SCIENZA E RICERCA
Dietro la tavola periodica: 118 storie di folletti, luoghi, asteroidi e nazionalismi
Folletti dispettosi e spiritelli. E poi asteroidi, scienziati e luoghi in giro per il mondo. No, non siamo dentro una fiaba e nemmeno in un film, siamo nella tavola periodica degli elementi che quest’anno compie 150 anni.
Nella tavola periodica sono raggruppati e classificati, secondo il loro numero atomico e il numero degli elettroni negli orbitali atomici, tutti gli elementi chimici conosciuti fino ad oggi, tutti quei mattoncini che formano la materia di cui siamo circondati. L’odierna tavola si basa sulla classificazione proposta da Dmitrij Ivanovič Mendeleev nel 1869 (ne abbiamo parlato in un altro articolo). Oggi si contano 118 elementi, ognuno contenuto in una casella della tavola e tutte le caselle sono distribuite in gruppi (le colonne) e in periodi (le righe). Andando da sinistra a destra si passa dai metalli ai non-metalli per chiudere con i gruppi degli alogeni e dei gas nobili. Ci sono poi due periodi, riportati in due righe separate in basso, che vanno ad ampliare il sesto e settimo periodo.
Ogni casella riporta il nome e il simbolo dell’elemento, il suo numero atomico e altre informazioni, così che le caselle ci raccontano proprietà e struttura degli elementi chimici. Ma le caselle ci raccontano anche un mare di storie, 118 storie per l’esattezza. Storie curiose e inaspettate che si nascondono proprio dietro al nome e al simbolo di ogni elemento chimico. Dei nomi degli elementi chimici e di come questi siano stati dati, dalle prime scoperte fino ad oggi, abbiamo parlato con Lidia Armelao, docente del Dipartimento di Scienze Chimiche dell’Università di Padova, direttrice dell’ ICMATE (Istituto di Chimica della Materia Condensata e di Tecnologie per l’Energia) del CNR di Padova, rappresentante italiano presso la IUPAC (International Union of Pure and Applied Chemistry) e membro titolare della Divisione IUPAC di Chimica Inorganica.
“ La tavola periodica degli elementi è qualcosa che tutti hanno visto almeno una volta. Si tratta di una delle rappresentazioni più visibili della chimica ed iconiche della scienza. Ma più difficilmente si va oltre i simboli per scovarne il significato. Lidia Armelao
“Dopo che la scoperta di un nuovo elemento viene stabilita con certezza da una commissione congiunta IUPAC - IUPAP (International Union of Pure and Applied Physics), gli scopritori sono invitati a proporre un nome ed un simbolo alla IUPAC – racconta Lidia – e il CNR rappresenta l’Italia nella IUPAC, ne è l’interfaccia.” La IUPAC è un'organizzazione scientifica mondiale – un’autorità in ambito chimico - articolata in otto divisioni disciplinari (quella di chimica analitica, di chimica organica, di chimica inorganica e così via). È la divisione numero due, quella di chimica inorganica, che si occupa della valutazione e dell’adeguatezza dei nomi proposti per nuovi elementi scoperti. Questi, dopo un processo di revisione pubblica e da parte di esperti, vengono infine sottoposti al Council della IUPAC per l’approvazione finale.
“Il processo di naming è molto interessante – continua Lidia – e riguarda non solo il nome ma anche il simbolo di nuovi elementi, entrambi di complessa assegnazione, perché non devono essere in conflitto o confusi con altro. Ad esempio l’elemento 112, il copernico, non potrebbe avere come simbolo Cp perché questo è spesso usato in chimica per indicare l’anione ciclopentadienilico”.
Il naming degli elementi è quindi un processo molto delicato. Ma come avviene? E come mai viene dato proprio quel nome ad un certo elemento?
“I nomi degli elementi più antichi – spiega Lidia – sono stati scelti secondo criteri diversi. Spesso nel dare il nome ci si ispirava alla mitologia, a corpi celesti o oggetti astronomici, o ancora alle proprietà degli elementi”. Il palladio, ad esempio, prende il nome dall’asteroide Pallade scoperto nel 1802, un anno prima dell’elemento.
Il nome dell’elemento 27, il cobalto, deriva dal greco kobalos che significa “folletto”, “coboldo” nella tradizione tedesca (kobalt o kobold). Probabilmente il nome è stato dato da alcuni minatori che, cercando l’argento, trovarono invece un metallo molto meno prezioso, il cobalto appunto, incolpando della cosa un folletto. “Sono stati scelti nomi riferiti anche a luoghi o Paesi del mondo - racconta Lidia - come nel caso del germanio o del francio. A volte il nome si riferiva proprio al posto in cui l’elemento era stato scoperto, altre volte, invece, poteva essere un omaggio alla nazione di uno scienziato, come nel caso del polonio che celebra la Polonia, terra natale di Marie Curie”. Tra i luoghi a cui si fa riferimento nella tavola periodica troviamo anche l’elemento stronzio, nome che si ispira a Strontian, un villaggio della Scozia nei cui dintorni l’elemento è stato scoperto e il cui nome deriva dal gaelico e si può tradurre con "naso della collina delle fate".
“E poi ci sono nomi assegnati con riferimento alle proprietà degli elementi” spiega Lidia. Ad esempio, il rodio si chiama così perché le soluzioni diluite dei suoi sali solubili sono di colore rosa. "Rosa" deriva dal greco rhodon, da cui il nome “rodio” e il simbolo “Rh”. Per quanto riguarda il simbolo, molto curiosa è la storia dell’elemento mercurio. Il nome è stato dato in onore dell’omonima divinità, ma il suo simbolo, Hg, deriva invece dal greco hydrargýros che significa “argento d'acqua” o “argento liquido”. O ancora l’azoto il cui nome deriva dal greco alfa privativa, quindi “senza” e zoé, cioè “vita”: “senza vita”. Antoine-Laurent Lavoisier aveva constatato come la respirazione, e quindi la vita, non fossero possibili in atmosfera d'azoto. L’etimologia del simbolo, però, è diversa. Simbolo dell’azoto è la lettera “N” che deriva da nitrogen, termine coniato da Jean-Antoine Chaptal nel 1790 per indicare che l'azoto è un costituente del nitro, usato in età romana come sapone. Da qui arriva “nitrogeno”, composto dalle parole greche nítron, cioè “nitro”, e génos, cioè “nascita” a significare che quell’elemento "produce “nitro”.
Tutto questo vale per gli elementi più antichi, tutti elementi trovati in natura, che esistono spontaneamente. Da un certo punto in poi, e soprattutto ai giorni nostri, gli elementi chimici sono stati preparati in laboratorio.
“Da quando la scoperta di nuovi elementi chimici avviene in laboratorio, dove sono prodotti artificialmente, sono sorte nuove esigenze per l’assegnazione di nome e simbolo. - spiega Lidia - La IUPAC è stata costituita nel 1919 ed è dal 1947 che ha iniziato a valutare i nomi proposti dagli scopritori, talvolta anche per risolvere controversie nazionalistiche”.
Il caso dell’elemento 104, il rutherfordio, scoperto negli anni ’60, è famoso in questo contesto. I sovietici sostenevano di averlo sintetizzato per primi e proposero il nome “kurchatovio”, in onore di Igor' Kurčatov, ex capo della ricerca nucleare sovietica, oppure il nome “dubnio” poiché la scoperta era stata fatta vicino a Dubnia. Gli Stati Uniti d’America poco dopo rivendicarono la paternità dell’elemento e proposero rutherfordio in onore di Ernest Rutherford, famoso chimico e fisico nucleare neozelandese e premio Nobel per la chimica 1908. A lungo l’elemento 104 ebbe quindi due nomi. La IUPAC si fece carico di risolvere la controversia adottando il nome temporaneo “Unnilquadio” fino a quando, nel 1997, la disputa si risolse con l'adozione dell’attuale nome “rutherfordio”. Questo tipo di controversie caratterizzò anche gli elementi numero 105, il dubnio, e 106, il seaborgio, tutti elementi dopo il numero 100, il fermio, tant’è che la controversia è chiamata da alcuni chimici “guerra transfermica”.
“ Anche la capacità di produrre nuovi elementi chimici in laboratorio e attribuirne il nome poteva essere usata come dimostrazione di superiorità negli anni della guerra fredda Lidia Armelao
“Per evitare che si potesse generare disordine in un sistema ordinato, la IUPAC – continua Lidia – stabilì che ad ogni nuovo elemento, successivamente alla verifica della scoperta ed alla attribuzione della paternità, fosse assegnato un nome latino temporaneo, corrispondente al numero atomico, ad esempio unununio (Uuu) per l’elemento 111 o ununbio (Uub) per l’elemento 112, e così via. Gli scienziati che scoprono un nuovo elemento hanno il diritto di proporne un nome e un simbolo. Poi la valutazione della loro adeguatezza spetta alla IUPAC”.
Attualmente il processo prevede anche una consultazione pubblica dei nomi proposti che vengono resi noti sul sito della IUPAC. I nomi sono disponibili per sei mesi e chiunque abbia delle obiezioni le può avanzare. Se in questo periodo non ci sono obiezioni, il nome e il simbolo proposti passano al bureau della IUPAC per l’approvazione finale.
“La scoperta di nuovi elementi superpesanti – afferma Lidia – è sempre più complessa. La IUPAC e la IUPAP hanno istituito un comitato internazionale composto da fisici e chimici nucleari che ha il compito di confermare la scoperta dei nuovi elementi.”
Tale commissione nel 2016 ha confermato ufficialmente la scoperta degli ultimi quattro elementi che vanno a completare il settimo periodo della tavola di Mendeleev: il nihonio (Nh), il moscovio (Mc), il tennessio (Ts) e l’oganesso (Og). Tra questi, l’ultimo rappresenta - in fatto di nome - una scelta particolare in quanto celebra Jurij Colakovič Oganesian, uno scienziato russo vivente. Nella storia degli elementi esiste un solo altro esempio analogo, è il caso del seaborgio, dedicato all’allora vivente chimico statunitense Glenn Theodore Seaborg.
Ecco che dietro ciascuna di quelle 118 caselle che classificano le fondamenta della materia di cui siamo circondati, si nascondono storie e aneddoti spesso inaspettati e intriganti, che possono farci leggere la chimica con altri occhi, per vedere anche la componente umana e della tradizione dietro tutti quei simboli.