Foto: Janko Ferlič/Unsplash
La gestione della presenza dei grandi carnivori su un territorio densamente popolato come l’Italia è una questione al tempo stesso scientifica, sociale e politica. È grazie alla ricerca scientifica, infatti, che i grandi predatori (in particolare orso e lupo) sono tornati ad abitare le foreste della penisola. Questa nuova presenza, tuttavia, impone degli adattamenti: nella maggior parte dei casi, noi umani non siamo più abituati a dividere i ‘nostri’ spazi con questi animali, e in non poche occasioni la vicinanza genera conflitti dagli esiti a volte tragici. Interviene allora la politica, alla quale spetta la gestione ragionata del fenomeno, nel rispetto e a tutela tanto delle libertà umane quanto dei diritti del selvatico.
Uno dei luoghi in cui, ad oggi, la convivenza è più problematica è il Trentino, dove, in un’area naturale tutto sommato ridotta, si trovano a convivere gli umani, con le proprie attività, e una popolazione di orso bruno in moderata crescita, ad oggi comprendente circa un centinaio di esemplari.
La storia dell’orso in Trentino è interessante sotto tutti i punti di vista menzionati poc’anzi: quello scientifico, quello sociale e quello politico. Tristi casi di cronaca recente hanno riacceso il dibattito, la cui polarizzazione rende difficile ai non esperti individuare i nodi del problema e immaginare le possibili soluzioni. Per tentare di fare chiarezza, abbiamo conversato con Renato Semenzato, biologo, esperto di grandi carnivori e della loro conservazione e vicedirettore del master in gestione della fauna selvatica all’università di Padova.
L'intervista completa a Renato Semenzato. Servizio e riprese di Sofia Belardinelli, montaggio di Barbara Paknazar
Storia di un ritorno
Il ritorno dell’orso bruno nelle Alpi italiane è stato reso possibile dal progetto Life Ursus, finanziato dall’Unione Europea e curato dal Parco nazionale dell’Adamello Brenta, dalla provincia di Trento e dall’Istituto Nazionale della Fauna Selvatica. «Sulle Alpi l’orso non si è mai estinto; alla fine della Seconda guerra mondiale, tuttavia, ne erano rimasti solo pochi esemplari: secondo le stime dell’epoca, si aggiravano per le Alpi tre orsi o poco più», dichiara Renato Semenzato. «Solo alla fine degli anni ’90 si è sostanziata l’idea di ripopolare i boschi alpini. I primi orsi, una decina di esemplari provenienti dalla Slovenia, vennero liberati nel 1999».
Questa scelta è stata supportata da solide motivazioni di natura scientifica, come spiega ancora lo zoologo: «L’orso è una specie che riveste un importante ruolo ecologico. Pur essendo un grande carnivoro, la sua dieta è molto più vicina a quella del cinghiale: buona parte del suo cibo quotidiano è di origine vegetale. Come carnivoro è, tutto sommato, ben poco efficiente».
A più di vent’anni dall’avvio del progetto si può dire che, dal punto di vista strettamente scientifico, il ripopolamento abbia avuto successo: secondo le stime più recenti, la popolazione di orsi del Trentino conta 100-120 individui. Si tratta, tuttavia, di una stima non statistica, poiché in questi anni non è stato realizzato un censimento puntuale della popolazione di orsi nella provincia di Trento: questo è uno degli elementi che costituiscono il problema. «Dal punto di vista numerico, la crescita di questa popolazione è stata ottimale. Tuttavia, quando l'areale di distribuzione – i luoghi in cui gli animali sono presenti – si allarga, aumentano i contatti con i residenti, e questo può determinare conflitti con le popolazioni locali», ricorda Semenzato.
Gestione
Se dal punto di vista conservazionistico il progetto Life Ursus può dunque dirsi riuscito, non si può affermare lo stesso per quanto riguarda gli impegni che questo avrebbe richiesto in termini di gestione dell’animale e di comunicazione con le popolazioni locali. Per quanto riguarda la gestione, a dettarne le regole è il PACOBACE (Piano d’Azione interregionale per la conservazione dell’Orso bruno sulle Alpi centro-orientali), la cui prima versione è stata adottata dagli enti locali nel 2008, e che è stato periodicamente aggiornato. Nonostante questo, il Piano è stato ripetutamente al centro di polemiche. Come ricorda il biologo, «il documento era stato redatto con l’intento di prevenire potenziali problemi e conflitti, facendo tesoro delle esperienze di paesi come gli Stati Uniti o la Slovenia. In base alle numerose conoscenze scientifiche su questa specie, sappiamo che si tratta di un animale generalmente non dannoso. Rispetto a casi come quello statunitense o quello svedese, la peculiarità italiana è che l’orso si trova a vivere in un territorio densamente popolato da esseri umani: tanto l’orso quanto le popolazioni locali devono dunque adattarsi a questa convivenza».
«L’orso – prosegue lo zoologo – è un animale che ha bisogno di grandi spazi, di boschi, di grandi foreste. Grazie alle sue abitudini pressoché onnivore, in questi ambienti trova tutti i suoi alimenti, tra cui non manca una varietà di specie vegetali, erbacee o da frutta. Tuttavia, essendo pur sempre un carnivoro, quando trova proteine animali a disposizione – tipicamente, in montagna, ovini e bovini – se ne alimenta.
È importante, dunque, elaborare strategie per prevenire simili danni, che possono determinare conflitti molto pesanti con le popolazioni locali. È fondamentale una corretta comunicazione e una corretta educazione, dedicata soprattutto alle persone residenti nelle aree in cui la presenza di questa specie è nota».
Condivisione delle conoscenze
Uno degli strumenti più importanti per far sì che la convivenza tra orso e umano sia pacifica è proprio la condivisione di conoscenze. È per questo motivo che il progetto Life Ursus prevedeva inizialmente un programma di educazione e comunicazione, rivolto in primo luogo alla popolazione residente e, in seconda battuta, anche ai numerosi turisti che visitano le Alpi centro-orientali. «In base alle conoscenze accumulate in diversi paesi in anni di gestione, conosciamo bene l’etologia di questa specie. Una delle cose che sappiamo – precisa Renato Semenzato – è che l’orso fa di tutto per evitarci. Certo, se è costretto ad abitare in aree relativamente piccole, possono verificarsi conflitti nell’incontro con l’uomo. Ma si tratta di casi molto rari: se prendiamo il caso della Slovenia, sul cui territorio vive una popolazione di circa 1200 orsi, notiamo come una corretta informazione sia fondamentale per evitare problemi. Sapere, ad esempio, dove sono presenti femmine con i loro piccoli è molto importante, soprattutto in una regione, come quella alpina, dove la presenza umana è forte».
«È essenziale, inoltre, sapere come comportarsi nel caso in cui ci si imbatta in un orso: bisogna evitare di andare incontro all’animale – una distanza di 50 metri è già troppo breve. Se camminiamo in montagna, cerchiamo di ‘informare’ la popolazione selvatica della nostra presenza facendo un po’ di rumore. Vi sono poi regole di buon senso, come evitare di disturbare l’orso mentre mangia o mentre è nella propria tana, evitare l’orsa femmina con i cuccioli al seguito».
Le accortezze da parte dei privati cittadini non sono l’unica soluzione al problema della convivenza. Un contributo importante viene infatti da una corretta gestione, che metta in atto interventi di prevenzione del rischio: «L’installazione di cassonetti anti-orso e la commercializzazione degli spray anti-orso (a base di capsaicina, quindi pressoché innocui per l’animale) sono due interventi molto efficaci», spiega Semenzato.
Per quanto riguarda l’abbattimento, tema che ciclicamente torna al centro del dibattito pubblico, è necessario prendere in considerazione gli elementi di contesto: «A differenza del caso sloveno, dove è presente una popolazione di orso ampia e in salute, la popolazione trentina è numericamente ridotta e presenta problemi di consanguineità che potrebbero metterne a rischio la sopravvivenza. Intervenire con degli abbattimenti in un simile contesto può dunque rivelarsi problematico».
Piuttosto che puntare su soluzioni drastiche e di sicuro effetto, come l’abbattimento di singoli individui ritenuti problematici, è dunque certamente più fruttuoso investire su una politica di prevenzione e su campagne costanti di informazione, che forniscano ai residenti tutti gli strumenti per vivere in sicurezza e condividere pacificamente i propri territori con l’orso.