SCIENZA E RICERCA
Città "longeve": dal Messico antico elementi chiave di sostenibilità
Testa in pietra nel sito di La Venta, Messico. Foto: Adobe Stock
Perché alcune città “vivono” più a lungo nel tempo di altre? Cosa determina una longevità di un secolo o due o di un millennio? Un gruppo di archeologi e di antropologi operanti negli Stati Uniti, servendosi di indizi ricavati dalle rovine di antichi insediamenti nell’attuale Messico, hanno cercato di definire dei modelli che possano dare una risposta all’interrogativo, individuando nelle forme di governo collettivo, nella cooperazione interna e negli investimenti infrastrutturali elementi chiave di sostenibilità. Lo studio è stato recentemente pubblicato su Frontiers in Ecology and Evolution.
Gary M. Feinman e colleghi hanno preso in esame 24 centri nella Mesoamerica occidentale, con una popolazione stimata di 1.000 abitanti o più e ne hanno considerato l’apogeo, definito come il periodo di tempo in cui ogni insediamento è rimasto un centro di riferimento nella rispettiva regione e ha mantenuto una popolazione superiore a quella stabilita (per esempio, prima di un abbandono massiccio, di una perdita di autonomia politica, etc). Tutti i siti considerati hanno iniziato il loro apogeo in un periodo compreso tra il 1000 a.C. e il 300 a.C.
Si trattava di insediamenti organizzati sul territorio in modo differente: alcuni avevano costruzioni architettoniche massicce, altri ne avevano poche; le dimensioni e la distribuzione delle piazze variavano e allo stesso modo la densità di popolazione e i piani urbanistici. Per chi non si occupa di archeologia, guardare ai resti di un’antica città per trarne conclusioni di tipo socio-politico potrebbe sembrare un compito arduo, quando non impossibile. Ma i resti degli edifici, delle piazze e dei monumenti in realtà possono fornire indizi significativi. Sebbene manchino dati climatici dettagliati per la Mesoamerica occidentale, quelle considerate erano popolazioni che hanno dovuto affrontare problemi legati all’acqua, terremoti, eruzioni vulcaniche e altre perturbazioni ambientali. Di questi centri gli scienziati hanno analizzato fattori quali la governance, la densità degli insediamenti, la cooperazione interna, la disposizione architettonica e la presenza di altri centri nella stessa regione, e per farlo si sono basati su ricerche dettagliate dei principali studiosi di ogni centro.
Sito archeologico di Monte Albán, uno dei centri presi in esame nello studio. Foto: Adobe Stock
Già nel corso di studi precedenti, Feinman e David M. Carballo avevano individuato una relazione tra una governance di tipo collettivo e la persistenza nel tempo degli insediamenti. In generale gli assetti di potere più collettivi erano attuati attraverso accordi istituzionali che comprendevano modalità di potere condiviso o devoluto ad assemblee. La governance era associata a cariche più che a individui di spicco e il potere era distribuito. Al contrario, forme di governo autocratiche tendevano a essere di tipo personalistico e solitamente associate a storie dinastiche. In questo secondo caso, nelle città si trovavano spesso monumenti dedicati ai singoli governanti, i loro palazzi e le opere funerarie loro dedicate, scarsamente accessibili però a chi non deteneva il potere. Le governance collettive vedevano invece un’organizzazione degli spazi in città basata su piazze e vie d’accesso libere e si avvalevano di risorse interne, come manodopera e beni di prima necessità provenienti dalla popolazione locale. Ciò non accadeva nei regimi più autocratici, che dipendevano dai possedimenti delle élite, dallo scambio di beni preziosi e dai bottini di guerra.
Nei 24 centri considerati le forme di governo collettivo erano le più diffuse : “Sulla base delle informazioni pubblicate – scrivono gli autori –, è chiaro che la grande maggioranza dipendeva economicamente dalle risorse interne (agricoltura locale e produzione artigianale), e si reggeva su un modello di leadership condiviso. Non c’erano palazzi sfarzosi al centro degli insediamenti o sepolture individuali elaborate. I centri avevano spazi pubblici aperti, anche se di diversa scala e tipologia. La maggior parte dell'architettura monumentale consisteva in templi o edifici associati ad attività civiche e cerimoniali. Le eccezioni più evidenti a questi schemi generali erano i due centri della Costa del Golfo, dove sono presenti massicce teste in pietra scolpita (La Venta, Tres Zapotes) e troni (La Venta), che sembravano legati a modalità più individualizzate di leadership e a un potere personalistico”. Poiché tuttavia la forma di governo, da sola, non era sufficiente a spiegare la persistenza più o meno lunga nel tempo dei diversi centri, i ricercatori hanno preso in esame come abbiamo visto anche altre variabili (assegnando di volta in volta a ognuna un punteggio).
Si prenda in considerazione, per esempio, la densità di popolazione: le densità più elevate favoriscono e richiedono una maggiore interazione tra gli abitanti, una comunicazione più intensa e la creazione di legami orizzontali tra le famiglie. Inoltre, osservano gli studiosi, le forme di governo collettivo che si fondano su risorse interne, prosperano quando i mandanti istituzionali sono vicini ai contribuenti subalterni. Nel caso specifico i centri con le densità più elevate sono stati rilevati sulle cime delle colline o sui crinali, mentre quelle più basse negli insediamenti di fondovalle, solitamente dispersi su terreni pianeggianti.
Trono preispanico nel parco archeologico di La Venta a Villahermosa, Messico. Foto: Adobe Stock
Tra le infrastrutture prese in esame, invece, alcune più di altre erano espressione di rapporti di collaborazione interna alla comunità e di progetti condivisi. I terrazzamenti abitati, per esempio, richiedevano un elevato grado di cooperazione, soprattutto in termini di manodopera comune: i muri frontali delle terrazze erano condivisi da più unità abitative, e dunque la costruzione, la manutenzione e gli eventuali problemi di drenaggio richiedevano soluzioni condivise tra le famiglie. I terrazzamenti agricoli, invece, o altri tipi di infrastrutture su piccola scala per il controllo delle acque avevano bisogno probabilmente di una cooperazione inferiore tra le varie unità abitative. Pur con le dovute differenze, gli studiosi rilevano che una più elevata collaborazione interna e investimenti infrastrutturali erano correlati alla durata nel tempo dei centri presi in esame: la sostenibilità dunque aveva anche una componente sociale.
Altrettanto rilevante era la presenza (o meno) di altri centri di pari livello rispetto a quelli considerati nella regione di riferimento: gli insediamenti fondati senza la presenza di comunità potenzialmente competitive nei territori limitrofi “vivevano” più a lungo.
In conclusione, secondo gli scienziati esistono una serie di condizioni che migliorano, sebbene non garantiscano, la sostenibilità dei centri preispanici mesoamericani: nel corso dello studio è emerso evidentemente che i modelli di insediamento comunitari compatti e densi, un elevato grado di cooperazione interna e progetti condivisi, un complesso architettonico centrale con spazi pubblici aperti e accessibili e la distanza da comunità potenzialmente competitive sono tutti elementi in relazione con la durata nel tempo delle città considerate, più nello specifico dei loro apogei.
“Il nostro obiettivo – spiegano gli autori dello studio – è sfruttare l’eterogeneità che si riscontra nel passato per informare la sostenibilità presente e futura, valutando il ruolo che la governance, gli investimenti infrastrutturali, la forma urbana e le reti inter-comunitarie su macroscala hanno avuto nella persistenza urbana”. Consapevoli, afferma Feinman, che “il passato è una risorsa incredibile per capire come affrontare i problemi contemporanei”.