SOCIETÀ

La distruzione della nostra scuola elementare

La Francia e gli Stati Uniti si preoccupano delle abilità di lettura dei loro studenti: l’Italia, apparentemente, ha altro a cui pensare. Un editoriale su Le Monde del 13 dicembre interroga il governo sui mediocri risultati ottenuti dagli studenti francesi di quarta elementare nelle indagini internazionali Pirls (Progress in International Reading Literacy Study) e Timss (Trends in International Mathematics and Science Study) e addita come esempio da seguire gli Stati Uniti, dove “a partire dal 1997 la promozione della lettura è diventata una battaglia nazionale”.

Tranne qualche articolo nascosto nelle pagine interne, nulla di tutto questo da noi, dove pure la preoccupazione dovrebbe essere moltiplicata dal fatto che le elementari italiane erano un tempo le migliori del mondo. Frutto di una riflessione e di una sperimentazione pedagogica avviata decenni fa, la nostra scuola primaria aveva raggiunto risultati eccellenti: i confronti internazionali collocavano gli studenti italiani di quarta elementare al sesto posto in Europa per le competenze in matematica e al sesto posto nel mondo per le capacità di lettura. 

Questo avveniva nel 2006, dopo un quinquennio di dubbie riforme varate dal secondo governo Berlusconi (l'ingresso in prima a 5 anni e mezzo, il cosiddetto portfolio delle competenze e l’abolizione dell'esame di quinta elementare) che furono seguite, a partire dal 2008, da una politica tesa a risparmiare sul costo della formazione aumentando il numero di alunni per classe e, soprattutto, abolendo nel 2009 il “modulo”, cioè la presenza di tre insegnanti che operavano su due classi. Sono bastati pochi anni di questa politica e il degrado nella qualità dell’insegnamento è stato immediato, come mostrano i risultati del rapporto Pirls diffuso nei giorni scorsi dal Boston College. 

Nel 2006, i bambini italiani ottenevano 551 punti in capacità di lettura in una scala da 0 a 1000 e figuravano al sesto posto nel mondo, dopo Russia, Hong Kong, Canada, Singapore e Lussemburgo.  Nel 2011, i nostri piccoli studenti mostrano di essere regrediti a quota 541, molto lontani (al sedicesimo posto) da Hong Kong, Russia e Finlandia che sono in testa alla classifica. Davanti a noi anche Stati Uniti, Irlanda, Danimarca, Croazia, Inghilterra, Olanda, Repubblica Ceca e Svezia (indietro, invece, la Francia, a quota 520). Pesa, oltre al disinvestimento sulla scuola, la storica propensione delle famiglie italiane a non leggere: su scala internazionale, il rapporto registra una differenza media di 48 punti nelle capacità di lettura degli studenti provenienti dalle famiglie dove i genitori amano leggere rispetto a quelle dove i genitori trascurano libri e giornali.

Naturalmente, l’attenzione dei media si è concentrata sulla nostra posizione rispetto agli altri paesi, come se si trattasse del campionato del mondo di calcio o delle Olimpiadi: un approccio che non porta da nessuna parte. Il problema da affrontare è quello di un sistema scolastico che nel suo complesso, dalle elementari all’università, è sottoposto da anni a un forte stress, dovuto non solo alla carenza di finanziamenti ma dall’aperta indifferenza dei governi verso i processi formativi. 

Gli insegnanti sono da anni demotivati, più per il mancato riconoscimento del loro ruolo sociale che per i loro bassi stipendi. Gli studenti crescono in una società dominata dall’antiintellettualismo, dal disprezzo per la cultura, dal culto del successo e della notorietà. La scuola dovrebbe rappresentare un’isola di buon senso e di amore per il sapere in un mondo dove i modelli sociali di riferimento sono stati nell’ultimo ventennio  le star della television e del gossip: chiaramente questo non è possibile senza uno sforzo collettivo eccezionale, una determinazione che parta dall’alto e faccia della scuola una emergenza nazionale, come avvenne negli Stati Uniti dopo il 1958, quando l‘Unione Sovietica mandò in orbita il primo satellite artificiale. Temendo di essere superati nella corsa allo spazio, gli americani investirono massicciamente sulla formazione, in particolare nelle materie scientifiche e lo sforzo diede risultati in pochi anni: se il primo uomo nello spazio, nel 1961, fu il russo Yuri Gagarin, il primo uomo sulla luna, nel 1969, fu l’americano Neil Armstrong. 

In anni più recenti, a partire dal 1997, i massicci investimenti del governo federale di fronte ai cattivi risultati dei sistemi scolastici locali hanno dato frutti: rispetto al 2006, i piccoli americani hanno migliorato le loro performance di lettura di ben 14 punti.

Negli ultimi mesi, il governo non ha dato segnali di voler considerare la scuola una priorità, al contrario: il ministero dell’Istruzione si è concentrato su questioni marginali, irrilevanti, o addirittura regressive, come il fallito tentativo di portare a 24 ore settimanali l’orario di insegnamento dei docenti. Sarebbe opportuno che le forze politiche in campo per le elezioni del 2013 dichiarassero fin d’ora quali strategie intendono seguire per affrontare la questione della formazione, magari rispondendo alla semplice domanda: “Vogliamo avere, tra dieci anni, cittadini in grado di leggere un quotidiano oppure no?”

Fabrizio Tonello

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