SOCIETÀ
Piatto povero, turismo ricco
Foto: Berthold Steinhilber/laif/contrasto
Gli spaghetti alla bolognese? Un gastrotoponimo falso visto che nessun ristorante bolognese lo propone né l’ha mai proposto nel suo menu. La piadina? Un prodotto della Romagna che Rimini ha fatto proprio. Il pane con le meusa? Vera star dello street food palermitano proposto ai turisti.
Cibo e turismo: un legame forte che spesso determina la meta di una vacanza o ne segna il ricordo, per cui la promozione del cibo, del piatto tipico, del bicchiere di vino diventa un elemento strategico per la valorizzazione del territorio. Il marketing territoriale promuove non solo i luoghi, ma anche il consumo dei loro prodotti alimentari. Da qui il fiorire di percorsi enogastronomici, di agriturismi, di festival e sagre.
“La prima traccia degli spaghetti alla bolognese la troviamo nella pubblicità di un ristorante torinese alla fine dell’Ottocento, ma l’epopea di questo piatto culmina negli Usa nel 1926 quando la sua ricetta appare sul Los Angeles Times. La storia degli spaghetti alla bolognese ci dice che i fenomeni che hanno fatto conoscere il cibo italiano nel mondo sono tre: l’emigrazione, la guerra e il turismo” racconta Patrizia Battilani dell’università di Bologna, intervenuta al congresso “Il cibo e la città” tenutosi al Bo nei giorni scorsi.
Un mito in cui il legame con la territorialità non ha bisogno di rappresentare un elemento identificativo, perché in realtà “alla bolognese” significa all’italiana tout court. L’Italia piace e il cibo è uno dei prodotti italiani che seduce di più. Spesso il turista che vuole visitare l’Italia impara la lingua per poter godere al meglio il suo viaggio e chi viene in vacanza in Italia ricorda che il piacere nasce semplicemente dall’essere seduto in una terrazza con un bicchiere di vino rosso, pane e formaggio. Nessun ricordo arzigogolato ma un paradosso: divento ciò che consumo e per questo l’Italia non è un prodotto, ma un essere, e questo alimenta il mito del viaggio in Italia.
Il cibo “semplice”, lo street food, sembra allora essere una delle armi del marketing turistico, e ogni città sfrutta le sue risorse. Rimini ha fatto dello street food un elemento vincente, usando dal 2012 chef stellati per presentare la piadina, cibo povero per eccellenza, e quest’anno commissionando una serie di “cartoline” all’artista Cattelan, che per la prima volta ha associato il cibo alla città. Come al solito, le sue scelte hanno suscitato dibattito, ma resta il fatto che i suoi Saluti da Rimini commissionati dall’amministrazione comunale rilanciano un volto della città che non può passare inosservato.
A Palermo, invece, il cibo da strada diventa la possibilità di vivere un’esperienza palermitana al 100%: un “privilegio” che fa sentire il turista unico e in relazione con la città “vera” grazie alle guide che con il tour di StrEat Palermo a piedi attraverso le piazze storiche e i mercati popolari del centro cittadino insieme alla storia e ai monumenti gli fanno conoscere i segreti più intimi della cultura popolare palermitana condendola con soste a pasticcerie, taverne e rosticcerie.
Molto più sofisticato il cibo simbolo di Siena, il panforte, la cui storia si intreccia strettamente con quella della città. Un simbolo che nasce nel medioevo nelle botteghe degli speziali e interpretando i gusti delle varie epoche arriva ai giorni nostri, addolcito con lo zucchero a velo nel 1887 in onore della regina Margherita. La nascita del “Panforte Margherita” costituisce – a suo modo – una tappa della storia politica della città. Il popolo senese, da sempre fortemente radicato alle tradizioni, seppe cogliere occasione dell’arrivo del re e della regina d’Italia a Siena per dare uno slancio vigoroso e innovativo alla propria storia: anche la cucina, in questo contesto, diviene elemento sintomatico di un progetto più di ampio respiro portato avanti dalla classe dirigente locale nell’amministrazione e nello sviluppo economico della città.
Non basta però una tradizione gastronomica solida per costruire un’immagine gastronomico-turistica di un luogo se questa non è storicamente sedimentata nell’immaginario collettivo. È il caso del Molise che, pur avendo una cultura gastronomica ricca e articolata, ma simile a quella delle regioni limitrofe (Campania, Abruzzo e Puglia), non è infatti identificabile chiaramente né con un suo prodotto né con un piatto tipico. Con un occhio al marketing enogastronomico, i ristoratori locali stanno quindi puntando su un piatto espressione di una società contadina povera, che utilizzava il mais, per preparare il pane e che lo accompagnava e/o insaporiva con le verdure, “pizza e foglie” o “pizza e minestra”: “Era il piatto tipico del tardo autunno e dell’inverno. Era un pasto per saziare con poco ma che resta ancora oggi vivo nella memoria dei molisani di Roma, Montreal e Rosario e si presta a una facile preparazione e a una gradevole degustazione anche nei mesi estivi”, racconta Ilaria Zilli dell’università del Molise, “ma solo la verifica della sua capacità evocativa anche fuori dal Molise potrà però giustificare una scelta più definitiva e quindi la valutazione di come impostare una campagna di marketing territoriale su di un piatto così particolare”.
Il valore aggiunto che un territorio ottiene dal riconoscimento Unesco è la carta vincente calata dal Piemonte, con la promozione a Patrimonio dell’Umanità dei paesaggi vitivinicoli di Langhe, Roero e Monferrato. La riqualificazione, la valorizzazione e la promozione di un bene quale il paesaggio non passano esclusivamente attraverso la salvaguardia e la tutela imposte mediante vincoli e restrizioni, ma si possano accompagnare ad un sapiente e consapevole programma di interventi migliorativi e di sviluppo, organizzati secondo progetti guida: è la Green Landscape Economy, così è stata battezzata questa nuova tendenza dell’economia turistica. Pare che la “patente” di Patrimonio dell’Umanità valga una campagna pubblicitaria da due milioni di dollari all’anno, e un aumento del 15-25% di visitatori nel giro di cinque anni.
Uno scenario decisamente stimolante per un Paese che dovrebbe puntare sul bello, sull’arte, sul paesaggio, sul cibo e sulla tipicità-unicità per affrontare attrezzato il cambiamento degli scenari economici e produttivi.
Donatella Gasperi