SCIENZA E RICERCA
Antartide: i cambiamenti climatici e perché dobbiamo preoccuparcene
Il monte Erebus in Antartide. Foto: Archivio Bonatti/Contrasto
L’ambiente antartico è sempre stato stabile. L’ambiente marino antartico è un luogo remoto che, sin dalla fine dell’ottocento, ha attratto l’attenzione dei ricercatori, interessati alla descrizione di organismi sino ad allora sconosciuti. Le prime spedizioni hanno portato all’identificazione di numerose nuove specie altamente specializzate per la vita in acque gelide. Queste specie continuano a essere di estremo interesse dal punto di vista fisiologico, ecologico ed evolutivo. Gli ecosistemi antartici sono ritenuti molto stabili per quanto riguarda la loro composizione ed organizzazione. Ciò è dovuto al fatto che per quasi 20 milioni di anni si sono evoluti in un ambiente isolato geograficamente e con temperature stabili sotto lo zero. La modificazione del clima – in alcune regioni del polo Sud anche molto rapida – sta costringendo gli organismi antartici ad affrontare cambiamenti ai quali potrebbero non essere preparati. Tra i vari aspetti di perturbazione, sono particolarmente preoccupanti l’aumento della temperatura, l’acidificazione e l’intensificazione della radiazione ultravioletta ma anche altre cause di degrado ambientale non vanno trascurate, come l’aumento degli inquinanti, l’arrivo di specie invasive (inclusi i numerosi turisti) e l’intensificarsi della pesca di alcune specie (krill e alcune specie di pesci). L’impegno della ricerca scientifica è quello di individuare i maggiori fattori di stress ambientale e valutarne gli effetti biologici ed ecologici. Vista la complessità del problema, l’approccio non può che essere interdisciplinare e deve tener conto dell’effetto combinato dei fattori di stress e dei loro cambiamenti nel futuro. Lo scopo è quello di definire in modo chiaro i possibili scenari cercando di mettere in atto soluzioni e strategie di conservazione e gestione della straordinaria - e per molto versi unica - biodiversità antartica. Diversi gruppi di ricerca italiani, anche nell’Università di Padova, da anni si impegnano in questa sfida.
Il riscaldamento globale e altri spiacevoli cambiamenti/evoluzione climatica antartica. La circolazione oceanica antartica influenza tutto il pianeta. Ciò significa che i cambiamenti in Antartide potrebbero avere ripercussioni in tutto il mondo. Il mantenimento della copertura di ghiaccio in Antartide è quindi essenziale per mantenere l’equilibrio di tutto il pianeta Terra.
Come i cambiamenti fisici/climatici in Antartide potranno avere un’influenza su scala “globale”? A questa domanda è difficile dare risposta ma è certo che i cambiamenti climatici che interessano l’Antartide non rimarranno confinati al polo Sud. È già evidente che aree geografiche molto estese dell’Oceano meridionale sono interessate da uno o più processi di cambiamento climatico e l’estensione e durata della copertura del ghiaccio marino hanno subito forti variazioni. Le previsioni ci dicono che questi fenomeni si intensificheranno nel futuro.
Due tempi due misure: ecosistemi e individui. L’aspetto preoccupante sta nel fatto che, nonostante esistano ormai numerosi studi su singoli aspetti, manchi ancora un quadro integrato degli effetti a livello biologico ed ecologico che potrebbero essere determinati dalla pressione dei cambiamenti ambientali osservati. Questi effetti sono diversi a seconda della scala temporale che si considera. In una prospettiva di lungo termine ci dobbiamo attendere cambiamenti che coinvolgeranno non solo le singole specie o popolazioni ma l’intera struttura delle comunità degli ecosistemi. Possiamo infatti prevedere cambiamenti nei ritmi del ciclo vitale (fenologia), variazioni della distribuzione geografica e di profondità di alcune specie, alterazioni dei rapporti tra popolazioni, estinzioni locali, arrivo e proliferazione demografica di specie invasive, perturbazione delle reti alimentari (trofiche) e in generale delle relazioni tra le specie (ad esempio con intensificazione della competizione). Queste predizioni bene si adattano all’ambiente marino antartico per via della sua complessità e ricchezza in specie. Gli effetti di simili fenomeni potrebbero avere ripercussioni su larga scala, per esempio in termini di produzione di ossigeno, assorbimento di anidride carbonica, decomposizione e ri-mineralizzazione della sostanza organica e sostentamento di tutte le reti trofiche fino ai predatori apicali - pinguini, foche, balene – alcuni dei quali compiono grandi migrazioni per raggiungere l’Antartide.
Tutti questi fenomeni saranno però dipendenti dalla suscettibilità e tolleranza ai cambiamenti ambientali dei singoli individui e delle singole specie. Per via dell’elevato grado di adattamento alle basse temperature degli organismi marini antartici (la temperatura dell’Oceano Meridionale è mediamente di circa -2°C con piccolissime oscillazioni nell’arco dell’anno), ci si attende che la temperatura sia l’elemento chiave a determinare la vulnerabilità di questi organismi. Infatti, gli esperimenti di laboratorio suggeriscono che l’intervallo di temperature che possono tollerare sia stretto e che gli effetti fisiologici dell’avvicinamento ai limiti di questo intervallo potrebbero implicare l’aumento dei costi metabolici, la perdita di performance riproduttiva, il rallentamento della crescita e instabilità molecolare. La ricerca delle basi genetiche di queste risposte in termini di espressione genica (quali geni si attivano o si spengono quando cambiano le condizioni ambientali) è in corso per alcuni gruppi di organismi. Questo approccio permette di investigare meglio processi che avvengono in tempi più rapidi, a livello del singolo individuo. Nei pesci antartici, ad esempio, questi studi stanno già fornendo indicazioni di forti differenze nella capacità di adattamento delle diverse specie, delineando un quadro piuttosto preoccupante per alcuni organismi che mostrano una elevata suscettibilità all’aumento anche di pochi gradi della temperatura.
Perché dobbiamo preoccuparci? Lo studio degli ecosistemi antartici sta sicuramente avanzando velocemente ma ancora troppe domande hanno bisogno di una risposta. Centinaia di preziosi singoli studi stanno fornendo informazioni sugli effetti dell’aumento della temperatura o la diminuzione del pH sulla disponibilità di nutrienti, la demografia di vari comparti della rete trofica, la fisiologia dei singoli individui, le dinamiche della copertura del ghiaccio e le conseguenze possibili sull’ecosistema marino esposto ad una maggiore irradiazione UV. Tutte queste informazioni però non permettono ancora di decifrare la complessità ecologica e le relazioni causa-effetto tra i vari fenomeni. I risultati ottenuti finora indicano chiaramente una vulnerabilità intrinseca degli organismi marini antartici ai cambiamenti climatici sia per via dello stress fisiologico dovuto all’aumento della temperatura (accentuato dalla diminuzione del pH e dall’intensificazione della radiazione UV) sia per via della possibile perdita di habitat indispensabili alla loro sopravvivenza. Certamente, lo stato di perturbazione climatica antartica è meno drammatico di quanto si osservi nell’artico e molte specie potranno sopravvivere in aree rifugio sempre più a sud. Non è chiaro però, se le loro capacità di adattamento, che richiedono la riconfigurazione degli assetti genetici per far fronte a nuove pressioni selettive, saranno abbastanza rapide da tenere il passo con l’accelerazione dei cambiamenti climatici. Dovremo elaborare strategie che riducano l’impatto di questi cambiamenti sull’ecosistema antartico anche attraverso efficaci politiche di cooperazione internazionale. Questo deve spingere la ricerca biologica sempre di più verso il confronto con altri ambiti di ricerca per ridurre il più possibile l’impatto delle attività dell’uomo su un ecosistema delicatissimo che si è evoluto in milioni di anni e che rischia di essere compromesso irreparabilmente in pochi decenni.
Chiara Papetti, Lorenzo Zane, Tomaso Patarnello