SCIENZA E RICERCA

Dall'Iran alla Mongolia, studiare e monitorare il gatto di Pallas

Di abitudini schive e notturne, è un’icona delle steppe dell’Asia centrale, e con il suo aspetto buffo e scontroso, si è meritato il soprannome di grumpy cat. Eppure, del gatto di Pallas (Otocolobus manul) sappiamo ancora troppo poco: la valutazione del suo stato di conservazione vacilla e il suo futuro appare incerto. Per rimediare alle lacunose conoscenze su questa specie è appena cominciato uno studio con i GPS, per mano della squadra di ricercatori e conservazionisti della Wildlife Initiative, fondata dallo zoologo all’università di Losanna Claudio Augugliaro.

Un anno fa, lo avevamo lasciato in Mongolia a seguire le orme del cugino più carismatico del gatto di Pallas, il “fantasma delle montagne”: il leopardo delle nevi. Ma tra le alture della Mongolia, Claudio Augugliaro si muove soprattutto per garantire un futuro a questo felino dalle orecchie piccole e distanti, grosso più o meno quanto un grosso gatto domestico. «La stessa Wildlife Initiative – che adesso opera su 4 continenti e 4 paesi extra europei – è nata proprio per la necessità di strutturare un programma di ricerca e conservazione sul gatto di Pallas, a partire dalla Mongolia, qui dove la sua popolazione sembra essere in salute» spiega.

Il team della Wildlife Initiative studia il manul nel distretto di Bayan Onjuul, un mosaico paesaggistico nel pieno della Mongolia centrale, dove nel bel mezzo della steppa mongola, affiorano colline rocciose, montagne vere e proprie, zone umide e dune sabbiose, che poi 50 chilometri più a sud cedono il passo alla steppa desertica. «Il distretto di Bayan Onjuul è ricco di prede, come roditori, uccelli e altri piccoli mammiferi, e di rifugi. Qui le temperature vanno dai 16°C di media ad agosto, ai -23°C di media a gennaio: è un luogo ideale per il gatto di Pallas, un po’ meno per chi lo studia. Il manul infatti ha un aspetto molto massiccio, ma è tutta pelliccia: il suo manto peloso è lungo 7 centimetri ed è foltissimo, ha ben 9.000 peli per cm2 di pelle» continua Claudio Augugliaro, di origini siciliane che da 10 anni si è trasferito in Mongolia. «Il suo splendido mantello però è stato anche la sua condanna: questo felino che prende il nome dal suo scopritore - Peter Simon Pallas – è stato un trofeo di caccia ricercatissimo».

Una delle maggiori difficoltà per comprendere il reale stato di conservazione del manul, è che si tratta di una specie molto elusiva con un areale immenso, che si estende dall’Iran alla Mongolia orientale, dalla Russia meridionale alla Cina centrale. Inoltre il gatto di Pallas scorrazza fino ai 5.000 metri d’altitudine: seguire le sue tracce non è una passeggiata. Tuttavia, considerando l’ampiezza dell’areale, secondo le stime dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) in natura ci sarebbero 58.000 gatti di Pallas e per questo la specie è considerata “least concern”, cioè non in pericolo.

Augugliaro però solleva numerosi dubbi su questi numeri: «La stessa IUCN ammette che la specie è in diminuzione. E inoltre i criteri di valutazione non tengono conto dell’elusività della specie, della scarsa densità delle popolazioni, né del loro cattivo stato di conservazione in quasi tutto l’areale. Anche in Mongolia, dove attualmente la popolazione di gatto di Pallas è in salute, questo felino è rischio. Un qualsiasi blackout ecologico potrebbe spazzare via la sua popolazione in poco tempo: un’epidemia, la diminuzione delle sue prede abituali, la costruzione di nuove barriere ecologiche, come strade e infrastrutture; l’aumento della pressione antropica e il conflitto con i cani pastore» specifica lo zoologo.

Una specie elusiva che vive fino a 5000 metri di altitudine

In Mongolia, prima dell’arrivo della Wildlife Initiative, le uniche informazioni sul gatto di Pallas erano state raccolte da Anna Barashkova, fondatrice del Manul Working Group, e dal PICA – la Pallas’s cat International Conservation Alliance. «Tuttavia mancava un approccio organico, ben pianificato per mandare avanti una strategia di conservazione che valesse per tutto l’areale di distribuzione del manul» ricorda Claudio Augugliaro. «Così, con gli altri membri di Wildlife Initiative, in particolare Fabio Dartora, Giovanni Bombieri e Andrea Vendramin, siamo riusciti a trovare la chiave giusta per ottenere più dati possibili sul gatto di Pallas e collaborare con il Manul Working Group, che riunisce esperti di questa specie da tutto il mondo».

Come per il leopardo delle nevi, le fototrappole sono uno strumento fondamentale per monitorare le specie elusive. «Grazie alle collaborazioni internazionali stiamo ottenendo risultati importanti. Per esempio la Southern Illinois University ci ha donato 65 fototrappole: nella prima stagione di lavoro abbiamo ottenuto 48 catture fotografiche del gatto di Pallas, e oltre 500 nel primo anno» prosegue Augugliaro. «Quest’anno invece il Museo di Storia Naturale di Parigi ci ha donato 3 collari GPS che stiamo cominciando ad applicare proprio adesso, nel mese di agosto: grazie ai collari GPS avremo la possibilità di seguire percorsi e spostamenti a distanza, di individuare le tane e di proteggerle dai cani pastore, con cui il gatto di Pallas entra in conflitto. Nella nostra area di studio, nel distretto di Bayan Onjuul, infatti i locali sopravvivono grazie alla pastorizia, ai prodotti del bestiame e al commercio di carne, latticini e cashmere grezzo. Ma i cani dei pastori rappresentano spesso un pericolo per questo felino».

Avere una stima affidabile della popolazione di manul in Mongolia e nel resto del suo areale, però, è solo la prima sfida. Un’altra variabile che potrebbe influenzare la sopravvivenza del manul è la densità della popolazione di marmotte siberiane (Marmota sibirica), le cui tane fungono da rifugio anche per il gatto di Pallas. Una volta molto comune in Mongolia, la marmotta siberiana ha subìto un declino pari al 70% negli anni Novanta a causa della caccia e della frammentazione dell’habitat, passando da “specie a rischio minimo” a specie “in pericolo” di estinzione per l’IUCN.

Un’altra seria minaccia è rappresentata dai Bankhar, una razza mongola di cani pastore utilizzata per sorvegliare le greggi, che si è resa responsabile di vere e proprie mattanze nelle tane del manul. «Lo scorso Ottobre 2021 abbiamo condotto un sondaggio tra pastori» racconta Claudio Augugliaro, «ed è saltato fuori che secondo gli stessi i pastori, i loro cani rappresentano una minaccia concreta alla sopravvivenza del gatto di Pallas: hanno assistito a diverse predazioni di gatto di Pallas da parte dei cani o hanno rilevato delle carcasse di manul riconducibili agli attacchi dei cani. Per questo abbiamo cominciato a coinvolgere i pastori locali nella conservazione del manul, abbiamo avviato un workshop per discutere con loro possibili soluzioni». Tra queste c’è l’idea di dotare i cani di collari con un campanello, in modo che i felini possano rifugiarsi prima di venire attaccati, o di recinti che proteggano le tane dei manul. «L’uso dei collari GPS ci aiuterà a localizzare le tane materne, così potremo proteggerle dall’attacco dei cani installando dei recinti a prova di canide, che permettano ai gatti di passare, lasciando fuori i cani. Sarebbe sufficiente fissare tali recinti tra i mesi di maggio e luglio, prima del periodo delle nascite, per salvare tanti piccoli gatti di Pallas e le loro madri. In progetti complessi come questo e per specie così delicate, bisogna sempre tener conto degli aspetti sociali della conservazione» conclude Augugliaro. La sensibilizzazione dei pastori e la loro collaborazione è infatti uno gli obiettivi cardini del progetto, nella speranza che questi custodi della steppa diventino custodi anche del gatto di Pallas.

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