I fenomeni evolutivi si snodano lungo una scala temporale completamente diversa rispetto a quella su cui si articolano le vicende umane. Si tratta della dimensione del “tempo profondo”, in cui gli eventi si verificano nel corso di migliaia, a volte milioni di anni. Eventi e cambiamenti che, dunque, dal nostro punto di vista sono impercettibili, e di cui possiamo soltanto apprezzare gli effetti a lungo termine.
I cambiamenti ecologici che le azioni umane hanno innescato nella biosfera hanno una caratteristica inedita. Se guardiamo alla loro pervasività, essi sono certamente comparabili ai grandi sconvolgimenti che hanno segnato la storia della vita; tuttavia, dal punto di vista temporale essi seguono, in tutto e per tutto, i tempi umani, risultando così rapidissimi rispetto ai normali processi biologici.
Alla luce di questo, gli scienziati si interrogano con preoccupazione sulla possibilità che gli esseri viventi non siano in grado di stare al passo con i mutamenti ambientali oggi in atto, mai, prima d’ora, verificatisi a una simile velocità. In base alle conoscenze moderne sulla biologia del nostro pianeta, infatti, sappiamo che i processi evolutivi sono estremamente più lenti dei cambiamenti ecologici, e che, di conseguenza, è difficile che i viventi riescano ad adeguarsi agli attuali cambiamenti climatici nell’arco di poche generazioni.
Tuttavia, alcune recenti scoperte sembrano offrire nuove speranze: diversi studi, infatti, stanno mettendo in discussione la presunta incompatibilità tra “tempi evolutivi” e “tempi ecologici”, mostrando come, in alcuni casi, i processi di adattamento siano decisamente rapidi, e come ciò avvenga soprattutto in risposta ad alterazioni delle condizioni ambientali altrettanto repentine.
Sono molti i meccanismi di sopravvivenza adottati dagli esseri viventi in risposta a un inaspettato mutamento ecologico: ad esempio, in molti casi entra in gioco la plasticità fenotipica, che consente agli individui di sviluppare fenotipi leggermente diversi modulando l’espressione genica in base alle condizioni dell’ambiente circostante. La plasticità fenotipica ha grandi vantaggi, poiché garantisce agli individui e alle popolazioni l’adattabilità a un numero maggiore di potenziali scenari ambientali.
Ma quel che, di recente, è stato osservato è, forse, ancora più sorprendente: diversi studi sul campo hanno mostrato come in molti casi si verifichi, in tempi molto ristretti, un vero e proprio adattamento su tratti specifici del fenotipo o su loci genici individuali proprio in risposta a profonde perturbazioni del contesto ambientale. Se attuato continuativamente per diverse generazioni, questo fenomeno viene definito adaptive tracking, letteralmente traducibile come “inseguimento adattivo”: è importante comprenderne il funzionamento e l’effettiva diffusione in natura, poiché potrebbe risultare un fattore cruciale per la resilienza di popolazioni e specie viventi ai cambiamenti globali in atto.
Composed of a replicated experiment, repeated phenotypic assays to measure evolutionary rates, and many genomic analyses @sharGblum @RajpurohitLab @PetrovADmitri and @paulrschmidt were central to the study. pic.twitter.com/96qkemkL5J
— Seth Rudman (@SethRudman) March 17, 2022
Un gruppo di studiosi statunitensi ha cercato di provare l’effettiva presenza di questa dinamica evolutiva attraverso un imponente esperimento sul campo, e ha recentemente pubblicato i risultati ottenuti sulle pagine della rivista Science. Usando come modello Drosophila melanogaster, animale da laboratorio per eccellenza, meglio nota come moscerino della frutta, i ricercatori hanno installato in un campo di alberi da frutto dieci gabbie non comunicanti, dentro ognuna delle quali è stata inserita una popolazione di moscerini. Di queste dieci popolazioni – che al momento della fondazione contavano 1000 individui, e al punto di massima espansione hanno raggiunto anche 100.000 individui ognuna – è stato seguito lo sviluppo evolutivo lungo i mesi estivi (da luglio a novembre) del 2014. Periodicamente, i ricercatori hanno prelevato da ogni gabbia campioni randomizzati (composti da individui raccolti casualmente), di cui è stata studiata la traiettoria evolutiva in relazione a sei tratti specifici legati alla riproduzione o alla resistenza agli stress, e quindi particolarmente rilevanti per la fitness.
I risultati dello studio sono eloquenti: per quasi tutti i tratti studiati, le traiettorie evolutive sono state coerenti in tutte le popolazioni, suggerendo che l’adattamento sia avvenuto in risposta ai cambiamenti ambientali stagionali, a cui tutte le popolazioni erano esposte allo stesso modo. L’evoluzione parallela di questi tratti presentava un ritmo particolarmente veloce, mostrando una certa variabilità fra i diversi tratti presi in considerazione. Tali risultati – affermano gli autori dello studio – mostrano come non sia per nulla da escludere la possibilità che la selezione naturale determini l’adattamento poligenico (in cui diverse aree del genoma sono interessate dal fenomeno) di caratteri direttamente associati alla fitness in un tempo tanto breve da essere paragonabile a quello dei cambiamenti ambientali.
Anche le analisi genomiche, inoltre, offrono conferma di questa ipotesi: dall’analisi genomica delle diverse generazioni all’interno di ogni gabbia, è emersa una chiara divergenza rispetto alla popolazione iniziale, divergenza che è costantemente aumentata nel tempo. Considerata l’estensione della popolazione (compresa la generazione fondatrice), è improbabile che un così sostanziale cambiamento evolutivo possa essere ricondotto unicamente al fenomeno stocastico della deriva genetica – la quale, per di più, non spiegherebbe l’evoluzione parallela osservata nelle diverse gabbie.
Un’ulteriore prova del legame tra i cambiamenti ambientali e la variazione evolutiva osservata è, infine, la presenza di selezione fluttuante, che consiste nell’inversione della direzione dell’adattamento nel corso del tempo: una forte indicazione del fatto che, nel corso dell’esperimento, si sia effettivamente verificato adaptive tracking.
I meccanismi di selezione naturale agiscono, dunque, a più livelli per migliorare la fitness delle popolazioni di fronte a rapidi e inaspettati cambiamenti ambientali. Sia gli studi sul fenotipo, sia quelli sul genotipo, infatti, hanno evidenziato come siano in azione da una parte un’evoluzione parallela tra le diverse popolazioni e tra i diversi geni e tratti fenotipici dei singoli individui, e dall’altra una selezione fluttuante che modifica la direzione dell’adattamento in base alle esigenze dettate dall’ambiente esterno. Questo sembra consentire l’adattamento non solo nel medio termine, ma anche in tempi molto più ridotti.
Quelle raccolte dai ricercatori delle università di Stanford e della Pennsylvania sono informazioni molto importanti: offrono, infatti, una dimostrazione concreta della possibilità che l’adaptive tracking sia, anche in popolazioni naturali, molto più diffuso di quanto non si creda. E, se così fosse, sarebbe centrale saperne di più: è di primario interesse comprendere i meccanismi che rendono l’adaptive tracking possibile, e capire in che modo tale fenomeno interagisca con i diversi fattori ambientali, con le naturali variazioni di popolazione e con le altre dinamiche evolutive in gioco. Una simile capacità di adattamento, infatti, avrebbe un’importanza centrale dal punto di vista conservazionistico.