Il Paleogene, periodo che ha origine circa 66 milioni di anni fa, ha visto come protagonista una vera e propria esplosione di vita mammaliana: sulla terraferma si svilupparono i grandi erbivori e i loro carnivori predatori, nell’aria i pipistrelli e nel mare i grandi cetacei. Ma non solo: in questo periodo troviamo anche le radici dell’evoluzione umana. Insomma, quella dei mammiferi è una storia di successo che ha visto una rapida diversificazione di questo gruppo di vertebrati, a cui contribuirono oltre che la disponibilità di risorse ambientali, anche cambiamenti di tipo ecologico e geoclimatico. L’omeotermia, la viviparità, l’allattamento dei piccoli e soprattutto lo sviluppo di una corteccia cerebrale più complessa hanno permesso a questo gruppo di vertebrati di prosperare in habitat variegati. Non ci sono molte evidenze fossili di queste modificazioni avvenute nel corso del tempo ma la scoperta dei resti fossili di un precursore dei mammiferi e dei suoi piccoli, vissuti 185 milioni di anni fa, getta nuova luce sull’evoluzione dei mammiferi.
Diciotto anni fa, una ricerca guidata da Timothy Rowe, scoprì, in Arizona, una formazione rocciosa contenente dei resti fossili di cui riuscì a stabilirne soltanto la datazione e la specie. Un precursore dei mammiferi, il Kayentatherium wellesi, vissuto quasi 200 milioni di anni fa. Oggi, grazie ai moderni mezzi utilizzati nella ricerca, lo stesso Timothy Rowe insieme alla ricercatrice Eva Hoffman, entrambi dell’università del Texas, hanno scoperto nello stesso sito i resti fossili di 38 piccoli appartenenti alla stessa specie dell'adulto, presumibilmente la madre.
La scoperta, pubblicata su Nature, è avvenuta utilizzando la tomografia computerizzata a raggi X ad alta risoluzione che ha permesso di stabilire che sia la madre sia i piccoli avevano moltissime caratteristiche tipiche dei mammiferi, ma con importanti eccezioni.
La prima tra tutte è che: “I mammiferi attuali producono meno piccoli della specie descritta in questo studio” ci ha riferito Andrea Pilastro, professore ordinario di Zoologia e di Biologia evoluzionistica all’università di Padova. Infatti, l'individuo in questione possedeva un numero di piccoli che era più del doppio del numero medio di una cucciolata di mammifero. Si riproduceva, quindi, in modo simile ai rettili.
Ma non è tutto: dall’esame del cranio dei piccoli è emerso che le proporzioni erano, seppur in scala ridotta, identiche al cranio dell’adulto, proprio come avviene nei rettili. “Un risultato importante perché a differenza dei mammiferi attuali, la forma del cranio è già quella definitiva, a eccezione delle ossa coinvolte nella masticazione”, ha commentato il professor Pilastro. “In altre parole la specie in questione ha una strategia di riproduzione e di sviluppo della prole di tipo rettiliano, anche se è già un mammifero”. Nei mammiferi, infatti, i piccoli nascono con un muso accorciato rispetto all’adulto e con un cranio più grande, per accogliere il cervello di maggiori dimensioni.
Risultati che portano i ricercatori a propendere per un’ipotesi ben chiara: l’aspetto chiave dell’evoluzione dei mammiferi e del loro sistema riproduttivo sta proprio nello sviluppo del cervello. Come ha chiarito il prof. Andrea Pilastro: “La riduzione di dimensione della cucciolata a seguito dell'encefalizzazione è probabilmente dovuta alle maggiori cure parentali richieste dai piccoli con elevato sviluppo cerebrale, cosa che limita il numero di piccoli dei quali la madre o i genitori possono occuparsi”. Questa ricerca porta alla conclusione che l’evoluzione di crani progressivamente più grandi abbia portato parallelamente ad una diminuzione della numerosità della prole e, nel lungo tempo, all’evoluzione di un tipo di riproduzione unico tra i vertebrati, come lo è quello dei mammiferi.