MONDO SALUTE
Ambiente e salute. Acqua: “Ricerca e assetto etico e solidale si muovano insieme”
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Nel 2007 il British Medical Journal promosse un sondaggio tra i suoi lettori, chiedendo quale fosse nella loro opinione il più importante progresso in campo medico, a partire dalla metà dell’Ottocento. Ebbene, più di 11.300 persone indicarono l'introduzione dell’acqua potabile e dello smaltimento delle acque reflue come pietra miliare della medicina. Prima ancora degli antibiotici, della scoperta della struttura del Dna e dei vaccini.
La corretta gestione delle risorse idriche fu riconosciuta in quel caso come una misura di prevenzione sanitaria collettiva fondamentale. Un principio, questo, sancito dall’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile che prevede tra i suoi obiettivi quello di garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico-sanitarie, per evitare che milioni di persone al mondo muoiano a causa di malattie dovute a carenza e scarsa qualità idrica. Stando ai dati dell’Organizzazione mondiale della Sanità, più di due miliardi di persone vivono in Paesi soggetti a stress idrico, che in alcune regioni probabilmente sarà destinato a inasprirsi a causa dei cambiamenti climatici e dell’aumento della popolazione, e almeno due miliardi utilizzano una fonte di acqua potabile contaminata da feci, che rappresenta il rischio maggiore per la sicurezza delle acque e dunque per la salute.
In un precedente servizio, abbiamo visto come il benessere psicofisico dell’uomo sia strettamente interconnesso con la salute dell’intero ecosistema, piante e animali, secondo il concetto di One Health, o Planetary Health, e anche le risorse idriche del pianeta rispondono a queste dinamiche. Per la serie Ambiente e salute, approfondiamo l’argomento con Luca Lucentini, direttore del reparto di Qualità dell’acqua e salute dell’Istituto superiore di Sanità ed esperto per l’Oms, l’Unione Europea e l’Organizzazione delle Nazioni Unite in tema di accesso all’acqua e servizi igienico-sanitari sicuri. “In Italia – esordisce Lucentini, dando innanzitutto qualche informazione sul nostro territorio – la situazione è certamente molto avanzata in termini di tutela della salute legata alla qualità delle acque. A livello mondiale, invece, un terzo della popolazione è afflitta da malattie direttamente o indirettamente correlate alla qualità idrica, e la situazione è esacerbata dai cambiamenti climatici. Nel nostro Paese l’accesso all’acqua è ormai un diritto riconosciuto da tempo. Certamente un anello debole è lo stato delle reti idriche. Circa il 60% ha più di 30 anni e il 25% più di 50, quindi molto più della vita media prevista. Servono investimenti, ma questo è un discorso che attiene alla governance dei servizi idrici”.
Malattie veicolate dall’acqua
“Le malattie veicolate dall'acqua sono innumerevoli – continua Lucentini –. Serve innanzitutto fare una distinzione fra le patologie causate da microrganismi, che sono certamente le più gravi per la rapidità con cui insorgono i sintomi, ma a volte anche per la morbilità e la possibilità di tossinfezioni, e quelle dovute invece a una contaminazione chimica che spesso si lega a un'esposizione di lunga durata. Parliamo per esempio di rischi legati ad arsenico, fluoro, in alcuni casi boro (contaminanti chimici di origine naturale, ndr), soprattutto piombo. Il piombo è un elemento particolarmente tossico che può essere veicolato più raramente dall'acqua come contaminante naturale, ma molto spesso invece dalla corrosione di reti in piombo”. Rischi chimici possono derivare anche da contaminanti emergenti come i prodotti farmaceutici, i pesticidi, le sostanze per e polifluoroalchiliche (Pfas) e, come vedremo, le microplastiche.
“I rischi microbiologici sono numerosi, molti germi sono presenti nell'acqua, come la shigella, il vibrio cholerae che viene poi veicolato attraverso gli alimenti. L'esposizione attraverso la balneazione o l'uso potabile o alimentare è certamente una delle principali vie di trasmissione”. L'acqua potabile contaminata da microrganismi di vario tipo, come batteri, protozoi, virus, può trasmettere malattie come la diarrea, il colera, l’epatite A, il tifo e la poliomielite. Secondo le stime dell’Organizzazione mondiale della Sanità, ogni anno provoca circa 485.000 decessi per diarrea. Se quest’ultima è la patologia più nota, ci sono anche rischi di altro tipo: nel 2017, più di 220 milioni di persone hanno richiesto un trattamento preventivo per la schistosomiasi, una malattia acuta e cronica causata da vermi parassiti contratti attraverso l'esposizione ad acqua infetta. A livello internazionale l’Oms guida gli sforzi dei governi per prevenire le malattie idrodiffuse, attraverso una serie di linee guida sulla qualità dell'acqua. Dal 2004 in particolare le Guidelines for drinking-water quality tracciano il quadro di riferimento per l’acqua potabile sicura. Altro documento di riferimento è il Protocol on Water and Health Oms-Unece, firmato ma non ancora ratificato dall’Italia.
Acque di balneazione
Lucentini sottolinea che il pericolo legato alle malattie idrodiffuse in Italia è ormai superato, grazie alla disinfezione delle acque. Anche per tale ragione non esiste nel nostro Paese un sistema di sorveglianza epidemiologica per questo tipo di patologie: si tratta di un fenomeno di portata piuttosto limitata, sebbene venga comunque monitorato attraverso la sorveglianza alimentare, dunque notifiche di tossinfezione da cibo. Esistono invece focolai di patologie idrodiffuse legate alla balneazione, causati da alghe tossiche.
“Attualmente la sorveglianza sulle acque di balneazione viene effettuata attraverso l'esecuzione di campionamenti che cercano di intercettare degli indicatori, cioè dei batteri (che non causano malattia) associati in modo precauzionale alla presenza di altri batteri che invece sono patogeni”. I cosiddetti batteri indicatori, come Escherichia coli ed Enterococchi, sono utili proprio per determinare la qualità delle acque: la loro presenza rivela una contaminazione fecale e la possibilità che vi siano microrganismi patogeni come Salmonella o virus.
Secondo Lucentini sarebbe importante potenziare il livello di prevenzione, riducendo per esempio i tempi di attesa dei risultati delle analisi: per un campione sono richieste alcune ore, ma in quel frangente le persone potrebbero essere esposte. “In ogni caso vorremmo comunque evitare che quel campione si riveli non conforme, per cui la via da prediligere è un assetto di depurazione più adeguato, dunque un controllo molto più rigoroso delle immissioni nei corpi idrici potenzialmente contaminati”.
Intervista completa a Luca Lucentini, direttore del reparto di Qualità dell’acqua e salute dell’Istituto superiore di Sanità. Servizio di Monica Panetto, montaggio di Barbara Paknazar.
Microplastiche nella rete alimentare
La presenza di oggetti in materiale plastico nelle acque desta particolare preoccupazione per la loro resistenza alla degradazione e la durata nel tempo, uniti al largo consumo che ne fa tutta la popolazione mondiale. Nella Strategia europea per la plastica nell'economia circolare (comunicazione n. 28 del 16 gennaio 2018), la Commissione europea riferisce che, secondo le stime, a livello mondiale ogni anno finiscono negli oceani da 5 a 13 milioni di tonnellate di plastica che rappresenta oltre l’80% dei rifiuti marini. Le macroplastiche, gli oggetti di maggiori dimensioni, impattano direttamente sugli organismi marini e sugli ecosistemi, deturpando i paesaggi costieri; ma le microplastiche, frammenti di dimensioni inferiori ai 5 millimetri e superiori a 1 micrometro, possono entrare nella rete alimentare marina sino ad arrivare all’uomo, attraverso il consumo di prodotti ittici o di acqua contaminata. “Il problema è molto recente ed è deflagrato nella nuova direttiva sull’acqua potabile del 2020. Dal punto di vista tecnico-scientifico siamo abbastanza indietro, si stanno facendo progressi notevoli nelle tecniche analitiche per la ricerca di micro e nanoplastiche, ma non sono ancora noti i potenziali effetti tossici. Anche sulla qualità del dato c'è una certa incertezza, motivo per cui ricerca e controllo si stanno muovendo rapidamente”. Lucentini precisa che in Italia, sulla base dei pochi dati disponibili per le acque potabili, il fenomeno è relativamente limitato, poiché nel nostro Paese le acque sotterranee sono per l'85% protette. Fare prevenzione attraverso il riciclo e il trattamento dei materiali plastici è la via da preferire rispetto ai controlli analitici che peraltro, secondo il direttore, pur essendo sempre più efficaci necessitano ancora di un paio d'anni per raggiungere una certa armonizzazione nelle metodiche.
Cambiamenti climatici, risorse idriche e salute
Il riscaldamento degli oceani ha rappresentato il 93% circa del riscaldamento del pianeta sin dagli anni Cinquanta. Le temperature dell’acqua costituiscono uno dei più importanti regolatori della vita marina, e il loro aumento sta già determinando significativi cambiamenti nella distribuzione delle specie marine, che a loro volta possono avere un impatto sull’economia e sulle comunità che vivono di pesca. A ciò si aggiunga che l’aumento delle temperature può accrescere anche il rischio di malattie idrotrasmesse, come le infezioni da vibriosi nella regione del Mar Baltico.
L'acqua, secondo Lucentini, è uno dei segmenti più fragili in relazione ai cambiamenti climatici. Danni fisici ingenti possono essere causati dalle esondazioni o dalle alluvioni, dato che il regime meteorologico delle precipitazioni è notevolmente cambiato negli anni. Le problematiche di quantità si associano a quelle di qualità: la scarsità d’acqua, per esempio, può provocare concentrazioni di elementi tossici; il lavaggio delle superfici indotto dalle alluvioni può spingere in falda escrementi animali contenenti protozoi. Ancora, l'aumento delle temperature può dare origine a incrementi di crescita algali negli invasi e le successioni tra siccità ed esondazione possono causare un movimento dei sedimenti e quindi un cambio radicale delle popolazioni microbiche che governano gli invasi. “Si tratta di problemi strettamente correlati. L'Italia sta intervenendo con un assetto di prevenzione sempre più importante, con dei Piani di sicurezza dell'acqua che affrontano sia aspetti quantitativi che qualitativi, cercando di prediligere soluzioni di breve, medio e lungo periodo per adattarsi”.
Una riflessione sui Paesi in via di sviluppo
Se in Italia il pericolo legato alle malattie idrotrasmesse è limitato, grazie alla disinfezione delle acque, non si può dire lo stesso come si è visto per molte altre parti del mondo. Basti pensare, senza andare molto lontano, che se la maggior parte degli europei dà per scontata la disponibilità di acqua potabile, nella sola regione paneuropea circa 19 milioni di persone non hanno accesso a fonti idriche sicure.
Nei Paesi in via di sviluppo, in cui la tutela della salute legata alla qualità delle acque si rivela spesso un problema urgente, uno degli interventi possibili è innanzitutto di ordine etico-civile. “Una minima quota della tariffa che si paga per l'acqua nei Paesi occidentali – sottolinea Lucentini – potrebbe sovvenzionare tecnologie ed expertise che l'Occidente può trasferire nei Paesi meno sviluppati. Molto spesso infatti è proprio questo che manca: non tanto la costruzione dell’infrastruttura, che pure spesso non esiste, ma il mantenimento e la formazione del personale locale. C'è poi un’ulteriore serie di interventi che lega l'acqua a molti altri aspetti scientifici e tecnici. Acqua ed energia sono strettamente correlate, sia perché l'acqua crea energia, sia perché l'acqua necessita di energia. Ci riferiamo qui a tecnologie che potrebbero davvero cambiare l'assetto mondiale, come ad esempio la dissalazione, un processo energivoro a cui oggi non si può pensare su vasta scala. Tuttavia se fosse sostenuta da energie alternative, per esempio con impianti offshore, in realtà in certi casi potrebbe anche far retrocedere processi di desertificazione. Ma ancora una volta, ricerca scientifica e assetto etico e solidale dovrebbero muoversi insieme”.
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SPECIALE “AMBIENTE E SALUTE”
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8 - L'impatto del cambiamento climatico ora si insegna a medicina