CULTURA
Scrivo dunque esisto, la letteratura "migrante" di Stanišić
Nel panorama letterario contemporaneo italiano, come anche in altri paesi occidentali, negli ultimi decenni si è assistito a un interessante fenomeno di scrittori “adottati”, spesso chiamati “migranti”, che però scrivono in italiano. Sono narratori provenienti da altri paesi, giunti in Italia per motivi economici o politici, spesso fuggiti da guerre o situazioni drammatiche, da regimi totalitari o dalle regioni rischiose e povere.
Hanno bisogno di raccontare la loro storia ai nuovi compaesani, ai nuovi amici, a tutti coloro che sono pronti ad ascoltare. Il loro racconto è spesso auto-terapeutico e catartico; le loro narrazioni, non di rado drammatiche, intrise di nostalgia, non sono il frutto della fantasia, ma sono reali e tragicamente vere.
Quando si lascia un paese, il paese in cui si è nati e cresciuti, non è mai facile. Certamente il desiderio di sopravvivere o di vivere meglio e il bisogno di essere liberi sono più forti della paura, della nostalgia, di qualsiasi altro sentimento avverso. Si resta sempre in bilico tra un “qui” e un “lì”, tra un “adesso” e un “prima”, tra due stati, due città, due case, due culture, due lingue, sempre in mezzo e mai completamente da una o dall’altra parte. Sradicati dal paese nativo e mai del tutto trapiantati in quello adottivo.
Per superare questi traumi, la lingua e la letteratura vengono in aiuto, raccontando il desiderio di aprirsi e di accettare la nuova condizione esistenziale, e non solo, come si potrebbe immaginare, quello di essere riconosciuti con la propria identità. Il vissuto precedente, affatto diverso rispetto alla nuova vita e al nuovo ambiente, le perdite importanti subite e l’impossibilità di tornare indietro, le storie sconosciute di una vita ieri e altrove – tutto questo diventa il materiale di cui scrivere.
Questi autori spesso sono intellettuali ricchi di talento, e con una grande esperienza. Pertanto la poesia o la narrativa che producono in italiano sono fonti di arricchimento letterario e linguistico per la lingua e la letteratura del nostro paese, grazie alle tantissime interferenze storiche, linguistiche, stilistiche e semantiche che contengono, e grazie ai percorsi interiori e di vita che restituiscono.
Sono prevalentemente scrittori provenienti dall’Africa, dal Bacino del Mediterraneo, dall’Asia e dal Medio Oriente, dall’Est Europa o dai Balcani. Nello specifico, in Italia vivono diversi autori jugoslavi (o, per meglio dire, sloveni, croati, bosniaci, serbi, montenegrini, macedoni) che ora, qui, scrivono in italiano e possono essere considerati a tutti gli effetti scrittori italiani. Quello che li differenzia dai "nativi", oltre ai i temi che ricorrono, è l’uso non immediato e spesso non del tutto automatico della lingua, che viene adottata e fatta propria, laddove invece non scrivano e siano quindi tradotti dal serbo-croato.
Una di queste voci, a volte riservata, timida e umile, altre volte potente, ironica, forte, è quella di Božidar Stanišić, scrittore serbo nato in Bosnia-Herzegovina, da quasi 30 anni residente in Friuli. Stanišić nasce nell’allora Jugoslavia, nella Repubblica federale di Bosnia e Herzegovina, dove vive fino allo scoppio della guerra, negli anni Novanta del secolo scorso. Contrario alla violenza e al conflitto armato tra le varie etnie che fino a quel momento convivevano in pace, Stanišić decide di fuggire da quell’inferno, portando con sé anche la moglie (croata) e il figlio piccolo. Attraversato il confine tra la Slovenia e l’Italia, si ferma subito lì, nella provincia di Udine, dove vive tutt’oggi. Laureato in letterature jugoslave all’Università di Filosofia a Sarajevo, docente di Lingua serbo-croata e letteratura jugoslava in un liceo prima della guerra, si trova costretto a lasciare casa, città e paese e a fuggire altrove per proteggere la propria famiglia e per salvaguardarsi la vita. L’alternativa, per lui inaccettabile, sarebbe stata quella di imbracciare le armi e combattere contro il prossimo.
In Italia Božidar Stanišić ha pubblicato diversi romanzi, racconti e poesie: I buchi neri di Sarajevo (pubblicati la prima volta nel 2003 e ripubblicati dai tipi di Bottega Errante nel 2018), Il cane alato, Piccolo, rosso e altri racconti, infine il romanzo La giraffa in sala d’attesa uscito qualche mese fa (Bottega Errante, 2019). Stanišić scrive sia in italiano che in serbocroato, lingua che chiama “il mio yiddish”, perché scompare come un paese, un mondo e un tempo già scomparsi.
La sua scrittura è una testimonianza e insieme un’esigenza. Variazioni sul tema dell’esilio, della nostalgia per un mondo e un tempo che furono, una mescolanza di geografia fisica (tra Balcani e Friuli) e interiore, l’intreccio delle culture, a volte lo scontro aperto e la non-accettazione della realtà, il racconto della solitudine e della difficile integrazione sono tutti aspetti del suo percorso letterario e umano. Pacato ma inesorabile, Stanišić racconta la sua storia (e di tanti come lui) e ci insegna con una riflessione profonda e ironica (tipicamente bosniaca) quanto possa essere arricchente attingere valori da due culture, quella originaria e questa d’adozione, e quanto la letteratura “d’altri” possa essere a tutti gli effetti parte integrante della nostra.
“Migrazioni ci sono sempre state” scriveva Crnjanski, sono un processo umano prima ancora che un topos letterario universale, uno dei più ricorrenti e più incisivi nella letteratura mondiale, fin dai tempi di Gilgamesh. E di questo gli scrittori che migrano parlano: solo in una seconda fase l’esigenza di scrivere l’autobiografia viene superata, e si passa ad altro. Ma lo sfondo spesso rimane inalterato. La cornice di ogni loro romanzo, di ogni loro racconto rimane la storia infinita della memoria e della nostalgia che non li abbandoneranno mai.