SCIENZA E RICERCA

Un chip mille volte più veloce

Un chip in 3D consentirà di aumentare di 1.000 volte la velocità e la potenza dei nostri computer. Rinnovando lo spirito della Silicon Valley, lo ha messo a punto un ragazzo, Max Shulaker, che deve ancora conseguire il PhD presso il Dipartimento di ingegneria elettrica della Stanford University, a Palo Alto in California.

Il chip è la componente elettronica a base di silicio su cui sono depositati i circuiti integrati che processano l’informazione nei computer. Il chip è entrato nella leggenda dello sviluppo tecnologico, a causa della previsione fatta da un chimico, Gordon Moore, cofondatore di Intel, nel 1965 e ormai nota come “legge di Moore”: la quantità di transistor in un chip raddoppierà ogni anno nei prossimi dieci anni. Il che renderà i chip sempre più piccoli ed economici. E i computer sempre più veloci e potenti.

Non senza una certa meraviglia, Gordon Moore ha potuto verificare che la sua previsione ha superato, con una piccola variazione, il decennio e si è dimostrata valida nell’arco di mezzo secolo. I transistor e le altre componenti elettroniche dei chip sono raddoppiate con regolarità non proprio ogni anno, ma ogni 18 mesi. Così, da che erano oggetti macroscopici e abbastanza ingombranti dei primi anni ’60 del secolo sorso, i chip sono diventati microscopici: il più piccolo finora realizzato misura appena 7 nanometri ed è dunque 10.000 volte più sottile di un capello ed è perfettamente funzionale. Di più. Se, al tempo della previsione di Moore, uno dei componenti dei chip, il transistor, costava 8 dollari, oggi ciascuno delle decine di milioni di transistor contenuti in minuscolo chip costa qualche frazione infinitesima di cent. I costi dei chip sono crollati.

La “legge di Moore” è, per l’appunto, un mito tecnologico che si è realizzato. E, tuttavia, contiene in sé i germi della propria autodistruzione. Per limiti pratici, perché è sempre più difficile realizzare minichip al silicio anche con le nuove tecniche di etching (ovvero di iscrizione). Ma anche e soprattutto per limiti fisici di principio: alla scala dei nanometri, infatti, entrano pesantemente in gioco gli effetti quantistici e la materia si comporta in maniera diversa che nel nostro mondo macroscopico. Sta di fatto che il processo di Moore ha già rallentato la sua corsa (il raddoppio avviene, ormai, ogni due anni e mezzo) ed è destinato a bloccarsi del tutto. 

Morale: se per il prossimo futuro vogliamo chip sempre più piccoli, veloci ed economici dobbiamo realizzarne di concezione completamente nuova. I limiti raggiunti dai wafer bidimensionali al silicio impongono quello che nel gioco degli scacchi viene chiamato un salto del cavallo. Insomma bisogna battere strade inesplorate. È quello che ha fatto Max Shulaker alla Stanford University.

Beninteso, il giovane Max non è l’unico a tentare. Decine di ricercatori in tutto il mondo stanno puntando le loro carte sui computer quantistici o sulla spintronica (una fusione tra elettronica e magnetismo a scala atomica). Shulaker e il gruppo di cui fa parte puntano invece su tre nuove tecnologie: nuovi materiali (i nanotubi); nuove memorie, ovvero modi originali di archiviare i dati come le RRAM (resistive random-access memory); nuove architetture (“high-rise” structures) non più bidimensionali, ma tridimensionali. 

Tutto ciò è molto complesso, per chi non sa di ingegneria elettronica. Ma il ragionamento di Max Shulaker è stato molto semplice. La logica dei computer attuali non è molto raffinata, fondata com’è sul passaggio di informazioni dalla memoria al processore e poi ancora indietro alla memoria. Due passaggi non necessari per processare le informazioni e che tuttavia impegnano il 96% dell’energia e rallentano fortemente l’intero processo. Se noi facciamo a meno di questi passaggi  e creiamo un ambiente – Max Shulaker lo chiama una nuvola – in cui ci sono tutti i dati e a cui il processore può direttamente attingere, avremo fatto il salto del cavallo e avremo un computer decisamente più veloce ed economico.

Per fare tutto ciò occorre che l’architettura del computer cambi e dai chip a due dimensioni si passi a chip in 3D, in tre dimensioni. Il materiale che Shulaker ha utilizzato per creare i chip in 3D è il nanotubo, una struttura di carbonio purissimo con proprietà fisiche molto particolari. Il giovane ricercatore ha creato un prototipo di chip con nanotubi costituito da soli quattro strati (nuova architettura) che rendono comunque possibile la creazione di quella nuvola in tre dimensioni necessari a evitare i massaggi inutili tra memoria e processore.  Ma è già in grado, sostiene, di creare chip a 100 strati, capaci di moltiplicare per mille la velocità dei chip e, dunque, di un computer.

Il salto del cavallo sembra compiuto e chissà se ora la “legge di Moore” potrà essere applicata in un campo tecnologico concettualmente nuovo. Nel qual caso un’altra previsione, quella di Ray Kurzweil, si potrà realizzare ed entro il 2030 l’intelligenza artificiale uguaglierà in potenza l’intelligenza umana e un attimo dopo la supererà.

Ma è troppo presto per fare simili inferenze. Vedremo nei prossimi mesi se computer á la Shulaker entreranno in commercio. Tuttavia due cose sono certe: per la Silicon Valley vale una sorta di “legge di Moore” e, malgrado la crescente concorrenza, soprattutto orientale, continua a essere un ambiente estremamente creativo; in questo ambiente particolare, laggiù in California, ai giovani viene data ampia possibilità di dimostrarla, la loro creatività. E loro, con spensierata levità, continuano a dimostrare di averne tanta, di creatività.    

Pietro Greco

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012