gloriosa sconfitta’ sull’identità nazionale: “Si trattò di una sorta di riscatto per gli italiani – conclude lo studioso – una battaglia persa ma combattuta con coraggio rispetto a un nemico superiore per numero ed equipaggiamento, talvolta nella misura di 15 a uno”. In particolare si rivelarono decisivi gli oltre 1000 carri e 200 semoventi schierati dagli inglesi, quasi tutti meglio armati e protetti rispetto ai 500 corazzati italiani, di cui solo poche decine con caratteristiche paragonabili a quelle delle centinaia di nuovi carri americani Sherman e Grant.
Nei 32 pannelli tematici di grande formato che compongono la mostra viene ripercorsa la storia della campagna in Africa Settentrionale e in particolare sulle tre battaglie di El Alamein, con foto d’epoca e attuali, disegni e cartine geografiche. Lo scopo è duplice: informare le nuove generazioni su una pagina importante della storia italiana e allo stesso divulgare il progetto di riallestimento della nuova sala dei cimeli del Sacrario Militare Italiano di El Alamein, a cui darà il suo contributo scientifico anche il Dipartimento di Scienze storiche, geografiche e dell’antichità dell’università di Padova, con il supporto volontario di molti associati alla Società Italiana di Geografia e Geologia Militare (SIGGMi).
Un impegno per la memoria storica, quello della Regione Veneto e dell’università, che è stato simbolicamente ricompensato con la consegna al rettore Rosario Rizzuto, lo scorso 7 maggio, di una delle bandiere del Sacrario di El Alamein.