SCIENZA E RICERCA

Cosa rispondere a un razzista

Charles Darwin lo aveva intuito: tutti gli esseri viventi, noi umani, le zanzare, la pianta di limone e gli acari e l’Yrsinia pesti, il batterio della peste – abbiamo un antenato comune. I biologi oggi lo chiamano LUCA (Last Universal Common Ancestor) È vissuto probabilmente più di tre miliardi di anni fa ed era un organismo monocellulare. Si perde, pertanto, nel tempo profondo e queste parentele non suscitano eccessivo sgomento.

Noi umani abbiamo un antenato comune con gli scimpanzé, vissuto più di recente: 6 o 7 milioni di anni fa. Un tempo relativamente recente, che farebbe gridare allo scandalo il vescovo Samuel Wilberforce, fiero avversario delle teorie darwiniane. Ma anche un tempo misurato in milioni anziché in miliardi di anni attenua, anche nei più fieri assertori dell’identità di noi umani, ogni disagio.

Mentre disagio, se non sgomento, potrebbe suscitare in molti suprematisti bianchi (ma anche in razzisti di ogni paese e continente, perché ce ne sono ovunque) leggere il libro Cosa rispondere a un razzista che Adam Rutherford, genetista dello UCL, lo University College di Londra, e valente comunicatore di scienza, ha pubblicato, in edizione italiana, con Bollati Boringhieri (pagine 143, euro 16,00).

Disturbanti per ogni essenzialista potrebbero essere, soprattutto, i primi due capitoli. Nel primo si dimostra, genetica alla mano, che le razze umane non esistono. Perché siamo una specie meticcia, come dice anche il nostro Valerio Calzolaio. La giustificazione non è così scontata. Molti biologi sostengono che le razze umane non esistono perché la nostra specie è troppo giovane (appena 300.000 anni) e, dunque, non c’è stato il tempo di diversificarci fino a formare, appunto, razze diverse. Ma Adam Rutherford propone anche un’altra spiegazione: le razze umane non esistono perché la nostra è una specie migrante e nessun gruppo umano ha mai perso i contatti riproduttivi con qualche altro (sì, insomma, i vari gruppi umani si sono incontrati e fatto sesso). Nessun popolo è mai stato fermo e isolato a lungo. Gli incroci all’interno della nostra specie sono stati innumerevoli. Gli Homo sapiens usciti dall’Africa 70.000 anni fa hanno incontrato altre specie del genere Homo e anche con queste c’è stato del sesso. Sesso riproduttivo: tant’è che nel nostro DNA portiamo ancora tracce piccole, ma non piccolissime, degli incontri con i Neanderthal e con i Denisoviani. Cosicché la nostra storia di specie non somiglia è quella di un abete slanciato, ma a un groviglio di cespugli.

Rutherford dà molto peso (giustamente) a questa spiegazione che si basa sull’attitudine a migrare, ma non è certo il primo ad avanzarla.

Molto interessante – e, forse, disturbante per i razzisti di ogni paese e continente –  è anche e per certi versi soprattutto il secondo capitolo. Perché fornisce i numeri di questo groviglio. Ve li proporremo tra poco. Non prima però, di aver ricordato che Rutherford (giustamente) certamente spiega che tra razzismo e razza non c’è un legame deterministico (posso credere nell’esistenza di razze umane senza essere razzista e, viceversa, posso essere razzista senza credere nell’esistenza di diverse razze umane), ma sottolinea anche (altrettanto giustamente) come tutti i razzisti cercano nella scienza e in particolare nella genetica una giustificazione alle loro idee.

È per questo che i razzisti potrebbero essere oltremodo disturbati dal leggere il secondo capitolo, in cui Rutherford fa alcuni facili calcoli. Ciascuno di noi ha due genitori e quattro nonni. Ciascun nonno ha due genitori e così via. Poiché ogni generazione ha un ciclo di 25 anni, è facile dimostrare che ciascuno di noi in media abbiamo avuto 16 antenati cento anni fa, nel 1920; 256 nel 1820, duecento anni fa; 1.024 nel 1770, duecentocinquanta anni fa.  La progressione è implacabile i nostri antenati vissuti cinquecento anni fa sono più di un milione (1.048.576) e quelli vissuti mille anni fa, più di mille miliardi (1.099.511.627.776, per la precisione.

Quest’ultimo numero è superiore a quello di tutti gli umani vissuti sulla Terra da quanto è nata la nostra specie. Com’è possibile? Il motivo è semplice: il groviglio. I nostri antenati sono comuni ad altre persone viventi su questo pianeta. Ne deduciamo che ci sono molti cugini tra noi. 

Sbagliato!

   La giusta deduzione è che siamo tutti cugini. Tutti gli europei, da Capo Nord a Capo Passero, dal Portogallo a Cipro, hanno un antenato comune – comune a tutti - vissuto 1.400 anni fa.  E così tutti i 7,8 miliardi di persone che popolano il pianeta Terra hanno avuto un antenato comune non più tardi di 3.400 anni fa. In epoca storica, dunque. Questo punto recente i biologi lo chiamano genetic isopoint oppure all common ancestors (ACA) point

Cosa significa questo? Che, spiega Rutherford: «Nessuna nazione è statica e nessun popolo è puro». Questo è inevitabile, visto che veniamo da una piccola tribù africana che si è separata da altre specie del genere Homo appena 300.000 anni fa e che è uscita dall’Africa 70.000 anni fa. Ma un genetic isopoint così vicino – tre millenni e poco più, appena l’1% della vita della specie – è dovuto soprattutto all’espansione europea iniziata dopo Colombo e che ha raggiunto un picco nel XIX secolo. È un paradosso, perché proprio tra coloro che hanno generato l’idea di supremazia e purezza dalla razza bianca sono la causa principale del meticciato dell’umanità. Principale, ma non unica. Da sempre gli umani migrano e si incrociano. Anche gli americani nativi, che sono giunti nel continente americano non prima di 20.000 anni fa e sono stati a lungo isolati, non solo si sono incrociati tra loro, ma si sono incrociati con alcune popolazioni altre già prima dell’arrivo degli europei. Con i polinesiani, per esempio, come è stato dimostrato di recente.

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Da tutto ciò discendono alcuni (apparenti) paradossi. Tutti i nazisti, spiega Rutherford, hanno avuto antenati ebrei. Tutti i suprematisti bianchi hanno avuto antenati mediorientali o africani. Ne deriva, sottolinea Rutherford con una certa ironia, che: «La purezza razziale è una fantasia pura».

Siamo una specie meticcia, arricchita dal sangue (ma sarebbe meglio dire dal DNA) delle moltitudini di migranti che hanno esplorato il pianeta Terra.

Potremmo chiudere qui la nostra recensione di questo agile e prezioso libro di Adam Rutherford. Ma perché non ricordare come un anno fa, nel luglio 2019, il presidente americano Donald Trump, che mostra molta comprensione per i suprematisti bianchi, apostrofò quattro donne del Congresso degli Stati Uniti sostenendo che se avevano tanto da criticare potevano tornare nei loro paesi di origine. La frase era dovuta al colore della pelle delle quattro donne, tre delle quali sono nate negli USA e una è nata in Somalia. È chiaro che Trump sosteneva che le persone di colore non possono essere considerate autenticamente americane. Ma cosa dire di lui?

I bisnonni per parte di padre di Trump erano migranti tedeschi e sua madre è nata in Scozia. La sua prima moglie è nata in Moravia, la terza in Slovenia. Dove dovrebbe tornare un figlio di Trump se qualcuno gli dicesse, se non sei contento degli USA torna al tuo paese?

Non bisogna credere, tuttavia, che il razzismo sia solo da parte dei bianchi. Esiste ovunque nel mondo. E giustamente Rutherford ricorda la guerra razziale che scoppiò in un piccolo paese africano, il Ruanda, tra hutu e tutsi nel 1994 e che sfociò in un genocidio. Ciascuno dei due gruppi pensava di essere geneticamente diversi dall’altro e puro. E note razziste le troviamo anche nel Talmud: in uno dei testi sacri del popolo che ha subito l’Olocausto per motivi razziali, c’è scritto che i discendenti di Cam avevano ricevuto «la maledizione della pelle scura».

Occorre tenere la guardia sempre alta, perché nessuno può ritenersi immune dal razzismo. E il libro di Adam Rutherford ci aiuta a tenerla ben alta la guardia. Ci aiuta e prendere consapevolezza di «cosa rispondere a un razzista».    

 

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