Dibattiti, controversie, confutazioni. La scienza è fatta anche di questo. E anche di questo si nutrono i giornali, la televisione, la radio che inevitabilmente influiscono sull’opinione pubblica. In che misura è utile il contraddittorio? Qualsiasi posizione ha uguale diritto di cittadinanza? Una buona argomentazione può aiutare a smascherare le fake news?
Di queste tematiche abbiamo parlato con Adelino Cattani, professore di teoria dell’argomentazione all'università di Padova dal 2001, primo insegnamento di questo tipo in Italia, ideatore nel 2006 di un progetto di formazione al dibattito, chiamato Palestra di botta e risposta, e presidente dell’Associazione per una cultura e la promozione del dibattito.
Un editoriale pubblicato tempo fa su Nature Cell Biology dal titolo Controversy and debate: the nature of science sottolineava che il dibattito è parte integrante della scoperta scientifica. Cosa ne pensa?
Il dibattito è un tratto naturale delle forme di conoscenza tipicamente controversiali come, ad esempio, la filosofia. Può quindi sorprendere associare controversia e dibattito a scienza, che è la forma di sapere più attendibile. Ma la controversia, oltre che parte integrante, è il motore della ricerca scientifica. Lo testimonia in primo luogo il fatto che la storia della scienza è una storia incessante di dispute e, in secondo luogo, che la verità nasce dal confronto/scontro tra teorie rivali. Le prove, anche quelle sperimentali, raramente sono dimostrative in modo definitivo. Se così fosse non ci sarebbe “storia” della scienza, cioè teorie scientifiche che soppiantano o superano altre teorie.
E invece nel comunicare la scienza che ruolo ha il dibattito?
Poiché le innovazioni scientifiche, soprattutto le scoperte rivoluzionarie, incontrano comprensibilmente riluttanze e opposizioni, l’annuncio di una nuova teoria richiede una strategia comunicativa di natura persuasiva in un contesto di reazione ed opposizione. Tutte le nuove teorie, pensiamo solo a Galilei, Harvey, Darwin hanno dovuto superare forti e lunghe resistenze per imporsi. Se un paradigma ottiene o meno il consenso all’interno di una comunità scientifica dipende molto da come è difeso.
Il contraddittorio è necessario o in alcuni casi rischia di disorientare il pubblico? Penso a tematiche come le vaccinazioni o i cambiamenti climatici…
Il dibattito in campo scientifico svolge il medesimo ruolo che svolge il collaudo in campo merceologico: il collaudo è un tentativo di distruzione del prodotto sottoposto a test; se resiste viene immesso nel mercato. Anche i cosiddetti “dibattiti tra sordi” sono utili. Il dibattito non serve alle parti in polemica, che difficilmente si smuovono dalla loro posizione di partenza, ma serve alla terza parte, il pubblico, l’uditorio, il giudice, il decisore che si fa un’idea tanto più chiara quanto più netta è l’opposizione e serrato il confronto. Il dibattito, la valutazione ponderata dei pro e dei contro, funge da campo di collaudo e seleziona le idee che resistono alle prove più severe. Certo, come in campo biologico sopravvive il più adatto, anche nel dibattito entro la comunità scientifica può prevalere l’idea meglio argomentata, non la migliore in sé, può prevalere la teoria più motivata, non quella più ragionevole. Per questo è importante formare spettatori-giudici che sappiano valutare le prestazioni in un dibattito. Il “terrapiattista” in polemica con l’astronauta non recederà dalla sua posizione, ma chi li ascolta, con volontà di capire e non preventivamente e partigianamente schierato, se ne farà una sua, più precisa.
Come si valuta la bontà di un ragionamento?
Dipende da che cosa si intende per “buono”. Per un logico un buon ragionamento è convincente, per un educatore è persuasivo, per un comico un buon un ragionamento è spiritoso. Rimanendo nel campo logico-scientifico i criteri di valutazione sono i classici: verità delle premesse e validità dell’inferenza. Ma oltre al contenuto e alla forma, conta molto un terzo criterio, a volte trascurato: la pertinenza dei dati. E la diversità delle argomentazioni addotte.
Arthur Schopenhauer ne L’arte di ottenere ragione sostiene che, di regola, chi disputa non lotta per la verità, ma per imporre la propria tesi e i mezzi per riuscirvi sono offerti a ciascuno dalla propria astuzia e cattiveria. Cosa ne pensa?
C’è chi l’ha detto in maniera ancor più chiara: chi è impegnato in una polemica si preoccupa della verità quanto un cacciatore si preoccupa della lepre. Il dibattito polemico è in effetti l'ambito privilegiato in cui si esercita e in cui studiare la manipolazione e l'inganno discorsivo. Chi partecipa ad uno scontro aspramente competitivo tende a fraintendere e deformare, ad attenuare o sovraccaricare, a generalizzare o restringere oltre misura, a manipolare e falsificare ciò che dice l'interlocutore, sia intenzionalmente sia inconsapevolmente. Per questo, finché tutti i bravi non saranno buoni, è bene che i buoni si attrezzino per diventare un po’ più bravi nel confronto e nella discussione. Per questo serve una formazione al dibattito argomentato e regolamentato.
Lei afferma che “è importante vivere tra gli inganni non ingannati”. Si tratta di una considerazione interessante, che solleva il problema della disinformazione scientifica. Innanzitutto, esistono dei modi per riconoscere le fake news?
Credere o non credere… Ecco il dilemma. In internet proliferano siti che insegnano a riconoscere le false notizie, a verificare le fake news, che forniscono trucchi per evitarle. Direi che la regola base – Karl Popper insegna – è quella di tentare sempre, prima, una falsificazione: non saremo mai certi della verità, ma possiamo pervenire alla certezza della falsità. Dobbiamo esercitare il dubbio, il salutare dubbio, non quello paralizzante, ma l’analisi precauzionale che considera diverse possibilità. In secondo luogo, dobbiamo cercare di capire se la tesi sostenuta lo è in base ad una ragione-causa che davvero “giustifica” (oggettiva, controllabile, condivisibile) o ad un interesse-motivo (soggettivo, valido solo per qualcuno e non generalizzabile) che semplicemente “induce”.
Attraverso un buon ragionamento è possibile sfatare ideologie negazioniste (come quelle dei no vax o dei negazionisti dei cambiamenti climatici) e dimostrare l’infondatezza di una convinzione svelandone le debolezze?
Considerata la pervasività di pseudoscienze e di bufale è bene attrezzarci. Le più subdole si fondano su argomenti ingannevoli, cioè ragionamenti che sembrano “buoni”, mentre in realtà non lo sono. Un tempo questi tranelli discorsivi si chiamavano “fallacie”. Si tratta di reimparare a identificarle e neutralizzarle. Se ci viene obiettato che non c’è il riscaldamento globale, perché anche in estate si verificano sbalzi e cali importanti di temperatura, noi avvertiamo genericamente che il discorso non regge molto. Ma è importante spiegare che cosa di preciso non va nel ragionamento: “Amico mio, è proprio il riscaldamento globale che li provoca. Ti sfugge l’eziologia del problema; ‘ignoratio elenchi’ si chiama il tuo errore”. Anche se in latino, è preferibile e fa più effetto di “Ma che discorsi fai”, “Non capisci niente”, “Con te non si può discutere”.
Il dibattito sulla scienza oggi avviene molto frequentemente anche sui social network. Questo è un bene o un male?
Censurare o limitare la discussione è sempre controproducente e sui social diventa anche molto difficile e improponibile. Certo un dibattito in materia scientifica richiede conoscenza documentale, ricerca sperimentale, perizia inferenziale, competenze critiche. Ma poiché in un dibattito pubblico l’obiettivo non è quello di convincere la controparte (quando mai uno cambia idea alla fine di una discussione?) ma la terza parte, lo spettatore-giudice, questi, se neutrale, disinteressato e desideroso di chiarirsi le idee, saprà cogliere, se non quale sia la teoria vera o il provvedimento giusto, almeno chi abbia più ragione o più ragioni dalla sua parte.
Lei ha affermato che il suo interesse per il dibattito nasce partendo dalla storia e dalla filosofia della scienza...
I miei studi iniziati negli anni Settanta furono precisamente di epistemologia e storia della scienza. Lo studio diretto, non mediato, di autori come Galilei e Harvey, quelli reali, non le loro icone ricostruite nei manuali, mi convinsero che anche gli scienziati argomentano e non dimostrano in modo necessario, decisivo e rigoroso. Va ricordato che la rivalutazione a metà del secolo scorso dell’argomentazione e della “famigerata” retorica è avvenuta, paradossalmente ma significativamente, ad opera non di professionisti della parola, ma di logici (Chaïm Perelman), storici della scienza (Thomas Kuhn), epistemologi (Stephen Toulmin, Norwood Russell Hanson) e scienziati (Michael Polanyi). A partire dai quadri argomentativi della scienza sono giunto alle regole e alle mosse del dibattito, cercando di recuperare e valorizzare quanto di valido c’è nella nostra tradizione classica delle controversiae e della disputatio, a preferenza dell’oltreoceanico debate.