MONDO SALUTE
Ambiente e salute. Siti contaminati: rischi per la salute e possibili interventi
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Un rapporto dell’Istituto superiore di Sanità pubblicato nel 2020, indica la presenza di circa 342.000 siti contaminati in ambito europeo, sottolineando che solo il 15% di questi è sottoposto a interventi di risanamento ambientale. In Italia i siti contaminati di interesse nazionale sono 42 (da Porto Marghera a Taranto, da Piombino a Brindisi, solo per citarne alcuni) per una superficie complessiva di 170.000 ettari, a cui vanno aggiunti circa 34.000 siti di interesse regionale sottoposti a procedimenti di bonifica in corso o conclusi. Si tratta, nello specifico, di aree in cui attività umane pregresse o in corso (come i processi industriali o la gestione dei rifiuti che ne derivano) hanno causato un’alterazione delle caratteristiche qualitative del suolo, del sottosuolo e delle acque sotterranee tale da rappresentare un rischio per la salute umana.
Allo scopo di monitorare i profili di salute della popolazione residente in queste aree, dal 2006 l’Istituto superiore di Sanità (Iss) coordina nel nostro Paese il progetto Sentieri (Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento), giunto quest’anno alla sua sesta edizione. Nel 2013 l’Organizzazione mondiale della Sanità, prendendo le mosse proprio dall’attività di studio sui siti contaminati e dal progetto Sentieri, ha istituito nel dipartimento Ambiente e salute dell’Iss il Who Collaborating Center for Environmental Health in Contaminated Sites, un centro di riferimento per condurre attività sui siti contaminati a supporto dei programmi dell’Oms.
Con Roberto Pasetto, primo ricercatore del reparto di Epidemiologia ambientale e sociale dell’Istituto superiore di Sanità, che fa parte anche dello staff del Who Collaborating Center for Environmental Health in Contaminated Sites dell’Oms, abbiamo discusso i risultati della sorveglianza epidemiologica e approfondito il tema della diversa distribuzione dei fattori di rischio per la salute nei siti contaminati, in relazione al concetto di giustizia ambientale.
Intervista completa a Roberto Pasetto dell'Istituto superiore di Sanità. Montaggio di Barbara Paknazar
Siti contaminati: mortalità e ospedalizzazione
L’ultimo rapporto Sentieri, pubblicato nel marzo del 2023, descrive i dati di mortalità e ospedalizzazione registrati in 39 siti nazionali e 7 regionali. Complessivamente sono più di 6 milioni e 200.000 abitanti, distribuiti su 316 comuni. Le comunità considerate sono generalmente medio-piccole, composte da migliaia a decine di migliaia di persone, che hanno dovuto convivere con la presenza di impianti industriali sul territorio: se da un lato le aziende inizialmente possono aver garantito un’occupazione e (per alcuni) anche un miglioramento della qualità di vita, dall’altro sono state causa di contaminazione ambientale e hanno provocato un deterioramento dell’ambiente di vita, con ripercussioni sulla salute.
Soffermiamoci ora su qualche dato significativo. Nei 46 siti considerati, tra il 2013 e 2017 sono stati stimati 1668 decessi in eccesso all’anno (8.342 complessivi): nel 56% dei casi si trattava di tumori maligni. La percentuale delle morti in eccesso rispetto al totale dei decessi osservati è praticamente costante nel tempo, passando dal 2,5% nel periodo compreso tra il 1995 e il 2002 al 2,6% nel periodo 2013-2017. Il rapporto, che fornisce sia risultati complessivi che specifici per ogni singolo sito, propone inoltre una relazione tra patologie e fattori di esposizione, sottolineando ad esempio che la mortalità per mesoteliomi è in eccesso di tre volte nei siti con presenza di amianto e quella per mesoteliomi pleurici più di due volte nell’insieme dei siti con presenza di amianto e aree portuali. Il tumore del polmone è risultato in eccesso del 6% tra gli uomini e del 7% tra le donne. E’ stato rilevato poi un eccesso di mortalità per tumore del colon retto nei siti caratterizzati dalla presenza di impianti chimici, del 4 % tra i maschi e del 3 % nella popolazione femminile, e per il tumore della vescica tra gli uomini nei siti con discariche. I tumori dello stomaco e dei tessuti molli risultano invece in difetto come causa di decesso nell’insieme dei siti considerati.
L’ospedalizzazione, calcolata nel periodo 2014-2018 nei 46 siti, è risultata in eccesso del 3% per tutte le cause, in entrambi i generi. È stato rilevato un eccesso di rischio dell’8% per tutte le cause nel primo anno di vita, e in età pediatrico-adolescenziale (0-19 anni) e giovanile (20-29 anni) del 3-4% tra i maschi e del 5% tra le femmine.
In 21 dei 46 siti sono state studiate anche le anomalie congenite, diagnosticate entro il primo anno di vita: 10.126 i casi riscontrati su 304.620 nati residenti. Le anomalie congenite dei genitali sono state quelle per cui è stato rilevato il numero maggiore di eccessi, in 7 aree su 21.
Le caratteristiche socio-economiche della popolazione
“Nell’ultimo rapporto Sentieri – sottolinea Roberto Pasetto – sono state esaminate anche le caratteristiche socio-economiche, con indicatori descrittivi. Ebbene, dalla valutazione complessiva si osserva che c’è un gradiente Nord-Sud progressivo di fragilità socio-economica delle comunità che abitano nei pressi dei siti contaminati: nella maggior parte delle comunità che risiedono in prossimità dei siti del Sud Italia vi sono condizioni di fragilità socio-economica. Un altro aspetto rilevante dell’ultimo rapporto riguarda gli approfondimenti: vengono presentate per esempio le stime di impatto da inquinamento atmosferico nei pressi delle sorgenti di contaminazione presenti nei 46 siti e, per la prima volta, si dà spazio al tema della giustizia ambientale nei siti contaminati”.
Acciaieria di Taranto, Puglia. Foto: Adobe Stock
Quali provvedimenti per ridurre i rischi per la salute?
A fronte di questa situazione, i provvedimenti da prendere in considerazione sono più d’uno. “Anzitutto le bonifiche, perché in questo modo si elimina alla radice la possibilità che la contaminazione determini un’esposizione e poi un esito sulla salute”. Sebbene la situazione sia molto eterogenea sul territorio nazionale, Pasetto sottolinea che in generale le bonifiche procedono a rilento e il lavoro da fare è ancora molto.
Gli interventi però possono essere anche di altro tipo. “Si possono implementare sistemi di sorveglianza, come gli screening oncologici per esempio, in grado di individuare precocemente gli esiti di salute, prima che questi si manifestino”. Secondo Pasetto si tratta di un’azione efficace, già adottata peraltro in alcuni siti come Taranto o in alcuni altri della Sicilia.
“Nel piano di ricerca complementare al Pnrr, inoltre, sono previsti interventi che riguardano la sorveglianza integrata ambiente e salute. Ora se questa sorveglianza sarà sviluppata nell'ottica della prevenzione, potremo dire che ci saranno le premesse per prevenire il rischio futuro associato ancora alle contaminazioni che sono presenti”.
Un altro strumento importante sono le Valutazioni di impatto sanitario (Vis) definite come una combinazione di procedure, metodi e strumenti che permettono di valutare i potenziali effetti di una politica o di un progetto sulla salute di una popolazione, prima che questi vengano realizzati, individuando le azioni appropriate per la loro gestione, così da prevenire eventuali rischi futuri.
Distribuzione del rischio, giustizia ambientale e salute
Le persone che vivono nei pressi dei siti contaminati sono evidentemente esposte a rischi maggiori per la salute rispetto al resto della popolazione: si parla, in questo caso, di giustizia o ingiustizia ambientale, utilizzando un termine coniato in America negli anni Ottanta del Novecento e introdotto in Italia solo di recente. “Sostanzialmente – spiega Roberto Pasetto, che ha curato con Alessandra Fabri il rapporto Environmental Justice nei siti industriali contaminati – la giustizia ambientale si riferisce alla distribuzione dei rischi e dei benefici ambientali: tanto più questa distribuzione è uniforme e tanto meno riguarda in modo specifico solo alcune categorie, tanto più vi è una condizione effettiva di giustizia ambientale. Si assiste invece a una situazione di ingiustizia ambientale, quando alcune categorie in particolare sono sempre esposte ai rischi ambientali, come per esempio gruppi di popolazioni già fragili. Si pensi ai siti contaminati: qui le comunità che risiedono in prossimità di queste aree sono maggiormente esposte alle contaminazioni”. Con le conseguenze che ne derivano sulla salute.
Continua Pasetto: “È frequente che le persone residenti in questi siti siano anche fragili a livello socio-economico, e in Italia l'abbiamo osservato in particolare nel Sud Italia. Quando le comunità sono sovraccaricate da elementi di fragilità e dunque da pressioni ambientali, fragilità socio-economiche e hanno inoltre profili che evidenziano eccessi di rischio (nel caso specifico un rischio maggiore di ammalarsi e morire, ndr), si vengono a determinare condizioni di ingiustizia ambientale”.
Porto Marghera, Venezia. Foto: Stefano Dal Pozzolo/Contrasto
Fondamentale il contributo delle comunità locali
Secondo il ricercatore per invertire la rotta è fondamentale il contributo delle comunità locali, nutrito dal trasferimento di conoscenze da parte degli esperti del settore. “Le comunità devono essere protagoniste, mentre spesso sono succubi e non hanno la capacità di reagire”. È necessario dunque produrre informazioni (e il progetto Sentieri ne è un esempio) e diffondere i risultati, coinvolgendo la popolazione nei processi di approfondimento, negli studi che vengono condotti. Attraverso progetti di citizen science, per esempio, i cittadini possono concorrere direttamente alla produzione di conoscenze. Le comunità locali possono fare la differenza, nella misura in cui si dimostrano in grado di lottare per riconquistare un protagonismo sul proprio territorio, una volta acquisiti gli opportuni strumenti. “Bisogna interagire con i portatori di interesse, non solo con i cittadini ma anche con gli amministratori che sicuramente, se coinvolti sin dall'inizio, saranno poi partecipi delle iniziative o delle raccomandazioni formulate a conclusione degli studi”. Secondo Pasetto è fondamentale condividere gli obiettivi, affinché tutti gli attori coinvolti possano dare il loro contributo.
“La giustizia ambientale è un processo che nasce dalle azioni dal basso: così è sorta negli Stati Uniti d'America, quando le comunità di Black American si ribellarono nei confronti delle loro amministrazioni, poiché ponevano le sorgenti di rischio sempre nei loro territori e non in quelli degli White American. Ma lo stesso avviene anche nei nostri territori. In Italia la giustizia ambientale è nata in modo informale, ma oggi c'è consapevolezza anche da parte delle istituzioni, e non è un caso che l'Istituto superiore di Sanità abbia evoluto il sistema Sentieri, integrandolo con elementi di giustizia ambientale. Certo, anche gli amministratori nazionali possono agire di conseguenza. Se si considera per esempio che il rapporto pone in evidenza uno svantaggio evidente al Sud, in un’ottica di giustizia ambientale gli interventi dovrebbero essere indirizzati prioritariamente alle comunità dell’Italia meridionale”.
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