Il 20 agosto scorso la Grecia è ufficialmente uscita dal terzo piano di aiuti dell’Unione Europea, dopo dieci anni di Troika, di prestiti miliardari, di privatizzazioni, di cinghie strette, di tagli a tutto il tagliabile. C’è chi esulta, come il primo ministro Alexis Tsipras («È un accordo storico, il debito greco diventa sostenibile») o come il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker («È un momento cruciale per la Grecia e per l'Europa. Il popolo greco ha affrontato tutte le difficoltà con coraggio e determinazione eccezionali»). Ma c’è anche chi osserva sbigottito l’inesorabile declino di un paese intristito, umiliato e depredato. Perché all’orizzonte dei greci tutto si vede tranne la fine di questo interminabile periodo di austerity, ma la prosecuzione di un interminabile e sfiancante stato d’emergenza.
I numeri di un declino
Qualche dato può aiutare a capire meglio la situazione di oggi in Grecia. La disoccupazione, dopo aver raggiunto il picco del 27,5% nel 2013, sfiora oggi il 21%, comunque il più alto tra i paesi dell’Unione Europea, dove la media è al 7%. Circa la metà dei giovani sotto i 24 anni non ha un lavoro, come anche gli over 50, tra i più colpiti dalla crisi. Negli ultimi quattro anni i salari hanno subito contrazioni fino al 40%. Lo stipendio medio di un dipendente del settore privato non supera i 500 euro, mentre la contrattazione collettiva è stata abolita per legge. Durissimi sono stati i tagli alle pensioni: 13 riduzioni, una dopo l’altra. Il 14° intervento è previsto per il primo gennaio del 2019: la media delle pensioni attuali è inferiore ai 700 euro mensili. Pensioni che complessivamente hanno subìto un calo tra il 40 e il 60%. A fronte di un’imposizione fiscale sempre più alta. Si calcola che il potere d’acquisto delle famiglie sia diminuito in una forbice che va dal 25 al 35%. Il rischio di povertà e di esclusione sociale riguarda oggi il 35% della popolazione, contro il 23% medio degli altri paesi europei. Un altro studio realizzato dall’Unione Europea fissa al 22% la popolazione greca che si trova in situazione di “grave povertà”, vale a dire non in grado di far fronte a mutui, prestiti, perfino spese per il riscaldamento e per le cure mediche. Soltanto nel 2017, 130mila persone hanno rinunciato all’eredità di immobili perché non potevano permettersi di pagare le tasse su quei beni. Nel 2016 erano stati 54mila, in aumento del 50% rispetto al 2015. Così chi può fugge all’estero: negli ultimi anni oltre 500mila greci (su un totale di circa 11 milioni) sono emigrati, soprattutto giovani e laureati. «È una fase molto buia della crisi», ha commentato Maria Koutatzi, responsabile del settore Politiche sociali di Caritas Grecia, durante la presentazione del primo rapporto su povertà ed esclusione sociale, realizzato in coordinamento con l’Ufficio studi di Caritas Italiana e presentato lo scorso anno. «Siamo un paese vulnerabile da cui gli investitori si tengono lontani. A soffrire di più sono giovani, anziani, malati, famiglie. E l’austerità non paga».
Conti in rosso e privatizzazioni
Il problema è che alcuni, fondamentali, indicatori economici, nonostante i 288 miliardi di euro di aiuti finanziari ricevuti, continuano a segnare rosso, con dati addirittura peggiori rispetto agli anni precedenti alla crisi. Il debito viaggia al 180% del Pil, la spesa pubblica è diminuita del 30%, soffrono le banche, soffrono le imprese. E questo nonostante l’imponente piano di privatizzazioni avviato dal governo: il porto del Pireo è finito in mani cinesi, la Germania ha acquisito 20 aeroporti regionali. Il piano ha però fruttato appena dieci miliardi di euro rispetto ai 50 preventivati: un paese depredato dei suoi asset migliori, un discount dove fare affari d’oro. Perché la vera risorsa della Grecia resta il turismo: 32 milioni di turisti nel 2018, più del triplo degli abitanti del paese. Isole letteralmente prese d’assalto, come Santorini (che ha imposto il limite di 8mila accessi quotidiani), Mykonos, Creta, Naxos, Hydra, Corfù, per citarne solo alcune. Il turismo copre circa il 25% dell’intero Pil della Grecia. Un turismo che offre opportunità di lavoro, soprattutto ai giovani, però soltanto per 7 mesi l’anno e con stipendi da 500 euro al mese. Anche se non tutti i greci sono d’accordo ad assistere all’invasione straniera: isole, paesini, piccole realtà che nemmeno troppo lentamente si snaturano per modellarsi ai bisogni dei turisti, trasformandosi in divertimentifici, sul modello Venezia per intenderci.
Per non parlare poi dell’evasione fiscale sostanzialmente fuori controllo. Dell’assenza di un piano industriale che possa far da base per una possibile crescita. Dei farmaci introvabili, della clamorosa impennata del numero dei suicidi. Per non parlare della fuga dei medici dagli ospedali, di un sistema sanitario che non potrebbe sopravvivere senza gli incredibili sforzi dei volontari. E della corruzione che divora come un cancro, dall’interno, il tessuto di una società civile oramai sfibrata. Un solo esempio: i posti letto negli ospedali pubblici si “vendono” a tremila, quattromila euro. Da Atene a Creta. Se vuoi farti ricoverare devi pagare, altrimenti “mi dispiace, non c’è posto, la richiameremo noi”. Funziona così. E le denunce non bastano a interrompere una prassi che dalla capitale sta contagiando via via le periferie del paese.
Tra promesse e ammissioni
Eppure c’è chi esulta. «La Grecia si lascia alle spalle l’austerità e la recessione. Il futuro appartiene a tutti coloro che hanno fatto sacrifici nel corso della crisi» - ha dichiarato recentemente Tsipras, che pochi giorni fa ha tolto il limite di 60 euro giornalieri ai prelievi bancomat e ha promesso anche una riduzione progressiva dell’Iva per le imprese (dal 29 al 25%), la ripresa della contrattazione collettiva e aumenti al salario minimo. Toni comprensibili, vista l’imminenza delle elezioni politiche. Ma questa volta tradurre le promesse in fatti potrebbe diventare indispensabile. Panayotis Liargobas, capo dell’Ufficio del Bilancio dello Stato: «L’accordo con l’Unione Europea è di per sé positivo perché mette fine a un lungo periodo d’incertezze. Ma i greci stanno affrontando un lungo periodo di austerity, le loro forze sono allo stremo e la loro pazienza si è esaurita. D’ora in poi dovremo pensare a misure che rendano più facile la vita dei cittadini, come una riduzione delle imposte. Siamo ancora obbligati a mantenere un surplus di bilancio molto alto e rispetteremo gli accordi. Ma in futuro dovranno diventare più flessibili, per far respirare i greci e la nostra economia». Interessante al proposito anche l’intervista rilasciata pochi giorni fa alla tv olandese da Jeroen Dijsselbloem, l'ex capo dell'Eurogruppo (che riunisce i ministri delle finanze dei 19 Stati membri): «Sulle riforme l’Unione Europea ha chiesto troppo al popolo greco in cambio del salvataggio» - ha ammesso Dijsselbloem. «La loro crisi è stata così profonda che non si può certo definirla un successo».
Entro la fine di novembre la Commissione Europea dovrebbe pubblicare la prima relazione sull'attuazione delle riforme da quando la Grecia è uscita dal programma di salvataggio (da qui alla fine del 2019 le verifiche saranno ogni tre mesi, rispetto ai 6 mesi canonici previsti fino alla restituzione del 75% del prestito: una sorta di “vigilanza rafforzata” per evitare il rischio di potenziali shock economici). Probabilmente dal primo report uscirà un plauso e un incoraggiamento per il futuro. Ma la domanda è: a quale prezzo? L’economia disumana prolifera e si diffonde come un’epidemia, non soltanto in Grecia. Un’economia che magari farà quadrare i bilanci, ma che ha completamente smarrito il controllo dell’equità sociale. Un’economia che detta le regole alla politica e non più viceversa.
I pilastri della riforma sociale
L’Unione Europea nega però con forza le accuse d’indifferenza. Sostiene che la Grecia, all’epoca della prima richiesta di aiuto, non aveva uno Stato sociale in grado di offrire protezione ai suoi cittadini in situazioni di povertà estrema, mentre ora sì. Che la “questione sociale” viene trattata a Bruxelles molto più di quanto emerga. E che se i risultati ancora non si vedono è colpa dei tempi delle statistiche: le rilevazioni pubblicate nel 2018, per dire, vengono realizzate l’anno precedente su dati del 2016. Quindi nelle statistiche più recenti non c’è evidenza degli interventi realizzati ancora nel 2017. Come il sussidio minimo: 200 euro per una persona sola, 300 euro per una coppia, 400 euro per una coppia con bambini. Un minimo per soddisfare le prime necessità. Da gennaio 2019 dovrebbe diventare operativo anche un sostegno per le spese d’affitto, sempre legate al reddito: 70 euro per un single, a crescere. Una riforma sociale che poggia su tre pilastri: reddito minimo, una rete di servizi sociali che possano occuparsi delle fragilità delle persone in povertà, non soltanto economiche. E infine facilitare il rientro nel mercato del lavoro con corsi di formazione-training. «Lo stato sociale greco – commenta un funzionario dell’Eurogruppo - sta finalmente raggiungendo una modernità e un’efficienza pari a quella degli altri paesi europei. Il gap è stato quasi colmato».
La distanza dalla realtà
Una fotografia che lascia ben sperare, ma che si discosta ancora troppo dalla realtà quotidiana, quella che i greci vivono e sentono quotidianamente sulla propria pelle. Come affiora dalle parole di un greco adottivo, un italiano, pensionato, che da molti anni si è trasferito nel paese ellenico: «Qui la gente soffre, sbanda, crolla. I greci ormai camminano a testa bassa, con l’unico obiettivo di sopravvivere. È un popolo orgoglioso, profondamente legato alle tradizioni, alla sua storia, ma che ha quasi smesso di sperare. L’orizzonte? Nemmeno lo guardano più».