SCIENZA E RICERCA

L’ingegnoso esperimento di Flügge per studiare la contagiosità per via aerea

Siamo a fine Ottocento, e c’è un problema. Cioè: ce n’è più di uno ma finalmente c’è anche una spiegazione. È stato identificato l’agente infettivo responsabile della tubercolosi. Robert Koch lo ha riconosciuto e isolato nel 1882, e ha finalmente dimostrato la contagiosità della malattia (peraltro stabilendo i fondamentali postulati che stabiliscono la relazione causa-effetto delle malattie infettive). Ma come avviene il passaggio del germe?

Nella disputa scientifica si distingue l’igienista tedesco Carl Georg Friedrich Wilhelm Flügge, al lavoro a Breslavia (oggi Polonia), a cui dobbiamo una buona parte della comprensione della contagiosità per via aerea delle malattie. Stiamo parlando di starnuti, colpi di tosse ma anche solo chiacchiere ad alta voce. E di esperimenti ingegnosi che sono riusciti a valutarla prima dell’invenzione di telecamere e altri strumenti sofisticati con cui oggi si studia la diffusione dei nostri umori. Vale la pena di raccontarli e di raccontare com’è che il professor Flügge è diventato eponimo delle goccioline di saliva infette (nella storia della medicina, ad altri è andata decisamente meglio).


Flügge nasce nel 1847 e muore nel 1923, è tedesco, lavorerà all’università di Breslavia e poi di Berlino, e conosce Koch e tutti gli altri protagonisti della scienza biomedica dell’epoca. È un professore importante (sarà anche rettore) e pubblica libri di testo letti in tutto il mondo. La sua domanda chiave, in questo caso, è: per trasmettere la tubercolosi serve il malato o basta l’ambiente in cui ha stazionato? E il malato a quale distanza è contagioso? E come?

Notate che le goccioline di saliva non si vedono (se si vedono sono molto grandi e possiamo chiamarli “sputi”!) quindi il problema di Flügge è quello di riconoscerle in qualche modo. Gli vengono incontro le piastre di Petri, cioè le piastre di coltivazione dei batteri che erano state appena inventate dall’assistente di Koch Julius Richard Petri. 

Flügge allora prende alcune persone (sono modelli di malati, non veri malati) a cui fa fare gargarismi con un batterio che cresce facilmente in coltura (la Serratia marcescens). Poi li chiude in una scatola di vetro di tre metri cubi al centro della quale c’è una sedia con davanti un tavolo. Sul tavolo, sulle pareti del box, per terra, a diverse distanze, tutte ben calcolate, ci sono piastre di Petri.

Flügge invita i “malati” a parlare e a tossire. Li fa uscire dalla scatola di vetro, con enorme cautela. Poi prende le piastre e le analizza, una per una. Per verificarne la contaminazione inietta il gel diluito nel peritoneo di alcuni conigli che sacrifica e studia. I conigli risultano infetti, contagiati in due casi su tre. Allora Flügge ripete l’esperimento ma stavolta davanti alla bocca dei “malati” mette un fazzoletto. Rifà tutto daccapo. E nota che stavolta, con un fazzoletto davanti alla bocca, i conigli infetti sono la metà. Poi rifà l’esperimento cambiando i tempi: le piastre di Petri hanno un coperchio che si apre e si chiude da fuori, grazie a un sistema di cordini. E continua a ripetere l’esperimento con nuove varianti, per esempio con correnti d’aria in direzioni diverse. Ogni volta, valuta la crescita batterica sulla piastra e nei conigli.

La conclusione? Finché nella scatola c’è il malato si ammalano molti conigli, appena il malato esce la percentuale di conigli malati sul totale diminuisce. Ma finché nella scatola c’è il malato, i conigli si ammalano anche con piastre poste a grande distanza, di diversi metri, soprattutto se il malato tossisce o, peggio ancora, starnutisce.

Vi sembra un risultato ovvio? Oggi, forse, è comprensibile. Ma quando Flügge lo mette per scritto è il 1897 e non tutti i suoi colleghi la prendono bene. C’è anche chi lo deride. Però c’è chi lo segue e trasferisce subito la sua scoperta nella pratica medica. Come l’amico chirurgo Johann von Mikulicz – Radecki che a quel punto non ci pensa due volte e introduce in sala operatoria una grandissima e semplicissima invenzione per coprire naso e bocca: la mascherina. Ma questa è un’altra storia.

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