SCIENZA E RICERCA

Africa, l'elefante è sempre più a rischio di estinzione

In tutta l’Africa restano poco più di 400.000 elefanti, secondo le ultime stime. E nonostante le loro gigantesche dimensioni, sono costretti a vivere in aree sempre più ristrette e frammentate. Colpa della pressione antropica e del bracconaggio, che in quest’anno di pandemia da Covid-19 si è inasprito. L’habitat adatto per ospitare questi pachidermi ci sarebbe, e sarebbe pure molto vasto: più dell’intera Russia, secondo uno studio pubblicato su Current Biology. Ma gli elefanti restano “confinati” nel 17% del loro potenziale areale per via della pressione antropica. E se le cose non cambiano, il bracconaggio li porterà in fretta all’estinzione.

Gli elefanti africani, o meglio l’elefante africano di savana (Loxodonta africana) e l’elefante africano delle foreste (Loxodonta cyclotis), hanno appena cambiato “status” nelle Red List stilate dall’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN). E non ci sono buone notizie: queste specie hanno mosso un ulteriore passo verso il baratro dell’estinzione. Dalla categoria “vulnerabile” sono passati rispettivamente nella categoria “in pericolo” e “in pericolo critico” di estinzione.

Gli elefanti restano “confinati” nel 17% del loro potenziale areale per via della pressione antropica

A questa cattiva notizia, si aggiunga che il 2020 è stato un anno disastroso per gli elefanti. Nell’aprile del 2020 ne sono morti oltre 400 nel delta dell’Okavango, in Botswana, probabilmente a causa di una neurotossina sviluppatasi nelle acque. Altri 200 erano morti qualche mese prima, alla fine del 2019, per un’improvvisa siccità in Zimbabwe. Mentre a giugno del 2020 i bracconieri hanno ucciso sei elefanti tutti insieme in Etiopia: un tale massacro in un solo giorno non si era mai registrato. 

Il fatto, grave, è che il crollo del turismo a causa della pandemia da Covid-19 in corso ha spinto il pedale dell’acceleratore sul bracconaggio. La maggior parte delle attività di conservazione e l’esistenza stessa di grandi parchi in Africa dipende fortemente dagli introiti del turismo: con i confini chiusi, senza gli incassi del turismo, governi e parchi non sono più in grado di pagare i ranger, di fronteggiare i bracconieri, di mitigare i conflitti uomo-pachidermi nelle comunità locali. Senza contare che in Africa il commercio illegale di avorio e di specie protette resta una semplice e “comoda” alternativa per molte persone rimaste senza lavoro e disperate in questa pandemia. Persino un calciatore dello Zimbawe è stato arrestato con un carico d’Avorio che ammontava a 8 zanne. Insomma la situazione si fa sempre più difficile per gli elefanti. Senza contare che a ucciderli non sono solo i bracconieri in cerca di avorio, ma anche i contadini esasperati dalle razzie dei pachidermi nei campi coltivati.

Così la pressione antropica, il bracconaggio e i conflitti con l’uomo hanno confinato questi giganteschi pachidermi in una porzione limitatissima del loro areale, come spiega uno studio pubblicato su Current Biology e condotto da un team di ricercatori guidati da Jake Wall del Mara Elephant Project, in Kenya. 

Per scoprire letteralmente “quanta Africa” avesse ancora un habitat adatto alla sopravvivenza degli elefanti, Wall e i colleghi del progetto Save the Elephants hanno dotato di collare GPS 229 elefanti sparsi in tutto il continente e li hanno seguiti nei loro spostamenti per 15 anni. Poi utilizzando Google Earth Engine, una piattaforma di elaborazione di immagini satellitari, hanno calcolato l’areale potenziale esaminando la copertura arborea e il tipo di vegetazione, i dati di temperatura al suolo, le precipitazioni, la distanza dalle fonti d’acqua e la presenza umana sul territorio. E i risultati pubblicati lasciano basiti e con l’amaro in bocca. 

In tutto il continente africano (30 milioni di chilometri quadrati) ci sarebbero ben 18 milioni di chilometri quadrati di habitat ancora idoneo per gli elefanti: un’area più vasta dell’intera Russia e pari al 60% dell’Africa. Buone notizie, sembrerebbe. Il problema però è che i pachidermi occupano solo il 17% del loro areale potenziale a causa della pressione antropica. E, come se non bastasse, oltre la metà dell’areale attualmente occupato dagli elefanti africani ricade al di fuori delle aree protette e questo vuol dire che i pachidermi sono facilmente esposti al bracconaggio e ai conflitti con l’uomo.

L’unico modo per garantire la sopravvivenza a lungo termine degli elefanti è restituirgli la loro terra, il loro spazio, proteggere il loro habitat, combattere il bracconaggio e stabilire nuove regole di convivenza tra uomini ed elefanti.

Il team ha scoperto per esempio che ci sono vaste porzioni della Repubblica Centrafricana e della Repubblica Democratica del Congo idonee per accogliere gli elefanti. Foreste e savane che tempo fa ospitavano centinaia di migliaia di pachidermi, e che oggi ne accolgono al massimo qualche migliaio. «Dobbiamo ricordarci che gli elefanti sono dei giganteschi erbivori generalisti, che si adattano bene anche ad habitat marginali» spiega il primo autore, Wall. «Perciò se gli dessimo una possibilità, potrebbero espandersi».

Purtroppo, però, i dati sull’impatto antropico non sono rassicuranti. E all’impatto del già citato bracconaggio, aggiungiamoci il cambiamento climatico, la frammentazione degli habitat e il fatto che l’impronta ecologica degli esseri umani è tutt’altro che “ecologica” e dovrebbe raddoppiare entro il 2050, stando alle stime. Insomma gli ostacoli ci sono, le speranze anche. Ora bisogna rimboccarsi le maniche, promuovendo una convivenza possibile e quasi a costo zero tra elefanti e umani, e debellando il multiforme problema del bracconaggio e della richiesta di avorio.

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