SCIENZA E RICERCA
Asteroide Ryugu: dalle analisi sui campioni informazioni preziose sull'evoluzione del sistema solare
I tentativi di conoscere quali caratteristiche aveva il nostro sistema solare nei primissimi tempi dalla sua formazione hanno negli asteroidi e nelle meteoriti delle fonti di informazioni preziosissime: questi oggetti, a differenza dei corpi planetari, non hanno subito alterazioni nel corso del tempo e sono dunque una sorta di memoria storica dell'universo, grazie alla quale possiamo risalire alle tappe fondamentali dell'evoluzione del sistema solare e cercare delle risposte anche sulle origini della vita.
Ryugu è un asteroide che fa parte della classe dei near-Earth, quella cioè che denota gli oggetti che orbitano vicino alla Terra. Proprio questa caratteristica fa sì che alcuni di essi (a seconda anche della loro dimensione) possano rappresentare un potenziale pericolo per il nostro pianeta, ma al tempo stesso li rende i più accessibili alle sonde.
Tra il 2018 e il 2019 la superficie di Ryugu è stata visitata dalla sonda Hayabusa 2, dell'agenzia spaziale giapponese Jaxa, che ha effettuato due atterraggi sull'asteroide allo scopo di prelevare dei campioni da spedire sulla Terra e permettere così agli scienziati di analizzare i materiali raccolti. Il 6 dicembre del 2020, sei anni dopo il lancio della sonda, la capsula contenente i campioni e rivestita da uno scudo termico è rientrata dallo spazio, atterrando nel Sud dell'Australia con un "bottino" di oltre 5 grammi, una quantità di molto superiore all'obiettivo minimo della missione.
Se si pensa che asteroidi come Ryugu, chiamati 'carbonacei' e indicati con la lettera C, sono i testimoni più antichi delle interazioni fra la materia avvenute quando il sistema solare si stava formando è facile comprendere quanto siano elevate le aspettative.
E in effetti, adesso che gli scienziati iniziano ad annunciare i primi risultati dell'analisi di questo straordinario campione, le sorprese non mancano. Uno studio recentemente pubblicato su Science ha dimostrato che i frammenti di polvere e roccia rientrati da Ryugu sono simili a quelli di un tipo molto raro di meteoriti, denominate condriti carboniose di tipo Ivuna (CI), molto interessanti dal punto di vista scientifico perché costituite dal materiale più antico ed incontaminato che si conosca. Si pensa infatti che queste rocce risalgano agli inizi del sistema solare, prima della formazione del sole, della Luna e della Terra.
Il team internazionale di ricercatori, guidato dal Giappone, ha analizzato circa 95 mg di campioni avvalendosi di diversi tecnologie (come microscopia elettronica e spettrometria di massa) e ha concluso che i materiali provenienti da Ryugu sono i più primitivi e incontaminati mai studiati in laboratorio, incluse le stesse meteoriti CI rispetto alle quali presentano in effetti alcune differenze su cui è necessario continuare ad indagare. A spiegare queste diversità potrebbe essere il fatto che le meteoriti che arrivano sulla Terra subiscono delle contaminazioni che ne modificano la loro composizione. "Avere campioni incontaminati dallo spazio è semplicemente incredibile. Sono testimoni di parti del sistema solare che non avremmo altrimenti esplorato", ha commentato al riguardo il geochimico Nicolas Dauphas di una delle università di Chicago che hanno collaborato al lavoro.
I risultati a cui è giunta questa ricerca suggeriscono che questo asteroide sia un pezzo della stessa sostanza che si è fusa nel nostro sole quattro miliardi e mezzo di anni fa: gli scienziati pensano che i resti di quella gigantesca nuvola di gas rotante, una volta raffreddati, si trasformarono in rocce che ancora oggi galleggiano intorno al sistema solare. Ryugu potrebbe quindi essere una testimonianza diretta di quei resti.
Samples recovered from near-Earth asteroid #Ryugu represent chemically the most primitive and pristine #SolarSystem materials yet analyzed in a laboratory, a new Science study suggests. https://t.co/Ir9uIMvWtx pic.twitter.com/vTJ6Z788qF
— Science Magazine (@ScienceMagazine) June 13, 2022
Un altro studio, presentato alla recente Lunar and Planetary Science Conference 2022, aveva inoltre messo in evidenza che in alcune parti dell'asteroide Ryugu (che in origine doveva essere molto più grande di come appare oggi), sono stati identificati degli amminoacidi simili a quelli che si trovano all’interno delle proteine di ogni organismo vivente sulla Terra. Questi risultati vanno nella stessa direzione di altre scoperte riguardanti sia le condriti che le comete e avvalorano l'ipotesi suggestiva che dallo spazio possano essersi diffuse le sostanze necessarie alla nascita della vita sul nostro pianeta.
Abbiamo approfondito le ultime scoperte sulla composizione chimica dei campioni di Ryugu e le tappe principali della missione Hayabusa 2 insieme ad Anna Barbaro, ricercatrice del dipartimento di Geoscienze dell'università di Padova specializzata nello studio delle meteoriti e dei materiali extraterrestri, che ha sottolineato come le nuove frontiere nell’investigazione della natura dei materiali extraterrestri e dei loro corpi del sistema solare siano proprio le missioni di sample-return, molto importanti per validare i dati che sono stati raccolti da remoto dei corpi visitati.
La ricercatrice Anna Barbaro del dipartimento di Geoscienze dell'università di Padova, illustra lo studio che mostra le somiglianze tra i campioni dell'asteroide Ryugu e le meteoriti condriti carboniose di tipo Ivuna (CI). Servizio di Barbara Paknazar
Una spettacolare missione di sample-return
Se fossero stati privi della barriera protettiva di un veicolo spaziale i campioni di Ryugu non avrebbero mai raggiunto la superficie terrestre senza disintegrarsi o comunque senza risultare fortemente alterati. Non è quindi un caso se le ultime frontiere dell'esplorazione spaziale siano proprio le missioni sample-return, ossia quelle che puntano a raccogliere materiale dallo spazio (perlopiù da altre superfici planetarie) e riportarlo a Terra, affinché possa essere studiato attraverso tecniche e strumenti molto più sofisticati di quelli che si potrebbero usare nel corso di analisi in situ.
I primi esempi di sample-return sono state le missioni Apollo che mezzo secolo fa hanno consentito di riportare sul nostro pianeta diversi campioni lunari. La prima missione finalizzata all'acquisizione di materiale asteroidale è stata invece la giapponese Hayabusa, rientrata nel giugno del 2010. Un ulteriore passo avanti è stato compiuto con la sonda Hayabusa 2, la prima ad essersi concentrata su un asteroide più primitivo, quindi in grado di dare maggiori informazioni sul sistema solare primordiale.
"La raccolta di campioni direttamente sulla superficie di questi asteroidi può portare a provare l’associazione con un gruppo determinato di meteoriti che abbiamo trovato e raccolto qui sul nostro pianeta. Questo è quanto accaduto, per esempio, per la missione Hayabusa 1 che ha portato all’associazione tra l’asteroide che era andato a visitare, Itokawa, con le meteoriti condriti ordinarie", spiega Anna Barbaro.
Un importante avvenimento per le missioni di questo tipo è stato il lancio, il 3 dicembre 2014, della missione Hayabusa 2 da parte dell'Agenzia spaziale giapponese (Jaxa) che serviva a investigare l’asteroide Ryugu. Sei anni dopo (e più di cinque miliardi di km percorsi), la capsula della missione è arrivata, con il suo carico preziosissimo per i ricercatori, nel poligono militare australiano di Woomera dove ne era stato programmato l’atterraggio.
"Ryugu fa parte di un gruppo di asteroidi relativamente vicini alla Terra che prendono il nome di asteroidi Apollo e ha un raggio di circa 435 metri. Appartiene alla classe spettrale di tipo C e i primi dati di spettri acquisiti da remoto andavano ad associare questo asteroide alle condriti carbonacee, quindi meteoriti non differenziate, le condriti, composte prevalentemente da carbonio, organico e non, fasi silicatiche e minori fasi di alterazioni che vanno a comporre questa tipologia di meteoriti", continua la ricercatrice del dipartimento di Geoscienze dell'università di Padova.
"La missione Hayabusa 2 aveva lo scopo principale di investigare Ryugu tramite una serie di metodologie e questo è stato fatto sia con un’investigazione da remoto nel momento dell’avvicinamento della sonda al corpo, sia mandando un vero e proprio laboratorio sulla superficie di questo asteroide e facendolo cadere un po’ come una foglia. Ma la parte più spettacolare di Hayabusa 2 è stata la raccolta di campioni direttamente dalla superficie di questo asteroide: a questo scopo è stato eseguito il lancio di un proiettile dalla sonda che è andato a scavare un cratere artificiale di piccole dimensioni, circa 3 metri di diametro, permettendo quindi poi alla sonda di avvicinarsi e prelevare campioni direttamente dalla superficie dell’asteroide e anche un po’ più in profondità, così da avere materiali caratteristici del corpo". Mentre lo strato più esterno dell’asteroide può essere stato trasformato da agenti esterni, come raggi cosmici e micrometeoriti, i campioni presi in profondità offrono la garanzia di ottenere un materiale che è rimasto praticamente immutato dai tempi della formazione del sistema solare.
I primi risultati sui campioni prelevati da Ryugu
Come già detto la missione Hayabusa 2 (parola giapponese che significa falco pellegrino) ha completato tutte le sue operazioni con successo. Dopo una verifica preliminare del contenuto in gas del campione, la capsula ha poi lasciato l'Australia per dirigersi in Giappone, dove sono state condotte le analisi successive.
Uno studio pubblicato a febbraio su Science aveva confrontato le forme e le morfologie dei granelli presenti sulla superficie di Ryugu con quelle trovate nei campioni raccolti, sulla superficie e nei primi livelli del sottosuolo. Come riporta un approfondimento di Valentina Guglielmo per il notiziario online di Inaf "utilizzando le immagini e i video catturati durante entrambe le operazioni di atterraggio, gli autori dello studio hanno caratterizzato le proprietà delle rocce sparse sulla superficie di Ryugu, mostrando che hanno morfologie simili ai massi più grandi dell’asteroide, con forme che vanno da quasi sferiche ad appiattite. Confrontando queste osservazioni con i materiali consegnati sulla Terra, si è poi scoperto che i colori, le forme e le strutture dei campioni sono coerenti con il materiale che circonda ogni sito di raccolta su Ryugu".
Un importante passo successivo è stato la pubblicazione, sempre su Science, di un nuovo lavoro che ha permesso di ottenere maggiori informazioni sulla composizione chimica dei materiali prelevati da Ryugu.
"Le analisi alla base di questo lavoro sono state eseguite nel laboratorio dell’Extraterrestrial Sample Curation Center della Jaxa e hanno riguardato analisi di immagine, tramite microscopia elettronica a scansione, e analisi chimiche tramite la fluorescenza a raggi X e l’utilizzo di alcuni spettrometri di massa. Più in dettaglio grazie a due tipologie diverse di spettrometri di massa è stato possibile ottenere la composizione isotopica del titanio e del cromo di questi campioni", entra nel dettaglio la ricercatrice Anna Barbaro.
Questo studio, intitolato Samples returned from the asteroid Ryugu are similar to Ivuna-type carbonaceous meteorites, riporta che i dati ottenuti sui campioni di Ryugu si avvicinano molto a quelli delle meteoriti di tipo Ivuna (CI) che sono state raccolte precedentemente sul nostro pianeta.
"Le meteoriti CI fanno parte delle condriti carbonacee e sono quindi composte prevalentemente da una porzione carboniosa, organica ma per la maggior parte non organica, e poi abbiamo la presenza di fasi minerali silicatiche minori, con abbondanti fasi di alterazione. In particolare queste meteoriti hanno subito un’alterazione acquosa molto pervasiva durante un’interazione acquoso-rocciosa avvenuta agli albori del sistema solare".
"Tuttavia le meteoriti CI che sono state trovate sulla Terra vanno a differenziarsi per alcuni punti dai risultati dei campioni di Ryugu. Abbiamo differenze per alcune fasi mineralogiche e sulla composizione isotopica dell’ossigeno: questo potrebbe dipendere da un’alterazione terrestre oppure dal fatto che il corpo genitore delle CI fosse sì un asteroide C type, quindi simile a Ryugu, ma che ha subito una maggiore alterazione acquosa", spiega la ricercatrice del dipartimento di Geoscienze dell'università di Padova.
"Grazie a studi di questo tipo e alle missioni di sample return saremo sempre più in grado di capire come è evoluto il nostro sistema solare e potremo studiare con maggiore dettaglio la mineralogia e la chimica dei materiali extraterrestri presenti nel nostro sistema", conclude Anna Barbaro.
Intanto proprio in questi giorni sono stati resi noti i nomi dei primi gruppi di ricerca, al di fuori del team di Hayabusa 2, che otterranno alcuni campioni di Ryugu per effettuare le analisi sui materiali. L'Astromaterials Science Research Group (Asrg) della Jaxa aveva aperto nel dicembre del 2021 il primo bando per rendere disponibile alla comunità scientifica internazionale alcune delle particelle raccolte e l'Italia è stata selezionata con un team coordinato da Marco Ferrari, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Astrofisica di Roma e composto dallo stesso Inaf insieme ad Agenzia spaziale italiana (Asi) e università di Pisa.
"I campioni che riceveremo sono delle particelle di circa due millimetri. Nel nostro laboratorio abbiamo l’opportunità unica di studiare queste particelle di Ryugu con lo spettrometro Spim, una replica esatta dello spettrometro italiano Vir a bordo di Dawn, un’altra missione dedicata allo studio degli asteroidi. Questo renderà i dati raccolti sulle particelle assegnateci direttamente confrontabili con le osservazioni che abbiamo fatto su Cerere", ha spiegato Marco Ferrari.
Nel settembre del 2023 è previsto poi l'arrivo dei materiali della missione NASA OSIRIS-REx sull'asteroide Bennu, un altro corpo primitivo, simile a Ryugu, dal quale si attendono molte risposte sull'origine della vita sulla Terra. Come ricordava qualche tempo fa sul nostro giornale Monica Lazzarin, docente del dipartimento di Fisica e astronomia dell'università di Padova oggetti come Bennu (e Ryugu) "contenevano probabilmente sia del materiale organico primordiale dal quale si formarono poi “i mattoni” da cui poi ebbe origine la vita sulla Terra, sia parte dell'acqua che oggi costituisce i nostri oceani".