SCIENZA E RICERCA

Un Archivio della Terra: costruire la memoria per il futuro

Quando la nave Argo, alla fine del lungo viaggio di Teseo, torna in porto, sembra immutata rispetto al momento della costruzione; eppure, nessuno dei pezzi che la compongono è originale. È un paradosso: riconosciamo la nave come identica a sé stessa, nonostante le sue componenti siano completamente diverse rispetto a quelle che formavano la nave ‘originale’. È noto, in filosofia, come il paradosso dell’identità, e coinvolge ognuno di noi. Nessuno, infatti, nel corso della vita rimane uguale a sé stesso: le nostre cellule muoiono e vengono sostituite continuamente, e la nostra stessa personalità muta con il passare del tempo; eppure, noi percepiamo distintamente il permanere della nostra identità personale. Come è possibile?

Tra le tante potenziali risposte a questo dilemma, potremmo indicarne una: la memoria. È la memoria del nostro passato, della nostra storia, a confermare che, nonostante tutti i cambiamenti, la nostra identità è preservata. È grazie alla memoria, dunque, che possiamo riconoscerci, e riconoscere le entità attorno a noi, come unitarie e continue nel tempo.

E, a ben guardare, quel che vale a livello personale funziona anche sul piano collettivo: anche le culture, infatti, sono dinamiche e mutevoli, e ciò che garantisce il legame tra quel che è stato e quel che sarà è proprio la conoscenza e il ricordo, tramandato, del passato.

I cambiamenti ambientali a cui oggi assistiamo si stanno verificando a un ritmo temporale e su una scala spaziale inediti: secondo alcuni, sono mutamenti troppo ampi e troppo veloci perché le culture riescano a tenere il passo, adattandosi ad essi e sopravvivendo, seppure sotto nuove forme.

La sfida a cui la generazione presente e, soprattutto, quelle dell’immediato futuro sono chiamate è senza dubbio complessa. Si tratta di preservare la memoria collettiva dal rischio di un oblio causato dalla rapida sparizione delle realtà naturali e dei complessi culturali ad esse legate da una lunga coevoluzione. Il valore di tale memoria è altissimo: solo consegnando questo testimone alle future generazioni, infatti, esse saranno in grado non solo di conoscere le proprie radici, ma anche di comprendere l’entità del cambiamento e, di conseguenza, potranno sviluppare gli strumenti per affrontarlo.

Consapevoli dell’importanza di agire tempestivamente ora, prima che sia troppo tardi, un gruppo molto eterogeneo di studiosi ha lanciato, sulla rivista PNAS, un appello alla comunità scientifica: è essenziale unire le forze per preservare e tenere traccia del nostro patrimonio ecologico e culturale prima che esso scompaia per sempre, a causa dei cambiamenti ambientali in atto.

Sono già molti gli archivi che raccolgono le prove di manifestazioni naturali e culturali da poco scomparse, o a rischio di estinzione. Abbiamo, ad esempio, fotografie, immagini satellitari, monitoraggi che documentano l’evoluzione degli ecosistemi globali nel corso dei decenni recenti. Questa mole di dati, tuttavia, presenta un’importante lacuna: manca, ad oggi, una ricostruzione tridimensionale della superficie terrestre, che raccolga le informazioni sui diversi “strati” nei quali le componenti degli ecosistemi si sono sviluppate. Una simile ricostruzione – per realizzare la quale oggi abbiamo a disposizione diverse tecnologie, come la LIDAR (Laser, Imaging, Detection and Ranging) – offrirebbe una riproduzione quanto mai fedele della complessità degli ecosistemi, garantendo l’accesso a dati fondamentali non solo per monitorare i cambiamenti, ma anche per sviluppare politiche di conservazione e ripristino più adeguate ed efficaci, oggi e in futuro. La proposta, dunque, consiste nel creare un “Archivio della Terra” che riunisca i dati tridimensionali di tutta la superficie emersa del pianeta (circa il 30% della crosta terrestre) per far sì che, almeno nella memoria collettiva, ciò che stiamo rapidamente perdendo non sia del tutto obliato.

Un simile sforzo costituirebbe, tra l’altro, un importante documento di come le attività degli esseri umani hanno modificato, nei lunghissimi tempi dell’evoluzione biologica, il volto del pianeta: si tratta dei cosiddetti “paesaggi culturali”, frutto di pratiche tradizionali che stanno ormai scomparendo sotto i colpi della modernizzazione e del cambiamento – spesso irreversibile – delle condizioni ambientali.

Tramite questo “gemello digitale” della superficie del pianeta, si vuole provare a lasciare alle future generazioni una testimonianza scientificamente corroborata di come era il mondo prima che la rivoluzione della modernità occidentale entrasse in scena, lasciando tracce di sé persino nel record geologico. Si tratterebbe di una sorta di testamento, un modo per garantire ai discendenti di chi vive nell’Antropocene di avere accesso alle proprie radici, anche quando queste non saranno più fisicamente esistenti. Si tratterebbe, dunque, di un enorme sforzo collaborativo per opporre alla rapida transizione verso un mondo diverso la forza della memoria, e così lasciare viva la speranza che l’identità del pianeta, della nostra e delle molte altre specie oggi minacciate, permanga nel futuro.

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