SCIENZA E RICERCA
I bonobo stringono alleanze anche al di fuori della loro cerchia sociale (proprio come noi)
Foto: Martin Surbeck / Harvard University
Non è sempre facile ammettere di aver bisogno di aiuto e, se proprio dobbiamo farlo, meglio rivolgerci a qualcuno di cui ci fidiamo. Quando si tratta di collaborare con gli altri per raggiungere uno scopo comune – come portare a termine un progetto, risolvere un problema, o spartire delle risorse – ogni animale (compresi noi) tende a interagire con membri del suo stesso gruppo sociale (parenti e amici, ad esempio) piuttosto che uno sconosciuto o con qualcuno con cui non si ha confidenza.
Nonostante ciò, a volte può rivelarsi necessario collaborare con membri di altri gruppi in virtù di un beneficio comune o per costruire un rapporto del tipo do ut des. La capacità di cooperare con individui esterni alla nostra ristretta cerchia sociale e familiare costituisce un vantaggio dal punto di vista evolutivo, perché favorisce la circolazione di idee e conoscenze e, di conseguenza, il progresso tecnologico, culturale ed economico garantito dalla consolidazione di reti sociali.
Questa forma di apertura verso i componenti di altri gruppi (che viene talvolta descritta in letteratura scientifica con il concetto di “ultrasocialità”) è fondamentale a garantire il funzionamento delle società umane, ma sembra essere molto rara tra le altre specie animali. Uno studio condotto da due biologi evoluzionisti dell’università di Harvard – la ricercatrice Liran Samuni e l’assistente professore Martin Surbeck – mostra come gli esseri umani non siano le uniche specie animali in grado di collaborare con individui che non fanno parte della propria cerchia ristretta, rilevando come questa capacità sia caratteristica anche di un’altra specie animale: il bonobo. Gli autori di questa ricerca hanno monitorato 31 membri di due comunità di bonobo (chiamate, rispettivamente, Ekalakala e Kokoalongo) che vivono nella riserva di Kokolopori, nelle foreste ancestrali nella Repubblica Democratica del Congo, con lo scopo di approfondire alcuni comportamenti prosociali di questi primati, come la condivisione del cibo, l’aiuto reciproco per la pulizia del corpo, la formazione di alleanze contro avversari comuni e la ricerca di partner per l’accoppiamento.
Erano già stati documentati in letteratura scientifica alcuni casi di collaborazione tra diversi gruppi di bonobo, ma la frequenza di queste interazioni non era mai stata approfondita sistematicamente e sulla base di una profonda comprensione della struttura sociale delle comunità di primati osservate. Lo studio etologico dei bonobo è molto difficile perché questa specie è in via di estinzione. Conoscere le caratteristiche culturali e le abitudini di questi animali è perciò a maggior ragione molto importante, anche nell’ottica di preservarli.
Feeling extremely privileged that I get to spend my days in the forest with these amazing creatures. #bonobo cooperation between groups is neither random nor rare and brings us one step closer to understanding our own evolutionary past https://t.co/uqMlpAMG7g
— Liran Samuni (@LirSamuni) November 18, 2023
Dopo aver osservato i primati in questione per un periodo di due anni, documentando 95 incontri intergruppo, Samuni e Surbeck hanno concluso che i membri di questa specie tendano a cooperare significativamente con i loro simili, compresi quelli estranei alla loro cerchia sociale, al contrario di quanto è stato documentato negli scimpanzé, tra i quali il rapporto tra gruppi diversi è solitamente conflittuale. Tra i bonobo, al contrario, gli individui più propensi a formare alleanze all’interno della propria comunità sembrano essere quelli più disposti a collaborare anche con gli “estranei”. Ognuno dei primati osservati, in altre parole, tendeva a comportarsi in maniera simile sia con i componenti del proprio gruppo, sia con quelli di altri gruppi.
Gli studiosi hanno cercato di portare alla luce anche i criteri in base ai quali i bonobo selezionano i loro alleati, scoprendo che la cooperazione intergruppo tra gli esemplari di questa specie non sia affatto casuale. Hanno scoperto, in particolare, che le due regole che guidano la formazione delle coalizioni sono l’altruismo reciproco e la scelta del partner. L’altruismo reciproco spinge a collaborare con chi si è già dimostrato generoso in passato, e si basa perciò sulla capacità di memorizzare i favori ricevuti e, dall’altro lato, sulla costruzione di una buona reputazione. La scelta del partner, invece, è il criterio da applicare quando bisogna scegliere un complice con cui non si ha mai collaborato prima; in questo caso vengono ricercate nei potenziali collaboratori alcune specifiche caratteristiche: la disponibilità e il possesso di determinate capacità e conoscenze. Insomma, i bonobo tendono a collaborare con i membri di altri gruppi, ma solo con quelli accuratamente selezionati e di cui ritengono di potersi fidare. Le relazioni intergruppo si basano, come specificano gli autori, su una forma di conoscenza sociale molto complessa e affatto banale che ogni individuo acquisisce con il passare del tempo.
Foto: Herbert Aust / Pixabay
Tra le altre specie non umane in cui era stata documentata precedentemente la propensione a collaborare con individui esterni alla propria cerchia sociale ci sono i maschi dei delfini tursiopi e le balie nere. La peculiarità dei bonobo, però, sta nella loro capacità di non aspettarsi un tornaconto immediato quando si dimostrano generosi con i loro simili, persino quando si tratta di condividere il cibo. Il mutualismo (la ricerca di un beneficio reciproco), in altre parole, sembra orientare in misura minore le scelte prosociali all’interno di questa specie. In ogni caso, come abbiamo visto, non si può neanche affermare che l’altruismo dei bonobo sia del tutto disinteressato. Come riflettono Samuni e Surbeck, sembra che questi animali tendano piuttosto a formare dei legami sociali strategici con i loro simili più generosi o esperti, anche se esterni al proprio gruppo.
Quest’evidenza suggerisce quindi che la nostra propensione a collaborare anche al di fuori del nostro stesso gruppo sociale sia un tratto evolutivo più antico di quanto crediamo, visto che caratterizza anche uno dei nostri parenti più prossimi. Alla luce di questi risultati, Samuni e Surbeck sostengono perciò che la propensione ad aiutare gli altri senza la prospettiva di un tornaconto immediato non sia un atteggiamento emerso come conseguenza delle sovrastrutture giuridiche e istituzionali delle società moderne; rifiutano quindi l’ipotesi secondo cui solo la “legge del più forte”, la competizione e la sopraffazione degli altri abbiano caratterizzato la storia evolutiva dei Sapiens.