"Gli alberi sono di vitale importanza dal punto di vista ecologico, culturale ed economico. Finora sono state riscontrate importanti lacune nella conoscenza della diversità, distribuzione e stato di conservazione a livello globale. La crisi della biodiversità e la sfida del cambiamento climatico globale, tra loro interconnesse, non possono essere affrontate senza una gestione consapevole delle specie arboree". Il rapporto del 2021 State of the world's trees del Botanic gardens conservation international propone una mappatura globale degli alberi, risultato di una accurata ricerca condotta per riuscire a valutare il rischio di estinzione delle 58.497 specie arboree di tutto il mondo. Oggi sappiamo che il 30% delle specie arboree - oltre 17.500 - è a rischio e almeno 142 specie sono state registrate come estinte in natura. “Le principali minacce sono il disboscamento delle foreste e altre forme di perdita dell'habitat, lo sfruttamento diretto per il legname e altri prodotti e la diffusione di parassiti e malattie invasive. A tutto questo si aggiunge ora l'impatto del cambiamento climatico". Buona parte degli alberi più vulnerabili si trova in aree già protette a cui, dunque, dovrebbe essere riservata particolare attenzione: in generale risulta essenziale l’attuazione di divieti di disboscamento e una gestione controllata dei pascoli. Gli alberi sono essenziali per la vita su questo pianeta: una miriade di specie di piante, animali e funghi sono collegati a essi, spesso interagiscono all'interno di complesse relazioni vantaggiose per la sopravvivenza di tutte le parti coinvolte. Una singola specie può essere la base di un'intera rete ecologica e la sua scomparsa potrebbe causare una cascata di estinzioni che potrebbe portare al collasso dell'ecosistema. A contare non è solo il numero, ma anche la diversità.
Quando si parla di rischio di estinzione si pensa subito agli animali, e quasi sempre ai più esotici, ma sappiamo che anche il mondo vegetale è fortemente minacciato: lo sono gli alberi, nonostante se ne parli davvero poco. "Non dovremmo rinunciare a nessuna specie di albero", precisa Paul Smith, capo del Botanic gardens conservation international (BGCI), ente britannico tra i coordinatori della campagna per garantire il futuro nei loro habitat naturali delle specie arboree minacciate a livello globale. Le sue parole vengono riportate in un approfondito articolo pubblicato recentemente su Nature dal titolo The loneliest trees: can science save these threatened species from extinction? Lanciata nel 1999, ad oggi la Global Tress Campaign ha sostenuto iniziative di conservazione a beneficio di oltre 400 specie di alberi minacciati in oltre 50 Paesi. Ma sulla questione relativa agli habitat naturali - che sembra essere particolarmente complessa - si è espresso anche Peter Bridgewater, specialista in gestione della biodiversità all'università di Canberra, il quale afferma che trovare una casa "naturale" per ogni specie di albero è in realtà una missione impossibile perché il cambiamento climatico sta alterando gli ecosistemi. Cosa fare dunque?
“La protezione dell'ecosistema dovrebbe essere una priorità. Senza una visione ecosistemica del mondo nel quale vivono gli alberi non riusciremo mai a proteggerli".
Abbiamo chiesto a Lucio Montecchio, patologo forestale, docente all'università di Padova, di riflettere con noi attorno a questo argomento. "Quando si parla di rischio di estinzione si pensa poco agli alberi perché siamo abituati alla loro presenza e li diamo per scontati. Tutti noi sappiamo distinguere uno scoiattolo da una zebra, una capra da una mucca, ma spesso non sappiamo distinguere un albero dall'altro. Per la maggior parte delle persone gli alberi sono semplicemente alberi. Se una pianta è più alta di tre metri è un albero. Abbiamo poca conoscenza a livello popolare, non conosciamo la differenza tra specie e quindi non riusciamo ad apprezzare, in modo prima di tutto epidermico non necessariamente scientifico, l'importanza di quella che chiamiamo biodiversità vegetale. Biodiversità è una parola bellissima ma a volte abusata: sentiamo parole come biodiversità e cambiamento climatico talmente tante volte al giorno da non riuscire a dar loro neanche più peso, sono diventati rumore di fondo". E su minacce e responsabilità dell’essere umano, Montecchio aggiunge: "Di specie vegetali, comprese quelle acquatiche, ce ne sono tantissime e fra gli alberi ci sono molte specie a rischio. Chiariamo, il rischio d'estinzione è difficile da calcolare, ma ci sono specie sicuramente vulnerabili per vari motivi, minacciate per esempio dal cambiamento del clima, di cui siamo responsabili: l'albero non ha le gambe e non ha le ali, non può migrare con la velocità di un uccello o anche di un essere umano, pensiamo ai migranti climatici. Gli alberi e le piante sono molto più lenti, la loro velocità di spostamento è legata alla disseminazione, che per noi è impercettibile perché misuriamo il tempo in base alla nostra aspettativa di vita: la nostra è una visione antropocentrica. Con il cambiamento del clima qualsiasi specie vivente si sposta, dal lombrico all'abete rosso. In ecologia la fuga è un tentativo di scappare dalla competizione, verso luoghi dove sia possibile lottare meno, e la specie che si sposta viene sostituita da un'altra. Negli ultimi decenni siamo diventati noi i maggiori driver delle modificazioni del clima e quindi siamo noi ad accelerare la necessità di "spostamento dell'albero", gli stiamo mettendo fretta. Le specie più vulnerabili sono le più lente, quelle che ce la farebbero in un contesto normale di cambiamento ma che patiscono la nostra spinta ad accelerare".
Da lento a rapidissimo; alle modificazioni del clima possiamo collegare "il veloce spostamento di parassiti di piante, soprattutto quelli del seme. Dopo anni la pianta arriva a fare il seme, ma quello stesso seme può essere attaccato e mangiato dai parassiti che si muovono velocemente, trasportati dal vento e dagli insetti. Oppure può essere lo stesso insetto a mangiarlo. Parlando di insetti, un altro problema è legato alla drastica riduzione degli impollinatori: se il seme non viene prodotto, diminuiscono le possibilità dell'albero di spostarsi altrove, magari anche solo cento metri di quota più in basso, verso condizioni più favorevoli".
Esistono azioni capaci di accelerare e peggiorare questo quadro già critico? "Certo, per esempio il prelievo illegale di specie arboree di grande pregio commerciale. Pensiamo al mogano, alcune specie sono a rischio di estinzione perché sono state tagliate per ricavarne cose, cose di legno a volte discutibili: i cofani delle casse da morto, scelte da chi se lo può permettere, sono di mogano, così come porte e testiere dei letti. Si tratta di una moda che ha avuto un boom con il benessere degli anni Sessanta e che ancora resiste. Un altro esempio: il legno conosciuto commercialmente come zebrano è ricercatissimo, ma queste sono specie che ci mettono trecento anni a crescere. Insomma, il punto è che dovrebbero essere proibiti il taglio e la commercializzazione di specie in via di estinzione, in particolar modo quando l'uso è esclusivamente estetico. Il taglio illegale, soprattutto legato alla falegnameria e quindi all'arredamento, è un grosso problema".
Torniamo a parlare di habitat naturali. Si diceva, se il cambiamento climatico sta alterando gli ecosistemi risulta impossibile ricollocare ogni specie in quella che potremmo chiamare la sua "casa naturale". "Se sta sparendo dal suo ambiente naturale, cosa possiamo mai fare? Qui risultano fondamentali le banche del seme, le collezioni e gli orti botanici, dove scienza e cultura sono il motore e dove quindi la messa a dimora non avviene per motivi ornamentali ma di conservazione. Ma così non li stiamo salvando in natura, questo deve essere chiaro. In natura una specie sparisce. Un altro problema è che meno esemplari hai, meno variabilità genetica c'è in quel ridottissimo nucleo di esemplari della stessa specie. Quindi, meno variabilità genetica significa anche meno possibilità di adattamento non previsto dal corredo genetico per la prole".
In Italia abbiamo specie arboree a rischio ma se ne parla davvero poco, non si sa quasi nulla. "Se ne parla in contesti specifici e all'uomo comune non interessa, perché un albero vale l'altro. Non conosci neanche la specie dell'albero sotto il quale parcheggi tutti i giorni l'auto, non te ne curi. L'abete dei Nebrodi è rarissimo, ci sono pochi esemplari e sono tutti in Sicilia: se non ci fosse qualcuno che se ne prende cura sarebbe già sparito, ma questo non lo sa nessuno. Non c'è una sensibilità di difesa a livello popolare. Ogni mattina io porto il mio cane a passeggiare sull'argine e mi fermo a guardare gli alberi, ci sono olmi, pioppi, salici, ma sono certo di essere tra i pochi a farlo, la maggior parte delle persone non presta attenzione. Questo disinteresse verso gli alberi ha un nome, è stato definito cecità al verde: siamo talmente abituati a questo colore da non vederlo più, il verde scompare. Di un albero ignorato per anni, pur magari passandoci accanto tutti i giorni, torniamo a interessarci quando viene tagliato, solo in quel momento ce ne occupiamo e allora andiamo a vedere l'albero che cade".
Cosa sta facendo la scienza in questo senso? Quali azioni sono state avviate per la salvaguardia di specie a rischio estinzione? "Dal punto di vista scientifico si sta facendo molto e da anni, ma queste sono informazioni che non vengono comunicate abbastanza, perché le azioni di difesa delle specie arboree non interessano i media. La preservazione funziona soprattutto grazie alle banche del seme, nate inizialmente per le piante a uso alimentare. Il seme viene raccolto e conservato con lo scopo di preservare la specie. In natura molte specie spariranno, ma noi abbiamo il dovere morale di lavorare per dare a ogni specie la possibilità di sopravvivere, senza dimenticare che oltre al dovere morale esiste anche un motivo legato all'utilità: ricordiamoci che un tempo la farmacia era legata al mondo botanico, costituita dai semplici e dai compositi, la preservazione serve anche a mantenere una sorta di banca della salute".