SCIENZA E RICERCA

Grafene: silicio del futuro?

Il grafene può essere un semiconduttore, persino più performante del silicio: lo dice uno studio recentemente pubblicato su Nature da ricercatori cinesi e statunitensi. Del resto sulle proprietà di questo nanomateriale, formato da un singolo strato di atomi di carbonio disposti secondo un reticolo esagonale come le celle di un alveare, è da diversi anni concentrata l’attenzione di scienziati e ricercatori di tutto il mondo. 

“C'erano molte aspettative sullo sfruttamento delle proprietà quantomeccaniche del grafene, che in realtà non nasce come materiale semiconduttore, per questo quello illustrato dallo studio è un notevole risultato”, commenta per Il Bo Live Alessandro Paccagnella, docente di elettronica presso il Dipartimento di ingegneria dell'informazione (DEI) dell'Università di Padova, dove tra le altre cose si occupa di tecnologie digitali e microelettronica nella globalizzazione.

Intervista di Daniele Mont D'Arpizio; montaggio di Barbara Paknazar

“Il grafene è un materiale estremamente interessante – continua Paccagnella –. Facilmente reperibile e sintetizzabile, è uno dei principali candidati a rimpiazzare il silicio, che è fantastico ma ha anche dei limiti: ad esempio tende a non emette luce, cosa che farebbe ad esempio molto comodo per fabbricare led di nuova generazione a bassissimo consumo energetico, come quelli al nitruro di gallio ai quali lavorano colleghi ricercatori del Dei in collaborazione con il gruppo guidato dal premio Nobel Hiroshi Amano. Ci piacerebbe anche avere dispositivi che riescano a gestire tensioni molto elevate, ben oltre i nostri 220 volt: in questo caso si tende a rimpiazzare il silicio con altri materiali come ancora il nitruro di gallio o il carburo di silicio”.

Finora il problema principale con il grafene è stato che, trattandosi di un semimetallo, esso è in origine privo di una proprietà essenziale dei semiconduttori: il cosiddetto band gap, fondamentale per accendere o spegnere il circuito. Per anni si è tentato di produrre senza successo nanonastri di grafene con proprietà di semiconduttori, cercando di alterarne le caratteristiche con procedimenti chimici o fisici, fino a quando i ricercatori si sono imbattuti nell'epigrafene. Quest’ultimo è una tipologia di grafene che si forma sui cristalli di carburo di silicio (SiC ) quando questo viene trattato a temperature elevate. In questo caso, scrivono i ricercatori dello studio pubblicato su Nature, si forma uno strato di epigrafene semiconduttore (SEG) con un band gap di 0,6 elettronvolt (eV) e una mobilità di 10 volte superiore rispetto al silicio e 20 volte più grande rispetto a quello degli altri semiconduttori bidimensionali. Un materiale robusto e facilmente manipolabile, il che lo rende particolarmente adatto alla nanoelettronica del futuro.


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Detto questo secondo Paccagnella siamo ancora lontani dalla fine dell’era del silicio: “Nei microprocessori e nelle memorie che usiamo, comprese quelle alla base della rivoluzione in atto su intelligenza artificiale e machine learning, tutta la parte digitale è fatta e continuerà a ungo a essere fatta sul silicio. Abbiamo ormai dispositivi che contengono miliardi o decine di miliardi di transistor in un centimetro quadro, e quale semiconduttore riesce a garantire questo tipo di integrazione? Sempre il silicio. Al di là dell’aspetto scientifico dello studio appena pubblicato, sicuramente interessante, il punto è se e quando con altri materiali si riuscirà ad arrivare a tecnologie altrettanto affidabili, riproducibili ed economicamente significative e vantaggiose”.

Colpisce comunque vedere una ricerca così importante firmata congiuntamente da ricercatori cinesi e statunitensi, mentre i loro Paesi da qualche tempo si confrontano più o meno aspramente in molti ambiti, da quello geopolitico a quello appunto tecnologico. “Si tratta comunque di laboratori e di finanziamenti cinesi – conclude il docente – e il messaggio è interessante perché ci dice che la Cina sta puntando con successo sulle tecnologie più avanzate, partendo sostanzialmente dalla ricerca di base. Un dato che fa pensare”.

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