CULTURA

La svolta di Galilei, il primo dei contemporanei

Piacciono i numeri tondi alle ricorrenze, sempre più usate come pretesto per iniziative commemorative. Quest’anno ricorrono i 450 anni dalla nascita di Galileo e varie città, in Italia e nel mondo, festeggiano l’evento con numerose manifestazioni. Nell’occasione sarà coniata una particolare edizione della moneta da due euro recante l’effigie di Galileo, e sarà emesso un francobollo commemorativo. Ci si potrebbe domandare perché non festeggiare i 432, i 444 o i 456 anni della nascita. Ma in fondo ormai siamo tutti avvezzi a quest’uso.

Quello che invece è o sarebbe importante cogliere in queste occasioni è il significato ancora attuale che l’opera e la vita di grandi personaggi del passato rappresentano. E gli stimoli che ne possono venire. In questo senso la vita e l’opera di Galileo offrono innumerevoli spunti. Se ancora oggi Galileo è festeggiato in tutto il mondo, la ragione risiede prima di tutto nel fatto che è universalmente riconosciuto il suo fondamentale contributo a delineare il metodo della scienza moderna. Da Galileo in poi le “sensate esperienze” (percepite coi “sensi” amplificati e non mortificati o distorti dall’uso di strumenti) devono unirsi alle “certe dimostrazioni”, espresse nel linguaggio matematico. Se questo è in fondo un dato ben noto, spesso si dimentica il fatto che per capire le “sensate esperienze” è necessaria libertà e assenza di “auctoritas”. Come si legge in una lettera del 1624 di Galileo a Francesco Ingoli: “Or qui, prima ch’io passi più oltre, vi dico che, nelle cose naturali, l’autorità d’uomini non val nulla; ma voi, come legista, mostrate farne gran capitale: ma la natura, Signor mio, si burla delle costituzioni e decreti de i principi, degl’imperatori e de i monarchi, a richiesta de i quali ella non muterebbe un iota delle leggi e statuti suoi”.

La grandezza di Galileo sta nella sua consapevole presa di distanze dalle autorità, dalla tradizione e dalle mode dominanti, e in un approccio ai problemi della conoscenza della natura così innovativo che quando si leggono i suoi scritti sembra di leggere gli scritti di uno scienziato di oggi. Anche per questo la figura di Galileo è diventata l’emblema di una svolta. Prima di Galileo la conoscenza dei fenomeni naturali era essenzialmente legata all’osservazione diretta; da Galileo in poi l’osservazione si integra con la sperimentazione. Prima di Galileo gli strumenti erano pochi, usati per alcune misure matematiche e astronomiche o più spesso impiegati per soddisfare bisogni quotidiani; da Galileo in poi gli strumenti diventano ineliminabili ausili per ampliare le conoscenze scientifiche. Prima di Galileo il latino era la lingua predominante nei testi di filosofia naturale (la scienza della natura di oggi); dopo Galileo inizia a diffondersi l’uso del volgare, accompagnato dall’esigenza di introdurre nuove definizioni di termini in uso e neologismi sia per nominare nuovi strumenti o nuovi effetti, sia per evitare che il significato comune di una parola potesse viziare il significato del termine scientifico.

A partire da Galileo, la scienza della natura è diventata una delle più alte espressioni della cultura, contraddistinta da altre forme di sapere per il suo ancorarsi ai fatti. Per svilupparla sono necessari passione e competenza, lo studio paziente e non sempre facile, l’aquisizione di un sapere che non parla di verità eterne ma solo di “verità fino a nuovo ordine”, dove non vale l’autorità ma valgono i fatti, dove non vince chi strilla più forte ma chi ragiona e porta risultati riproducibili. Tutti elementi importanti del farsi della scienza, e insieme insostituibile presupposto di una piena democrazia e di un miglioramento generale della qualità della vita.

Dai contributi galileiani si possono trarre alcune utili indicazioni attinenti la formazione e la ricerca scientifica. Una formazione che presenti un sapere frammentato e si concentri sulla specializzazione, come troppo spesso avviene nel nostro Paese ma non solo, non è una buona formazione scientifica. Una carriera scientifica che privilegia il “pubblica o muori” e quindi privilegia le ricerche di moda, quelle con ricadute applicative immediate, quelle dove più alto è il numero di pubblicazioni ottenibili in poco tempo e super citate, difficilmente porterà a quelle “connessioni inattese” che, come sostiene Poincaré, sono la base del progresso scientifico. Si mortificano così quelle regioni di confine della scienza che, come scriveva Wiener, il padre della Cibernetica, “offrono le più ricche opportunità” per lo sviluppo scientifico e che “sono allo stesso tempo le più refrattarie alle tecniche in voga dell’attacco di massa e della suddivisione del lavoro”. Sono indicazioni che purtroppo oggi non vengono tenute in gran conto, nel nostro Paese ma non solo, col rischio di mettere una seria ipoteca sul futuro del sapere scientifico.

Una seconda riflessioni stimolata dall’opera galileiana è relativa all’importanza dell’impegno degli scienziati nella diffusione di cultura scientifica. La divulgazione è un’ottima occasione per lo scienziato di cimentarsi con l’uso della lingua italiana nell’esposizione della propria disciplina, imparando a sfruttare al meglio le molteplici possibilità che questa offre e, per certi versi, favorendo un suo arricchimento, come fece Galileo. Al contrario, nel nostro Paese, la divulgazione risulta in larga parte affidata a testi tradotti da altre lingue, in particolare dall’inglese, risolvendosi spesso in un impoverimento dell’italiano della scienza.

Un’ultima riflessione riguarda le recenti direttive ministeriali che spingono le università a tenere corsi di laurea in inglese. A detta dei nostri ministri dell’università, questo favorirebbe l’internazionalizzazione, attraendo studenti dall’estero e permettendo alle nostre università di collocarsi in posizioni migliori nelle graduatorie internazionali. A parte il fatto che si potrebbe obiettare che, se gli studenti non vengono in Italia, è più per l’assenza d’infrastrutture adeguate che per l’ostacolo della lingua, è indubitabile che gli scienziati italiani abbiano preparato e preparano con corsi di laurea tenuti in italiano persone che hanno occupato e occupano posizioni prestigiose in tutto il mondo. Quello che però sembra davvero sfuggire a chi porta avanti simili proposte è un altro aspetto. La lingua madre permette di far capire e introiettare concetti, idee, sentimenti in un modo che difficilmente si ripropone con una lingua appresa successivamente. La comprensione e l’appropriazione dei concetti base della scienza, essenziale per poter dare contributi originali al suo sviluppo, avviene anche tramite la lingua. È la lingua madre che suggerisce immagini, analogie e metafore. Di tutto questo cosa potrà restare in un corso tenuto in inglese da una persona che non è di madre lingua inglese e rivolto a persone che non sono di madre lingua inglese? Ancora una volta varrebbe la pena rimeditare sulla grande lezione di Galileo, scienziato e socio dell’Accademia della Crusca.

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