SCIENZA E RICERCA
Solitudine delle persone anziane: sfide e soluzioni per superare l'isolamento
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La solitudine e l'esclusione sociale incidono profondamente sulla salute delle persone anziane. Vedovanza, pensionamento con cambio di abitudini e perdita delle relazioni, problemi fisici e difficoltà di movimento. E ancora, figli lontani o mai avuti, ageismo con conseguente invisibilità ed esclusione dalla vita sociale. La solitudine (non desiderata) delle persone in età avanzata può avere diverse cause, ma gli effetti sono quasi sempre devastanti e peggiorano notevolmente la qualità della vita dell'anziano, aumentando il rischio di depressione e minando una salute fisica già rallentata dal naturale invecchiamento. Tra gli elementi determinanti si citava la vedovanza: il lutto coniugale, dopo una vita passata insieme, è un evento sconvolgente per la persona anziana, capace di stravolgere l'equilibrio in questa fase delicata e fragile dell’esistenza: uno studio dell'università di Bologna, condotto su dati Inps raccolti tra il 2014 e il 2022, ha evidenziato come la perdita del coniuge influenzi l’aspettativa di vita dei pensionati anziani in Italia, soprattutto per quanto riguarda gli uomini. Restano soli, si sentono vulnerabili, senza punti di riferimento: i primi mesi dopo la perdita sono i più critici. Tra i pensionati maschi il rischio di mortalità è maggiore del 35% rispetto ai coetanei sposati, per le donne l’incremento è del 24%. In Italia la popolazione anziana è in aumento, molte persone vivono da sole, in seguito alla perdita del coniuge, eppure non vengono "viste" restando in un limbo di silenzio e invisibilità.
Il nostro Paese sta vivendo un declino demografico, è tra i più anziani del mondo e, prese singolarmente, nove regioni italiane sono tra le venti più anziane di tutta l’Unione europea. Prendendo in considerazione l’età media della popolazione in Italia, vediamo che negli ultimi 20 anni, cioè tra il 2004 e il 2024, è aumentata da 42,3 a 46,6 anni. Inoltre, come rivela l’Istat, l’indice di vecchiaia ha raggiunto la quota di 199,8 persone di 65 anni e più, ogni cento persone di 0-14 anni, con un aumento di oltre 64 punti percentuali. Siamo sempre più vecchi e questa non è una questione solo anagrafica. Nel suo report annuale sulla situazione del Paese, l’Istat ricorda che “essere giovani, adulti o anziani non risponde più soltanto a fattori di ordine biologico e anagrafico; c’è, anzi, una progressiva crescita della distanza tra l’età anagrafica, la sua rappresentazione sociale e la percezione che ne hanno gli individui. I tempi e i modi con cui si passa dall’età giovane a quella adulta e da questa all’età anziana dipendono, da un lato, dalle condizioni economiche e dagli stili di vita e, più in generale, dal capitale umano degli individui; dall’altro, dal contesto istituzionale e sociale in cui i membri di ogni generazione reinterpretano i propri percorsi di vita”.
Di solitudine delle persone anziane abbiamo parlato con Erika Borella, docente di Psicologia dell’invecchiamento all'università di Padova, direttrice del master in Geropsicologia per la longevità e le demenze e della Scuola di specializzazione in Psicologia della salute, responsabile del Servizio di psicologia dell’invecchiamento e della longevità Scup - Centro di ateneo dei servizi clinici universitari psicologici. Con Rossana De Beni, ha curato il manuale di Psicologia dell’invecchiamento e della longevità (Il Mulino).
La nostra riflessione inizia dall'analisi delle cause, le circostanze che favoriscono la condizione di solitudine.
"In primo luogo è importante definire cosa è, e cosa non è, solitudine. La solitudine è uno stato emotivo, soggettivo e negativo, di isolamento, in cui la persona si percepisce isolata, disconnessa e non supportata dalla propria rete di relazioni, anche se non è effettivamente sola o isolata. Tale stato emotivo nasce dalla discrepanza tra ciò che la persona desidera, e si aspetta dalle proprie relazioni sociali, e la sua esperienza reale, che non rispecchia appunto le aspettative. Anche se spesso sono utilizzati in modo interscambiabile, la solitudine non si deve confondere con l’isolamento sociale, che invece è l’oggettiva mancanza di una rete di relazioni sociali e opportunità di socializzazione. La fascia di popolazione anziana è particolarmente vulnerabile alla solitudine e all’isolamento sociale essendo più frequentemente esposta a fattori di rischio e circostanze di vita che favoriscono questi fenomeni: cambiamenti nelle condizioni di salute fisica e psicologica, il pensionamento, lutti, trasformazioni nell’ambiente di vita, per esempio il trasferimento in una nuova abitazione. Le cause, le condizioni e le dinamiche che possono favorire sentimenti di solitudine nell’anziano sono molteplici e, proprio per questo, la solitudine assume sfumature differenti in ogni individuo, anche in base ad altre caratteristiche individuali, quali il sesso, le condizioni socio-economiche e le predisposizioni di personalità. In generale, un altro fattore di rischio che può esacerbare sentimenti di solitudine e l’isolamento sociale nella popolazione anziana, da non sottovalutare, è l’ageismo, ovvero l’insieme di credenze, atteggiamenti e aspettative non corretto, tutt’oggi diffuso nella società e condivise dagli anziani stessi, che dipingono la vecchiaia come una fase della vita caratterizzata da inesorabile declino di risorse".
Quanto una condizione di costante solitudine può incidere sulla qualità della vita, la salute mentale e quella fisica dell'anziano?
"La solitudine e l’isolamento sociale nuocciono alla salute quanto il fumo o l’obesità, tanto da annoverarle tra le priorità di salute a livello globale. La solitudine è associata a una maggior incidenza di disturbi cardiovascolari, a una ridotta efficienza del sistema immunitario e a un maggior rischio fragilità, dipendenza funzionale e mortalità, oltre che ad ansia, psicosi, depressione e un minor benessere psicologico percepito. Non solo, sentimenti di solitudine persistenti e gravi possono compromettere il funzionamento cognitivo della persona, ridurre la fiducia interpersonale e aumentare la sensibilità agli stimoli sociali negativi, e sempre più studi riconoscono la solitudine come uno dei fattori di rischio di sviluppare disturbi neuro-cognitivi, come la demenza. Anche nelle persone con demenza, come rilevato in uno studio condotto dal gruppo di ricerca che coordino, la solitudine ha un chiaro impatto sulla qualità di vita percepita dalla persona, oltre a essere associata, in base alla gravità del disturbo - demenza -, anche all’efficienza delle abilità comunicative e al tono dell’umore. I meccanismi che spiegano perché solitudine e isolamento impattino sulla salute psico-fisica della persona adulta-anziana sono molteplici. In particolare, a livello comportamentale sentimenti di solitudine e l’isolamento sociale spingono la persona ad adottare stili di vita, abitudini e un ambiente poco stimolante che, a lungo termine, possono ripercuotersi negativamente sulla sua salute. Allo stesso tempo, a livello psicologico e fisiologico/biologico, la solitudine innesca meccanismi e risposte molto simili a quelle dello stress cronico, con conseguenze negative per la salute psico-fisica della persona".
Il periodo storico in cui viviamo peggiora le condizioni di isolamento e accresce l’ageismo, la discriminazione, la poca attenzione e cura nei confronti degli anziani?
"Certamente il periodo storico, abbinato a una visione ageista della vecchiaia, peggiorano la condizione di solitudine e isolamento di questa fascia di popolazione. Il fatto che la definizione di ageismo sia del 1969, e che già Terenzio definiva la vecchiaia senectus ipsa morbus est, ci fa però riflettere su quanto sia radicata nella società una visione errata e negativa dell’avanzare dell’età e dell’anziano".
Cosa resta oggi dell’esperienza di isolamento vissuta durante la pandemia? Gli effetti sulle persone anziane sole si sentono ancora?
"In realtà, come dimostrato da numerosi studi, durante le varie fasi che hanno caratterizzato la pandemia, l’isolamento da Covid ha avuto un impattato più marcato sulle giovani generazioni rispetto alla fascia di popolazione anziana, per certi versi già 'abituata' all’isolamento. Con il mio gruppo di ricerca abbiamo dimostrato come siano stati gli anziani, rispetto alla controparte giovane, a percepirsi meno soli durante il lockdown, a riportare minori emozioni negative e una maggior resilienza nei periodi di isolamento. Questi risultati riflettono uno dei 'guadagni' che caratterizza l’avanzare dell’età, ovvero la differente e più efficiente regolazione emotiva che porta la persona anziana, nonostante le difficoltà, a livello fisico e mentale, e le sfide quotidiane, a mantenere uno stato di benessere psicologico uguale se non addirittura superiore a quello riportato dal giovane adulto. Se il Covid non ha di per sé esacerbato la condizione di isolamento e solitudine della persona anziana, ha sicuramente aiutato a portare alla luce questo delicato tema, date le ripercussioni che ha sulla salute psico-fisica dell'adulto anziano di cui abbiamo appena discusso".
Per approfondire: Emotional, Psychological, and Cognitive Changes Throughout the COVID-19 Pandemic in Italy: Is There an Advantage of Being an Older Adult?
Quali le sfide, e le strategie e i modelli da seguire per avviare interventi e definire soluzioni di supporto nei confronti della persona anziana sola?
"In primis, sarebbe necessaria un’operazione culturale importante per abbattere la visione errata sull’anziano, una cultura gerontofobica che ostacola il prepararsi a invecchiare 'bene'. Nessuno di noi pensa che domani sarà anziano e che le abitudini e lo stile di vita che sta adottando oggi determineranno il suo futuro, come anziano. Invecchiamento di successo/attivo significa capacità di adattamento alle molteplici circostanze che la vita pone, e non mera assenza di malattia, né perdita, limitazioni o solitudine. Ecco che, a tutte le età e lungo l’arco dell'intera vita, assume un ruolo sempre più centrale la capacità degli esseri umani di immaginare se stessi e il mondo e di costruire futuri possibili e realizzabili. Costruire un invecchiamento e una longevità consapevoli ha quindi uno stretto legame con la capacità di immaginare, a partire da ciò che si conosce, si esperisce e si prova nel contesto storico e fisico in cui si è inseriti, di regolare e autoregolarsi, di allargare e accrescere conoscenze nuove, di decidere e agire. Inoltre, campagne di promozione di un invecchiamento in salute, che include la prevenzione fisica e quella mentale - abilità cognitive e benessere psicologico -, per le persone che stanno vivendo questa fase della vita, sono estremamente importanti per intercettare e risolvere eventuali problematiche prima che queste diventino croniche. Il Servizio di psicologia dell’invecchiamento e della longevità del centro di ateneo, per esempio, offre screening preventivi del funzionamento cognitivo in un’ottica di promozione della longevità. Pre-occuparsi, ovvero occuparsi prima, della salute delle nostre capacità mentali è una prima forma di cura e la prevenzione, anche a livello del benessere mentale e psicologico, può garantirci di vivere bene e a lungo, riducendo il rischio di sviluppare disturbi neuro-cognitivi come la demenza. Invecchiare è una sfida e accompagnare le persone sostenendole è prioritario. Non è un caso che nell’agenda 2020-2030 per la promozione di un invecchiamento in salute, tra le priorità, vi siano le campagne per combattere l’ageismo. Iniziative e politiche che mirino a minimizzare l’ageismo, dal volontariato si centri di aggregazione, hanno un ruolo chiave per favorire il coinvolgimento sociale di questa fascia di popolazione. Nell’ambito dei servizi socio-assistenziali, poi, è importante per i professionisti incorporare strumenti di screening che permettano di valutare e monitorare solitudine e isolamento sociale. È necessario sottolineare, come già detto all’inizio, che la solitudine assume sfumature differenti in ogni individuo, non vi è quindi un’unica soluzione o un intervento, individuale o di gruppo, che possa soddisfare tutte le esigenze: quando si parla di solitudine e isolamento sociale, gli interventi vanno cuciti su misura, adattati alle esigenze e alle peculiarità della persona e della comunità di riferimento".
Quale il ruolo delle RSA? Possono essere viste come luoghi di soluzione e superamento della solitudine o come bolle di ulteriore isolamento?
"Difficile rispondere. Se il tema della solitudine e dell’isolamento sociale nella fascia di popolazione anziana che vive a domicilio sta ricevendo oggi maggior attenzione, paradossalmente sono ancora relativamente pochi gli studi che hanno analizzato questi aspetti all’interno delle residenze per anziani. Queste ultime sono sicuramente un luogo di cura e, come dice Giorgio Pavan, che coordina parte delle attività del master di secondo livello in Geropsicologia per la longevità e le demenze, 'non è importante dove vivi, ma come ti senti', e io aggiungo 'e come le persone, che si prendono cura di te, ti riconoscono, al di là della routine di cura'. Anche in questo caso, il miglioramento della consapevolezza dei bisogni della persona e la possibilità di accedere a servizi di supporto, spesso caratterizzati da ostacoli relativi alla accessibilità da parte degli anziani, non sono aspetti secondari".
Come valuta il co-housing come modello abitativo per anziani autosufficienti? Può essere una soluzione capace di favorire l'invecchiamento attivo?
"Il co-housing è una soluzione molto promettente. Un modello di casa condivisa che comporta, però, un rivisitazione della cultura dell’abitare e il suo valore sociale. Tra i vari vantaggi vi è quello di superare situazioni di solitudine, rafforzare o creare reti amichevoli e relazionali. Le persone anziane svolgono un ruolo attivo, sono coinvolte nei processi decisionali e pratici, aspetti imprescindibili per un invecchiamento di qualità".
Il caso dei centenari. Le relazioni, le piccole comunità e i luoghi della vita lenta possono essere considerati una possibile soluzione?
"Certamente, ma tutto deve avere come base di partenza la considerazione dell’anziano da un altro punto di vista, adottando una prospettiva che metta al centro la persona al di la dell’età che ha; una prospettiva che permetta di riconoscere le potenzialità e i punti di forza della persona 'over', nonostante l’età. In generale, vi è la necessità di interventi di salute pubblica che prendano in considerazione e agiscano anche sui fattori sociali e migliorino le condizioni di salute della fascia di popolazione anziana. Inoltre, vi è la necessità di una maggior consapevolezza di quali siano i bisogni della persona anziana e una maggior possibilità da parte di questa fascia di popolazione di accedere a servizi di supporto dedicati".
Il progetto di Coabitazione intergenerazionale attivato dall'ateneo di Padova, in collaborazione col Comune di Padova, offre una soluzione alle tante richieste di locazione a costi sostenibili da parte di studenti e studentesse fuori sede ed è anche un progetto che può rivelarsi prezioso per gli over 65, che mettono a disposizione una stanza della loro casa, aiutandoli a superare eventuali condizioni di isolamento e solitudine (le convivenze infatti sono singole, ad eccezione di una coppia di coniugi che ospita due studentesse).
Attraverso la coabitazione, giovani e anziani possono instaurare rapporti di amicizia, collaborazione e condivisione di esperienze. Non un rapporto assistenziale ma una convivenza attiva, un'opportunità di confronto e scambio tra la popolazione studentesca e i cittadini over 65. Dei cinque abbinamenti sperimentati nel 2023, due sono stati riconfermati e, a questi, ora si sono aggiunte 15 nuove coabitazioni partite tra settembre e novembre 2024: 7 ragazzi e 8 ragazze, di cui 11 italiani e 4 stranieri (1 studentessa belga, 1 studentessa colombiana, 1 studente indonesiano, 1 studente dello Yemen). L'età degli ospitanti è variabile: la proprietaria più giovane non è ancora in pensione, la più anziani ha 91 anni e conduce una vita attiva e pienamente autosufficiente.
La prima edizione del progetto è stata raccontata in una puntata di Caro Marziano, il programma condotto da Pif su Rai 3.
Guarda il video che racconta la storia di Emanuele, studente fuorisede del corso di laurea magistrale in Scienze per il paesaggio, e Gianfranca, una cittadina padovana con esperienze nell'ospitalità di studenti e visitatori, che ha scelto di aderire al progetto.