SCIENZA E RICERCA

Il centro della Terra svelato dai diamanti super profondi

Immaginate di avere davanti dei testimoni diretti che arrivano dal cuore della Terra. Hanno abitato in profondità abissali e conservano al loro interno le tracce di quanto accadde ai primordi del nostro pianeta, miliardi di anni fa, un’età enormemente più antica rispetto a quella in cui montagne, continenti e oceani hanno assunto la conformazione attuale. Grazie alla loro straordinaria longevità e alla profondità in cui si sono formati, i diamanti sono un materiale di studio preziossimo per i geologi e, contrariamente a quelli esposti in gioielleria, il loro valore non dipende dalla purezza o dalla grandezza, ma dalle informazioni che sono in grado di rivelare. Una sorta di macchina del tempo che custodisce pezzi del mantello terrestre sotto forma di inclusioni, imperferzioni che ne diminuiscono il valore di mercato ma che non hanno prezzo sotto il profilo della capacità di rivelare i segreti della Terra.

Un filone di ricerca particolarmente affascinante che di recente ha portato a nuove importanti scoperte, pubblicate sulla rivista PNAS, grazie al lavoro di un team internazionale guidato da Chiara Anzolini del dipartimento di Geoscienze dell’università di Padova: in un diamante super profondo, così vengono definiti quelli che provengono da profondità di almeno 300 chilometri nel mantello terrestre, sono state individuate delle microinclusioni ferrose che hanno permesso agli studiosi di ottenere indicazioni più precise sulla composizione chimica e mineralogica dell’interno della Terra, rivelatosi molto più ossidato di quanto si pensasse in precedenza.

"Gli esperimenti di laboratorio sono fondamentali perché ci permettono di replicare condizioni di termperatura e pressione che si verificano all’interno della Terra, ma è importante avere una conferma naturale di questi processi. E i diamanti possono offrircela", ci spiega la ricercatrice Chiara Anzolini, appena rientrata in Italia dopo due anni di post dottorato all'università dell'Alberta in Canada. Durante la laurea magistrale si è specializzata nel filone di ricerca legato ai diamanti super profondi, un percorso che l'ha portata verso il progetto di dottorato svolto a Padova nel gruppo di Fabrizio Nestola, professore di Mineralogia e direttore del dipartimento di Geoscienze.

Intervista alla ricercatrice Chiara Anzolini, del dipartimento di Geoscienze dell'università di Padova, sui diamanti super profondi e le informazioni che sono in grado di svelarci. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar

"Il nostro studio - introduce la ricercatrice Chiara Anzolini, del dipartimento di Geoscienze dell'università di Padova - è partito dal rilevamento di alcune inclusioni: in un primo momento le abbiamo individuate e poi con degli esperimenti preliminari abbiamo determinato la loro composizione da un punto di vista chimico e mineralogico. Successivamente abbiamo deciso di effettuare delle analisi più approfondite e ci siamo resi conto che eravamo davanti a degli aspetti particolarmente interessanti, a delle anomalie che non avevamo mai osservato in precedenza che ci hanno rivelato come queste inclusioni ferrose fossero più ossidate del previsto. Questo ci ha dato delle indicazioni molto importanti su quello che avviene all’interno della Terra, nel mantello ad oltre 300 chilometri di profondità. Dobbiamo sempre considerare che l’interno della Terra non è direttamente osservabile dall’essere umano: paradossalmente l’uomo arriverà su Marte entro il 2030 ma non arriverà mai nel cuore della Terra e l’unico modo che abbiamo per avere dei campioni diretti, toccabili con mano e osservabili ad occhio nudo sono sostanzialmente i diamanti, attraverso ciò che portano al loro interno".

La ricercatrice, alla guida del team internazionale che ha appena pubblicato il nuovo studio, entra poi nel dettaglio per spiegarci le implicazioni dei risultati ottenuti. "La maggior parte dei processi vitali e biologici che conosciamo e che riguardano anche la dinamica terrestre sono dati dalla quantità di ossigeno presente nel mantello. Finora si era pensato che l’interno della Terra fosse particolarmente poco ossigenato. Invece, negli ultimi anni, sono state realizzate varie scoperte che hanno rivelato come in realtà nel mantello ci sia molto più ossigeno di quanto non si ritenesse in precedenza. Il nostro studio è andato ad aggiungersi a questo filone, confermando l’esistenza di un’ossigenazione maggiore. Questo ha delle implicazioni sulla dinamica terrestre perché tutto quello che avviene in superficie, e che ci riguarda direttamente come terremoti e vulcani, dipende dal motore della Terra che si trova al suo interno. Quindi capire meglio la sua composizione dal punto di vista mineralogico e anche sotto il profilo della quantità di ossigeno presente ci permette di avere maggiori informazioni sulla dinamica terrestre e sulle ripercussioni in superficie", approfondisce Chiara Anzolini.

"Noi, in particolare, abbiamo osservato il risultato di una serie di reazioni chimiche: studiando le inclusioni che abbiamo trovato, in base ai loro rapporti volumetrici, abbiamo potuto ricostruire a ritroso la serie di reazioni che hanno portato alla loro formazione. Questo ci ha permesso di affermare che all’inizio della catena c’era una fase complessa, la cui formula è Fe4O5, che non era mai stata osservata in precedenza, se non sintetizzandola in laboratorio in condizioni estreme di pressione e temperatura. I diamanti possono quindi darci delle conferme naturali che quello che osserviamo e sintetizziamo in laboratorio esiste poi davvero all’interno della Terra. Gli esperimenti di laboratorio sono fondamentali perché ci permettono di replicare condizioni di termperatura e pressione che si verificano all’interno della Terra, ma solo la conferma naturale permette di avere la prova di questi processi", prosegue la ricercatrice. 

Un altro traguardo importante per il dipartimento di Geoscienze dell'università di Padova dopo gli studi che nel 2014 avevano portato all'individuazione di un’inclusione molto ricca in H2O all’interno di un diamante. La ricerca, poi pubblicata anche su Nature, aveva permesso di ottenere nuovi dati sul reale contenuto in acqua del nostro pianeta attraverso la scoperta di un frammento molto piccolo di ringwoodite contenuto all’interno di un diamante super profondo proveniente dal Brasile. La quantità di acqua rinvenuta nella ringwoodite, ancora intrappolata nel diamante, era risultata particolarmente significativa: considerando che il minerale può formarsi esclusivamente tra i 525 ed i 660 km di profondità e che in tale fascia rappresenta circa il 35% in volume di tutti i minerali stabili in quelle condizioni di pressione, si arriva alla conclusione che il reale contenuto di H2O sul nostro pianeta risulta essere 3-4 volte superiore a quello ritenuto sino ad ora. Veri e propri oceani di acqua presenti ad enormi profondità. Altro anno da ricordare è il 2016 quando l'individuazione di una nuova categoria di diamanti - denominati CLIPPIR, super profondi e super giganti - era valsa la copertina di Science. In quel caso gli scienziati erano riusciti ad osservare sostanze molto rare come leghe di ferro-nickel, solfuri e carburi di ferro. E ancora maggiore sorpresa aveva destato la scoperta che le inclusioni rilevate all'interno dei diamanti fossero completamente circondate da un fluido costituito da metano e idrogeno. E poi nel 2018 una nuova copertina, questa volta di Nature, grazie alle ricerche sui diamanti super profondi blu che devono il loro colore alla presenza di boro, un elemento chimico piuttosto raro sulla Terra e che secondo gli scienziati proviene da antichi oceani. 

Nei diamanti, che prendono il nome dal greco antico adamantos, "invincibile" e sono il minerale di origine naturale più duro che conosciamo, sono dunque custodite parti del mantello terrestre e le informazioni che possiamo ottenere variano anche a seconda della profondità in cui i diamanti si sono formati. Quelli super profondi sono però molto più rari. "La maggior parte dei diamanti che noi studiamo  - aggiunge Chiara Anzolini - sono denominati litosferici perché cristallizzano nella parte superiore del pianeta fino a 250 chilometri di profondità. Io invece mi occupo dei diamanti super profondi, quelli che arrivano da profondità superiori, anche fino a 1000 chilometri. Questi diamanti si trovano in varie località del mondo ma la più famosa è Juína, in Brasile, da dove arriva anche il diamante che abbiamo studiato". A portarli in superficie sono "eruzioni vulcaniche che hanno portato alla formazione di particolari formazioni geologiche, i camini kimberlitici, dove si trovano i giacimenti primari.  Si tratta però di vulcani che sono stati attivi milioni di anni fa e che adesso non lo sono più".

Per concludere abbiamo chiesto a Chiara Anzolini di raccontarci qualcosa in più sul suo team di ricerca. "Un apporto cruciale ci è stato dato da un istituto di ricerca in Germania, il Bayerisches Geoinstitut che si trova a Bayreuth e di cui fa parte Katharina Marquardt con cui ho eseguito gli esperimenti, perché lì sono state fatte le analisi che hanno portato all’osservazione definitiva di queste microinclusioni particolarmente ossidate. Poi c’è la persona che ci ha fornito il diamante che è Jeffrey W. Harris, un ricercatore inglese che è stato il mio co-supervisor di dottorato. Oltre all'università di Padova alla ricerca hanno partecipato anche altri atenei italiani come l’università di Firenze, con il professor Luca Bindi, e La Sapienza di Roma, con il professor Vincenzo Stagno. Il loro lavoro è stato fondamentale per poter studiare le reazioni chimiche che hanno portato alla formazione di queste microinclusioni. Voglio poi menzionare il mio supervisor di dottorato, il professor Graham Pearson dell’università dell’Alberta in Canada dove ho svolto due anni di post-doc, al termine del dottorato conseguito a Padova". 

Anche in futuro dalle ricerche sui diamanti potranno continuare ad arrivare molte sorprese. "Molto probabilmente - conclude Chiara Anzolini - c’è ancora molto da scoprire anche perché il progresso scientifico e tecnologico ci permette adesso di ottenere maggiori informazioni anche da campioni che erano già stati studiati in passato. E poi ci sono anche nuovi diamanti che vengono ancora trovati".

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