Le mie nipotine a tavola con ospiti hanno lanciato il gioco di “dire una cosa che non c‘entra niente” al fine di sabotare la linea del discorso degli adulti. Al clima surreale che genera tale gioco mi ha fatto immediatamente pensare la lettura del piano americano peace to prosperity, a new vision for the Palestine people, articolato in un documento di 96 pagine, con un flyer pubblicitario di 40, presentato dal consigliere speciale di Trump Jared Kushner nel workshop “Prosperity to Peace” svoltosi martedì e mercoledì scorsi a Bahrain. La lontananza del piano dal discorso sulla questione palestinese, dal suo contesto effettivo, dalla situazione storica e dai problemi reali dei palestinesi costituisce una vetta assolutamente irraggiungibile nella gara di “dire una cosa che non c‘entra niente”, tale da rendere impossibile ogni competizione.
In realtà il documento reso noto è solo la prima parte, quella economica, del piano americano per “l’accordo del secolo” fra Israele e i palestinesi, annunciato dal presidente Trump in più occasioni; ignora completamente la problematica politica per affrontare il presente conflitto, con tutte le sue ramificazioni: definizione di confini, soluzioni per i rifugiati, evacuazione degli insediamenti israeliani, lo status di Gerusalemme, la stessa nozione dello Stato palestinese. La parte politica del piano non verrà presentata prima delle elezioni in Israele, per non creare possibili problemi a Netanayahu e alla costituzione di un solido governo di destra. Alcuni osservatori ritengono che in realtà il documento politico non sia ancora definito e che reiterati roboanti annunci possano servire per la campagna di rielezione di Trump.
L’obiettivo del documento economico è di “dare alla popolazione palestinese la capacità di costruire un futuro migliore per loro e i loro figli”, trasformando la Cisgiordania e Gaza in una “società prospera e vibrante”, un “attivo centro commerciale e turistico … modello di sviluppo a livello mondiale”.
L’idea è di creare un fondo “amministrato da una banca multilaterale di sviluppo”, controllata dai paesi beneficiari, che in dieci anni finanzi 215 progetti per un totale di 50 miliardi di dollari; non vi è indicazione dell’origine del fondi previsti, i donatori dovrebbero essere i ricchi paesi del golfo o venire dal settore privato.
I progetti sono raggruppati in tre parti: liberare il potenziale economico (153 progetti), dar forza alla popolazione (36 progetti) e potenziare l’amministrazione (26 progetti), mirando a rafforzare il settore privato in tutti i campi. La realizzazione del piano dovrebbe creare un milione di posti di lavoro, riducendo la disoccupazione sotto il 10%, raddoppiare il prodotto nazionale lordo, dimezzare la povertà, aumentare le esportazioni, assicurare disponibilità di acqua ed energia, ridurre la mortalità infantile, allungare l’attesa di vita da 74 a 80 anni, ridurre la corruzione, creare un sistema fiscale equo…
Il nuovo fondo intende sostituirsi alle varie forme internazionali autonome di sostegno ai palestinesi (inclusa la UNRWA dell’ONU), che dal 2006 al 2016 hanno donato circa 2,2 miliardi di dollari annualmente. Nonostante questi finanziamenti, 50 anni di occupazione hanno ridotto l’economia palestinese in una condizione di sottosviluppo e povertà, con calo della produzione agricola e disoccupazione fino al 30%. Va anche ricordato che l’amministrazione Trump ha annullato i finanziamenti americani, incluso il sostegno agli ospedali di Gerusalemme Est, che curano bambini e malati di cancro.
Molti progetti sono riformulazioni di attività già in corso, altri affrontano evidenti necessità, quali la creazioni di infrastrutture, connessioni stradali, acquedotti e reti elettriche, il potenziamento degli ospedali e del sistema scolastico, la creazione di registri di proprietà. Grande spazio viene dato al potenziamento del turismo, con la costruzione di alberghi e strutture balneari a Gaza, il recupero e la valorizzazione dei siti storici e religiosi, anche in progetti che integrano attività in Egitto, Giordania e Libano, paesi con cui dovrebbero essere agevolati i collegamenti e i movimenti con la Cisgiordania. I finanziamenti sono destinati direttamente agli imprenditori privati e operatori diretti, escludendo il coinvolgimento delle autorità politiche palestinesi anche nel potenziamento dei servizi amministrativi.
Il documento dichiara che i progetti derivano da documenti di pianificazione governativi, proposte del settore privato e analisi indipendenti, con modelli presi da Germania, Svezia, Hong Kong, Lisbona, Singapore, Tel Aviv, Dubai, Polonia, Giappone, Corea del Sud, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Taiwan, paesi Baltici, situazioni che veramente che non c‘entrano niente con la realtà palestinese di paese militarmente occupato.
Il piano presuppone che gli aspetti politici, l’occupazione israeliana e lo scisma fra i leader di Gaza e della Cisgiordania siano semplicemente svaniti e sembra trattare la Palestina come se fosse sulla luna. Kushner propone di spendere 5 miliardi di dollari per connettere Gaza alla Cisgiordania, ignorando che non si tratta solo di costruire una monorotaia, ma di superare l’opposizione politica israeliana. Un’altra proposta prevede un finanziamento da 2 miliardi per dotare i palestinesi di un’infrastruttura wireless da 5G, senza indicare come superare l’opposizione dell’esercito israeliano, che solo lo scorso anno ha permesso di installare in Cisgiordania un sistema 3G (un decennio rispetto al resto del mondo). Il miliardo destinato allo sfruttamento del giacimento marino di gas naturale (Gaza Marine gas field) dovrebbe rendere Gaza autonoma per il fabbisogno energetico, ammesso che Israele, improvvisamente, permetta all’autorità palestinese di poterne disporre. Viene completamente ignorato il ruolo di Israele, incombente su tutti gli aspetti della vita e dell’economia palestinese a rendere irreale tutto il dettagliato piano di Kushner.
L’autorità palestinese ha deciso di boicottare l’evento; Mahmoud Abbas ha dichiarato ai giornalisti stranieri “abbiamo certamente bisogno di aiuti economici, finanziamenti e assistenza, ma prima di tutto serve una soluzione politica”. A seguito dell’assenza dei palestinesi, per non creare problemi ai paesi arabi, gli organizzatori hanno deciso di non invitare Israele, che invece ha dichiarato il suo favore per il piano; sono stati comunque presenti alcuni operatori economici privati israeliani.
La delegazione americana all’evento a Manama ha incluso il Segretario al tesoro Steven Mnuchin, il rappresentante speciale per l’Iran Brian Hook e gli assistenti presidenziali Kushner e Jason Greenblatt, che ha definito “apolitico” il convegno. Favorevoli al piano si sono dichiarati Bahrain, Qatar, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, soprattutto per rafforzare le relazioni con gli USA in veste anti-Iran. Il Libano e l’Iraq non hanno accolto l’invito escarso è stato anche l’entusiasmo di altri invitati: un diplomatico europeo ha dichiarato che le rappresentanze si sono mantenute al livello minimo che non apparisse offensivo; Egitto e Giordania hanno inviato solo dei sottosegretari alle finanze. Gli organizzatori hanno anche limitato la presenza della stampa internazionale.
Molte parole sono state dette a Manama, che c’entrano più o meno, incluso “grande successo”, ma, per vincere la gara, nessuno ha udito alcune estremamente rilevanti: annessione, diritti umani, insediamenti, rifugiati, evacuazione, occupazione, sovranità, libertà, uguaglianza...