SCIENZA E RICERCA
Le prime pitture rupestri minacciate dal cambiamento climatico
Pitture rupestri nella grotta di Sumpang Bita, Sulawesi, Indonesia. Foto: Franco Viviani
“Difficile dire cosa si prova di fronte a quelle impronte di mani sulle pareti delle grotte, le ‘firme’ dei nostri progenitori. Poi ci sono le raffigurazioni delle loro prede: volevano propiziare la caccia o per scusarsi di averli uccisi? È come entrare nella mente di persone vissute decine di migliaia di anni fa”. Franco Viviani si emoziona ancora quando ripensa alle pitture rupestri sull’isola di Sulawesi, nell’arcipelago indonesiano. “Verso la metà degli anni ’80 un gruppo di speleologi padovani e trevigiani mi invita ad aggregarmi alle loro missioni, prima nelle Filippine e poi in Indonesia, alla ricerca di grandi grotte carsiche da esplorare – racconta oggi l’antropologo padovano a Il Bo Live –. Così mi decido di unirmi a loro, in gran parte autofinanziandomi”.
Il resto lo racconta lo stesso studioso in un recente articolo: quando nel 1985 il gruppo approda nella grande isola indonesiana del Sulawesi si imbatte in una grotta a Sumpang Bita, una modesta cavità profonda appena 24 metri. Gli speleologi vogliono andare oltre ma Viviani si accorge che sulle pareti ci sono decine di dipinti: “Insisto per fermarsi a fotografare e documentare tutto. Più facile a dirsi che a farsi: ci servono pennarelli e teli di plastica per fare i rilievi dei dipinti a grandezza naturale, ma il villaggio più vicino è a 50 chilometri. Andiamo a prenderli con le canoe, attraversando paludi e foreste”.
Lo studioso, oggi docente a contratto di basi antropologiche dell’attività fisica presso l’università di Padova, diventa così uno dei primi a documentare scientificamente le pitture rupestri in Sulawesi, note dagli anni ‘50 ma ancora poco studiate. Finché nel 2014, nella grotta di Leang Timpuseng, una pittura rupestre viene datata da un gruppo di ricercatori australiani come risalente ad almeno 43.900 anni fa. Prima di ad allora si pensava che le raffigurazioni più antiche fossero in Europa, ma le famosissime raffigurazioni di Lascaux e Altamira non arrivano a 20.000 anni (anche se recenti ricerche tendono in parte ad anticiparle): “un duro colpo per nostro eurocentrismo” scherza oggi Viviani.
La scoperta ha un’importanza incalcolabile da molti punti di vista: anticipa e sposta in maniera determinante l’atto di nascita dell’arte figurativa e di quella narrativa, e forse anche la spiritualità e la religione, decisive per lo sviluppo del pensiero simbolico (come evidenzia Yuval Noah Harari in saggi fortunati come Sapiens e Homo Deus). Nelle grotte indonesiane sono presenti impronte di mani e di piedi, babirussa e anoa, sorta di piccoli cinghiali e di bufali nani tipici dell’isola. Tra le immagini più interessanti ci sono poi i cosiddetti teriantropi: forse la prima rappresentazione di esseri metà animali e metà uomini. Si tratta di stregoni o di sciamani primordiali? Secondo Viviani “gli animali in quanto archetipo rappresentano gli strati profondi dell'inconscio e dell'istinto, simboli dei principi e delle forze cosmiche, materiali o spirituali: associarli a un uomo è pertanto un salto qualitativo non indifferente. Può darsi che gli antichi abitanti usassero travestirsi da animali o, forse più plausibilmente, che si identificassero in parte con l'animale da cacciare”. L’importanza delle pitture rupestri va insomma molto al di là dell’aspetto artistico: sono le prime storie di cui ci è arrivata traccia e forse non solo quello: “Si pensava che lo sciamanesimo avesse avuto origine circa 12.000 anni fa nell’attuale Israele, nel periodo di transizione tra caccia/raccolta e agricoltura, ma secondo queste raffigurazioni ibride potrebbe essersi manifestato ben prima. Sia come sia, forse dovremmo interpretarle come uno stadio dello sviluppo spirituale umano”.
“ Si pensava che lo sciamanesimo avesse avuto origine circa 12.000 anni fa, ma secondo queste raffigurazioni potrebbe essersi manifestato ben prima
La nuova datazione, che sconvolge tutte le precedenti teorie sulle prime espressioni artistiche, è stata effettuata dall’équipe guidata da Maxime Aubert della Griffith University del Queensland, che ha sfruttato una nuova tecnica: nel corso dei secoli infatti a causa dell’umidità si sono accumulati sui dipinti sottili strati di minerali, detti coralloidi o ‘popcorn di grotta’. Questi aggregati contengono uranio naturale che decadendo in torio permette di datare le raffigurazioni, un po’ come avviene per i reperti organici con il carbonio-14. Quando così la fama delle grotte di Sulawesi si diffonde attraverso la rivista Nature, Franco Viviani viene a sapere che i dipinti che ha visto e documentato trent’anni prima potrebbero essere tra i più antichi al mondo: decide allora di tornare in Indonesia, mettendosi in contatto con Aubert. Ad accoglierlo però trova un’amara sorpresa: proprio i ‘suoi’ dipinti non possono essere più datati; poco dopo il soggiorno degli studiosi italiani infatti qualcuno ha deciso di ‘restaurarli’, ridipingendoli e alterandoli irrimediabilmente.
Ancora oggi Viviani trattiene a stento la delusione: “Poco dopo la nostra visita la zona è divenuta un’importante attrazione turistica, tanto che oggi esiste addirittura un sentiero a scalini per accedere alla grotta. Un vero e proprio scempio, anche se condotto in buona fede”. Con una conseguenza importante: oggi le foto e il rilievo di Viviani rappresentano l’unica documentazione dell’aspetto originale del sito; il suo lavoro si sta inoltre rivelando preziosissimo per studiare il processo di degradazione dei dipinti, che purtroppo negli ultimi anni appare sempre più inesorabile. “Guardando le mie foto e confrontandole con la situazione attuale è molto chiaro: purtroppo la roccia si sta sfaldando a causa dell’inquinamento e probabilmente anche dei cambiamenti climatici, che stanno portando a un aumento dell’umidita che mette in pericolo tutti i dipinti della zona”. Inquinamento e Co2 non minacciano insomma solo l’ambiente e la vita di intere popolazioni, ma anche la culla dell’arte: il primo disegno dell’umanità.