SOCIETÀ

I briganti si nascondono ancora nelle foreste

Con un po' di fortuna, i briganti presto non sapranno più dove nascondersi: a trovarli ci penserà una nuova tecnologia di rilevamento satellitare elaborata dalla Nasa per combattere la deforestazione che è fortemente aumentata negli ultimi anni, con Bolivia, Ecuador e Madagascar ai primi posti nella classifica. Un grave problema ambientale, a cui si accompagnano importanti perdite per l’economia causate dalle frequenti infiltrazioni criminali.

E il disboscamento illegale di legname, che avviene in larga parte nelle foreste tropicali del bacino amazzonico, nell’Africa centrale e nel sud-est asiatico, arriva a interessare dal 50 al 90% della produzione forestale nei principali paesi tropicali e dal 15 al 30% a livello globale, secondo il rapporto delle Nazioni unite Green carbon, black trade. Si tratta di un’attività con enormi margini di guadagno per la criminalità organizzata, che si aggirano intorno agli 11 miliardi di dollari all’anno, pari quasi al commercio di droga (13 miliardi), e una perdita per gli Stati in tasse mancate che ammonta a 10 miliardi di dollari all’anno. Le ragioni che stanno alla base del fenomeno sono da cercarsi non solo nel commercio del legname, ma anche nella volontà di guadagnare terreni per l’allevamento di bestiame (il 70% del suolo forestale in Amazzonia è occupato da pascolo per bovini) o per le piantagioni (come la palma da olio in Indonesia). Questo, tuttavia, causa non poche conseguenze all’ambiente, in termini di emissioni di gas serra e minaccia alla biodiversità, e alla sussistenza delle popolazioni indigene se si pensa che 1,3 miliardi di persone al mondo dipendono dalle foreste per la sopravvivenza. 

Un “mercato” in cui trova posto anche l’Italia. Uno studio concluso di recente nell’ambito del progetto Score. Stop crimes on renevables and environment, coordinato da Davide Pettenella del dipartimento di territorio e sistemi agro-forestali dell’università di Padova e uno degli animatori del Forest Stewardship Council Italia, vede il nostro Paese collocarsi al sesto posto a livello mondiale e al secondo in Europa per l’importazione di legno e derivati: ebbene, il 7-10% del volume totale è rappresentato da legname di provenienza illegale, per un valore economico di 1,3-2,8 miliardi di euro. L’Italia intrattiene infatti rapporti commerciali con i Paesi in cui i fenomeni di illegalità nel settore forestale sono diffusi ed è il primo partner commerciale per l’esportazione di legname e derivati da parte di Costa d’Avorio, Camerun, Albania, Serbia, Bosnia Erzegovina e Romania. Non va dimenticato che nel nostro Paese il settore legno-arredo rappresenta l’asse portante del made in Italy, con un fatturato di 32,8 miliardi di euro nel 2010 e una produzione che vale il 6% del volume totale dell’industria manifatturiera, cui si unisce il settore della carta che vede una produzione annua di 9,5 milioni di tonnellate, di cui un terzo destinato all’esportazione. 

L’importazione illegale di legno, che lo studio definisce “illegalità dimenticata”, rappresenta nel nostro Paese il 67-78% (in termini economici) dei fenomeni di illecito in ambito forestale. Al secondo e terzo posto, rispettivamente con il 16% e l’11% del valore totale, gli incendi boschivi (un caso da manuale di “illegalità storica”) e l’evasione fiscale legata al commercio irregolare degli imballaggi in legno (un esempio di “nuova illegalità”). Per un valore economico complessivo del fenomeno illegale in Italia che si stima possa così raggiungere i 3,4 miliardi di euro. 

Come far fronte al fenomeno? “Le linee di azione – spiega Pettenella – sono essenzialmente due, una di carattere volontario e l’altra di tipo istituzionale. Nel primo caso mi riferisco, ad esempio, alla certificazione da parte di terzi della buona gestione delle risorse forestali”. Si tratta dello schema Forest Stewardship Council (Fsc), una certificazione internazionale specifica per il settore forestale che definisce standard di tipo ambientale, sociale ed economico. “Per combattere i fenomeni di illegalità in ambito forestale – continua Pettenella – esistono poi iniziative volontarie secondo i principi della responsabilità sociale d’impresa, che prevedono ad esempio rimboschimenti compensativi volti al mantenimento di una certa copertura forestale. Altra cosa sono invece gli interventi istituzionali che propongono soprattutto strumenti normativi”. Ultimo in ordine di tempo l’European Union timber regulation(Eutr) con cui l’Unione Europea da marzo di quest’anno vieta il commercio nei Paesi membri di legname di origine illegale e dei prodotti da esso derivati e obbliga chi lo immette per la prima volta sul mercato europeo alla verifica della provenienza. Senza una normativa di attuazione nazionale la legge non ha tuttavia alcun valore e l’Italia non sembra dimostrarsi reattiva in merito, come del resto non lo è stata per il Forest Law Enforcement, Governance and Trade(Flegt) promulgato dall’Unione nel 2005. Le lungaggini furono dovute inizialmente al ritardo nel definire l’autorità competente, poi individuata nel ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali, e ora nello stabilire gli strumenti sanzionatori. In pratica, si riconosce il reato, ma non si sa ancora come punirlo. “La nuova normativa – sottolinea Pettenella – è di particolare rilievo in quanto per la prima volta si individua in chi utilizza un prodotto (il legno in questo caso) il responsabile legale dell’origine del prodotto stesso: gli acquirenti sono responsabili dunque quanto i fornitori. In questo senso si tratta di una svolta di principio importante sia sul piano giuridico che etico”.  

Monica Panetto

 

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012