SOCIETÀ
Il primato della finanza da Genova alla Goldman Sachs
Foto: Reuters/Brendan McDermid
“Creditocrazia” è una parola inventata da Mario Monti e resa famosa dall’autore scozzese Andrew Ross, professore alla New York University, che l’ha usata per il titolo del suo nuovo libro, presentato il mese scorso all’Università di Padova. Ma il dominio della finanza, la sua priorità rispetto all’industria, al commercio e al lavoro stesso non è una novità nella storia del capitalismo, anzi. Il predominio del capitale finanziario era e rimane una fase che si ripete in ogni ciclo dello sviluppo del sistema dell'economia capitalista a livello mondiale, dalle sue origini nell’Italia del Rinascimento, 500 anni fa, fino ad oggi.
Più precisamente, se ne analizziamo la storia vediamo che la finanza lungi dal rappresentare un momento di espansione costituisce invece, tipicamente, la fase di passaggio fra la conclusione di un ciclo, il suo esaurimento, e l'inizio del ciclo successivo. È un segnale di crisi.
Questo è ciò che scriveva Giovanni Arrighi, studioso e teorico italiano di sociologia storica fra i più importanti del Novecento, che ha fatto la sua carriera accademica soprattutto negli Stati Uniti, all'università di Binghamton nello Stato di New York e alla Johns Hopkins, a Baltimora in Maryland.
Arrighi ha analizzato questo problema nel suo libro Il lungo ventesimo secolo, pubblicato nel 1994 e divenuto ormai un classico. Di questo testo si parlerà durante il convegno organizzato in occasione del ventesimo anniversario della sua pubblicazione, all’Università Ca’ Foscari di Venezia, il 20 novembre.
Per Arrighi la globalizzazione non rappresentava in nessun modo un fenomeno nuovo, ma era invece un aspetto essenziale del sistema capitalista fin dall’inizio, da quando il nuovo mondo fu integrato nell’economia mondiale, focalizzata sull’Europa. Ma ciò che è storicamente specifico al capitalismo non sono tanto l’economia di mercato e nemmeno il commercio mondiale. Per ragioni lungamente analizzate nel libro, tratto specifico sono le alleanze, strette di volta in volta e caratterizzanti nella loro specificità i differenti cicli economici, fra determinate classi di capitalisti e strutture statali potenti. Alleanze che permettono di guidare e organizzare il sistema, in modo tale che la sua espansione vada ad accrescere il potere da un lato della classe egemonica, attraverso la ricchezza accumulata, e dall’altro dello Stato egemonico, grazie al facile accesso al capitale.
Tutto cominciò con i genovesi. Sconfitti nella guerra di Chioggia contro Venezia (1378-1381) persero i profitti derivanti dal commercio nel Mediterraneo. I banchieri genovesi (marginalizzati nel governo della città, dominato dalla nobiltà tradizionale) avevano però mantenuto il controllo dei "mercati itineranti" del credito, che trovarono una sede stabile a Piacenza dopo essersi svolti per molto tempo come fiere nelle più importanti città europee e divennero così i creditori principali dello Stato più potente dell’epoca: la Spagna. Dal Cinquecento in poi, l’argento americano che attraverso l’Atlantico arrivava in Spagna finiva soprattutto nei conti dei banchieri genovesi e da qui veniva redistribuito al resto del mondo.
Come già notava Max Weber, nacque così una caratteristica del capitalismo moderno senza precedenti storici: gli Stati entrarono in competizione fra loro per l’accesso al capitale mobile. Lo Stato maggiormente in grado di costruire un rapporto privilegiato con il credito internazionale, di riceverne le risorse necessarie al suo consolidamento e alla sua espansione e garantirgli protezione politica, grazie a questo rapporto divenne storicamente, secondo Arrighi, il potere egemonico, nella peculiare accezione che ne dava Antonio Gramsci. Quello che è dominante politicamente, economicamente e militarmente, ma anche quello in grado di dettare le regole e strutturare la cornice istituzionale dell’intero sistema economico mondiale.
L’alleanza genovese-spagnola mostra che la struttura di potere nel mondo capitalistico è basata sul rapporto, assieme collaborativo e conflittuale, tra una classe capitalista dominante e uno Stato egemone, capace di fornirle protezione, favorire i suoi traffici e accrescere il potere di entrambi. Quando i capitalisti olandesi, in alleanza con gli Orange, elaborarono una forma più dinamica ed efficace di questa alleanza, permisero alle Province Unite di conquistare l’indipendenza dalla Spagna e giunsero a dominare, dopo un secolo di lotte, il commercio dei mari. Genova perse la superiorità economica e politica creata dal legame con la Spagna. Lo stesso accadde, più tardi, nel passaggio dell'egemonia dall'Olanda alla Gran Bretagna e poi con la sostituzione di questa ad opera degli Stati uniti, nel corso del Novecento.
Per Giovanni Arrighi, così come per lo storico Fernand Braudel, alla cui scuola di studi storico-economici e sociali Arrighi fa riferimento, il primato della finanza, la sua predominanza nell’economia rappresentano un “segno dell’autunno”. In altre parole, c’è un ciclo “di accumulazione ed egemonia storica” in base al quale nei momenti di passaggio un potere nuovo, in crescita ma non ancora egemone, viene finanziato dal potere in declino: come, appunto, nel caso dell’Olanda che ha finanziato la Gran Bretagna oppure della stessa Gran Bretagna che ha finanziato gli Stati Uniti.
Cinque secoli di capitalismo raccontano una storia ciclica di accumulazione storica che procede per fasi. L’espansione finanziaria sorge sotto l’egemonia di un'alleanza tra Stato e classi dominanti, al termine della quale il capitale accumulato serve a finanziare l’alleanza egemonica successiva. Un passaggio che rappresenta una crisi sia economico-finanziaria che politico-diplomatica, e che di solito termina in una guerra a livello sistemico (ad esempio la guerra dei Trent’anni, le guerre napoleoniche o le guerre mondiali del Novecento). Da quella crisi sistemica emerge un nuovo potere, capace di creare nuove forme di imprese e di lavoro, una nuova espansione commerciale e materiale dell’economia mondiale, l’integrazione di nuove zone del mondo e nuovi settori sociali nel sistema capitalista e nuove istituzioni di regolamento dell’insieme.
Ora sono gli Stati Uniti ad essere in declino. Le guerre in Iraq, in Afghanistan e altrove li hanno resi il debitore più grande nella storia. Il candidato per il nuovo potere egemonico, la Cina, è diventato il finanziatore degli americani e dell’Europa, e non più loro debitore, grazie al suo surplus industriale, originato dallo spostamento della produzione delle merci un tempo realizzate in Occidente che ha reso il sud-est asiatico "la fabbrica del mondo". Il ciclo si ripete, con alcune differenze significative rispetto ai precedenti. Innanzi tutto, parrebbe che per la prima volta nella storia moderna del capitalismo il potere dominante non sarà rappresentato da uno Stato europeo o più in generale dall’Occidente, che ha dato origine a questo sistema. Ma in cosa si differenzierebbe una fase di egemonia cinese? Il potere attuale, gli USA, ha concentrato un vantaggio militare capace di scongiurare la nascita di una nuova egemonia? È possibile che, paradossalmente, la più grave minaccia al futuro di capitalismo siano proprio gli Stati Uniti d’America?
Ancora: dal momento che ogni nuovo potere egemonico ha organizzato il sistema su scala sempre più ampia, siamo sull’orlo di un vero e proprio impero mondiale su scala globale? O siamo sull’orlo di una terza guerra mondiale, nel tentativo di ostacolare il declino e la caduta dell’impero americano e il sorgere di una nuova egemonia? Siamo davvero all’inizio di un secolo cinese? O possiamo invece sperare che dalla rovina di questa fase di predominio della finanza, da questo “segno dell’autunno”, possa questa volta seguire la primavera, un sistema diverso, nuovo e magari migliore perché meno ingiusto, meno disuguale, meno bellicoso?
Steven Colatrella