SOCIETÀ
Il copyright di Amazon sulla foresta pluviale
Un bambino all'esterno di una scuola nel distretto di Belen nell'amazzonia peruviana. Foto: Reuters/Musuk Nolte
Amazon continua ad essere al centro della scena nei dibattiti internazionali attorno agli ebook. A causa di una serie di mosse strategiche - che alcuni definiscono come speculazioni ai danni della concorrenza di mercato - Amazon sta creando un certo scompiglio nella scacchiera dell’editoria digitale. In altri termini sta influenzando atteggiamenti e consuetudini di scrittori e critici letterari, modificando anche gli assetti entro le comunità sociali dei lettori web 2.0. In aprile infatti Amazon aveva portato a casa per un miliardo di dollari Goodreads, la più grande rete sociale di libri, introducendosi nel mondo delle recensioni dei lettori, reinventando l’esperienza della lettura, ma divenendo “opinionista” dei titoli che produce. Notevole il ritorno in termini economici soprattutto se si considera che Amazon, subito dopo, aveva creato la piattaforma per l’auto-pubblicazione, il servizio Kindle Direct Publishing, scombinando le regole editoriali e distributive, mettendo le mani su 16 milioni di lettori di Goodreads a caccia di opere nel mercato cartaceo tradizionale. Patrizia Feleting di Repubblica scriveva a proposito di questa mossa “La ricerca di opinioni e giudizi nell’era digitale trasforma le modalità con cui i lettori trovano spunti per le loro letture. In un istante da uno smartphone, si raccolgono una quantità di consigli per gli acquisti superiore e più articolata che guardando una pubblicità o ascoltando le raccomandazioni”.
“Si scrive amazon.com, ma si legge amazon.copyright” si legge su blog e siti di settore. In aprile il Sole24 riportava che l'Icann (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers), l'organismo internazionale che assegna i domini (.com, .gov., .org, .edu...), dovrebbe decidere sull’assegnazione di nuovi domini del tipo .shop, .song, .book. È in corso di implementazione un repository centrale internazionale dei marchi convalidati, il Trademark Clearinghouse, una sorta di database di marchi aziendali per evitare conflitti sui nomi. L’articolo riportava che Amazon aveva presentato richiesta per registrare tutti i suoi indirizzi in vari domini tra i quali .kindle ma anche .amazon, scatenando la reazione dei paesi sudamericani entro i cui territori si estende la foresta amazzonica. Brasile e Perù in testa sostengono che non deve essere permesso a un'azienda privata multinazionale “di utilizzare in maniera esclusiva un dominio web che identifica una tra le aree più importanti per il futuro del pianeta.” Se la richiesta di Amazon venisse accolta, tali Paesi si vedrebbero privati della possibilità di usare il dominio .amazon per scopi ambientali, per la protezione dei diritti delle popolazioni indigene. In altri termini le finalità di pubblico interesse verrebbero compromesse per interessi commerciali privati.
Da parte sua Amazon si sente “vittima” di altri giganti del mercato dell’informazione. È di qualche giorno fa la sentenza emessa dal dipartimento di Giustizia americano che ha ritenuto la Apple colpevole, assieme a cinque case editrici (Harper Collins, Hatchett, Macmillan, Penguin e Simon & Schuster), di aver cospirato contro Amazon stringendo accordi sottobanco per fissare i prezzi a proprio vantaggio. La vicenda risale al 2010, all’era di Steve Jobs. Determinante la famosa email del fondatore dell’azienda di Cupertino, portata come prova della volontà di aver fatto cartello sul sistema di prezzi degli ebook contro Amazon che vendeva all’epoca titoli a 9,99 dollari. Il sito Kindle Italia, lamenta di subire gli attacchi del colossi editoriali. Il riferimento è alla Penguin Group che ha deciso di ritirare tutti gli ebook dalla rete delle biblioteche pubbliche americane, compresi i titoli presenti in formato per il dispositivo Kindle e distribuiti da Amazon. Se da una parte la battaglia nei mercati dei dispositivi di lettura imperversa da tempo tra marchi proprietari (Kindle di Amazon versus iPad di Apple) entro una giungla di formati, chiusi o aperti, il problema del prestito digitale è al centro dei dibattiti bibliotecari. Il digital lending non viene percepito come un’innovazione da cogliere, ma rievoca piuttosto lo spettro della pirateria digitale. Una guerra che viene etichettata impropriamente come guerra di diritti d’autore, ma di fatto è una guerra di diritti editoriali su titoli digitali.
Di fatto quando si parla di ebook e di diritti ecco che le librerie indipendenti puntano il dito contro Amazon, accusandola di monopolizzare il mercato attraverso un uso troppo restrittivo dei Drm, Digital Rights Managements, una sorta di lucchetto posto dentro al file che impedisce agli utenti – che hanno regolarmente acquistato i titoli - di trasferire ebook dal dispositivo di Amazon a qualsiasi altro dispositivo diverso. Amazon infatti consente il digital lending entro il suo programma Kindle Owners' Lending Library ai soci in possesso di un Kindle. I Drm non vengono posti nei file solo dagli editori, ma anche dai produttori o, come nel caso di Amazon, dal “distributore” che in questo modo inibisce eventuali trasferimenti e/o conversioni su altri supporti diversi dal Kindle, non solo sui formati .azw creati da Amazon. Per questa ragione alcune librerie indipendenti, hanno promosso una class action contro Amazon. Secondo i ricorrenti, la strategia di Amazon instaurerebbe un monopolio di fatto, accaparrandosi il 60% del mercato, danneggiando i piccoli distributori.
La compagnia editoriale Barnes e Nobles, presente nel mercato ebook con il suo reader Nook, è uno dei promotori della causa contro Amazon e proprio in questi giorni sta rivedendo la struttura organizzativa al suo vertice, che con il CEO William Lynch non aveva portato ai successi sperati. Nel 2010 aveva dovuto infatti chiudere la sua storica libreria di New York davanti a Lincoln Center, sulla 66ma strada. Proprio a causa degli ebook.
Antonella De Robbio