SCIENZA E RICERCA

Entro il 2054 i coralli non riusciranno più a produrre il loro scheletro di carbonato di calcio

Ancora cattive notizie per le barriere coralline di tutto il mondo. Se l’aumento delle temperature e l’acidificazione dei mari continuano di questo passo, entro il 2054 i coralli non riusciranno più a produrre il loro scheletro di carbonato di calcio. E mentre alcune formazioni potrebbero tentare una “fuga verso nord”, almeno per sfuggire al caldo, non è così per la barriera corallina della Florida. È questo il quadro dipinto da due studi pubblicati da poco: una review su Communications & Environment e un paper su Scientific Reports.

Per produrre la loro review, gli scienziati della Southern Cross University hanno esaminato 53 studi già pubblicati, studiando i tassi di crescita e di calcificazione di ben 36 località con barriere coralline, situate in 11 paesi del mondo. Tra queste ci sono la Grande Barriera corallina australiana, ma anche il Reef Shiraho in Giappone, le barriere di diverse isole delle Hawaii, dello stato di Palau, della Polinesia francese, delle isole delle Filippine e persino del Mar Rosso.

Dagli anni Sessanta ad oggi il tasso di crescita delle barriere coralline è diminuito costantemente

Quello che è emerso è che dalla fine degli anni Sessanta ad oggi il tasso di crescita delle barriere coralline è diminuito costantemente: in sostanza questi hotspot di biodiversità – nonché driver dell’economia di molti paesi – sono in declino costante. E i motivi sono principalmente due, legati a doppio filo al cambiamento climatico.

Il primo, più noto, sono le ondate di calore sempre più frequenti: quando la temperatura dell’acqua è troppo elevata i coralli espellono la loro alga simbionte, una zooxantella. E si verifica il cosiddetto “sbiancamento dei coralli”, cioè senza l’alga simbionte il corallo perde il suo colore e anche la possibilità di nutrirsi. Resta dunque una semplice impalcatura di carbonato di calcio. Se la temperatura dell’acqua, però, torna velocemente a livelli normali la simbiosi si ricompone e il danno è minimo. Quando invece l’ondata di calore persiste, allora il corallo muore e il suo scheletro verrà sbriciolato dal moto ondoso e dall’azione dei pesci pappagallo, diventando sabbia.

La seconda minaccia per le barriere coralline, invece, è più subdola e meno visibile: è l’acidificazione dei mari. Oggi gli scheletri calcarei crescono molto più lentamente rispetto a solo mezzo secolo fa, e in un futuro non troppo lontano potrebbero addirittura cominciare a dissolversi.
Per comprendere la gravità della situazione, dobbiamo aver chiara una cosa: per crescere e formare le famose barriere, i coralli costruiscono uno scheletro di calcite, la forma più comune di carbonato di calcio.

Da dove prendono questo carbonato di calcio (CaCO3)? Lo trovano disciolto nella colonna d’acqua, pronto come “mattoncino” da utilizzare. Ma in questo scenario si mette di mezzo l’anidride carbonica prodotta delle attività antropiche. Mari e oceani infatti assorbono circa il 25% dell’anidride carbonica prodotta, dandoci una grossa mano nel contrastare i cambiamenti climatici. Ma questo assorbimento determina l’acidificazione dei mari: abbassa il loro pH. In breve, l’anidride carbonica in mare reagisce con l’acqua formando acido carbonico, che a sua volta reagisce con i gruppi carbonato disciolti in mare, compreso il carbonato di calcio, che viene quindi sottratto ai coralli come “mattoncino” disponibile.

Dunque più aumenta la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera, più questa viene assorbita da mari e oceani, meno nella colonna d’acqua c’è carbonato di calcio disponibile per i coralli (e per molti altri organismi marini). E se il livello di CO2 in atmosfera dovesse raggiungere le 500 parti per milione (ppm), la calcificazione degli scheletri dei coralli diventerebbe impossibile.

Dal 1970 ad oggi «il tasso di crescita e di calcificazione delle barriere coralline è diminuito in media del 4,3% ogni anno. Mentre la copertura corallina si è ridotta in media dell’1,8% all’anno» scrivono gli autori. Un ritmo impressionante che potrebbe portarci a un punto di non ritorno. Come segnalato infatti anche da studi precedenti, dovremmo prepararci a dare un prematuro addio alle barriere coralline: tra il 2030 e il 2080, entro la metà del secolo, gli scheletri calcarei potrebbero cominciare addirittura a dissolversi per via dell’acidificazione dei mari.

Il riscaldamento dei mari e degli oceani è dunque una vera trappola mortale per le barriere coralline. E mentre molti animali come pesci e mammiferi marini possono provare a spostarsi verso acque più fredde, verso nord o più in profondità, per sfuggire alla calura, i coralli sono animali sessili che oltre che a determinate condizioni di pH e di temperatura, hanno anche bisogno di una determinata quantità di luce.

In ogni caso, qualche barriera sta provando lentamente a guadagnare qualche grado di longitudine. A non avere via di scampo, invece, pare sia la barriera corallina della Florida, stretta dai cambiamenti climatici in una morsa dalla quale difficilmente potrà uscire, come si legge sulle pagine Scientific Reports.

Secondo le nuove scoperte del Florida Institute of Technology e dell’US Geological Survey, infatti, le barriere coralline del paese non potranno compiere questa migrazione verso latitudini più elevate perché sono bloccate dalle ondate di freddo provenienti da nord, sempre più frequenti, che sbarrano loro il passaggio. Si trovano quindi intrappolate nelle acque tropicali, costrette a “bollire” in un mare sempre più caldo.

«Il numero di fronti freddi che da nord precipita in Florida è aumentato negli ultimi anni: la corrente a getto scende sempre più frequentemente verso sud, portando in Florida disastrose tempeste invernali e un clima molto freddo» ha specificato Lauren Toth, autrice principale dello studio e ricercatrice al St. Petersburg Coastal and Marine Science Center dell’US Geological Survey in Florida. «E sfortunatamente, gran parte dei coralli presenti qui è sensibile al freddo: basta che l’acqua raggiunga i 15°C di temperatura per farli morire». I coralli della Florida, in pratica, si trovano tra l’incudine e il martello: bloccati a nord dal gelo e condannati a “bollire” per via delle temperature in aumento.

La situazione non è già delle più rosee. Oggi in Florida resta solo il 2% della barriera corallina originaria: il resto è andato perduto per via delle ondate di calore, dei cambiamenti climatici e dell’inquinamento. Nel 2014 la National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) ha aggiunto 20 specie di coralli all’Endangered Species Act: la legge statunitense che protegge le specie a rischio di estinzione. Ben sette specie di coralli sono tra quelli presenti nelle formazioni coralline della Florida, come l’Orbicella annularis, classificiata come “in pericolo” dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura - IUCN, ma anche specie come il corallo a corno d’alce (Acropora palmata) e quello a corno di cervo (Acropora cervicornis), entrambi classificati come “in pericolo critico”.

E con le correnti fredde che eliminano ogni possibilità di migrazione verso nord, avvertono gli autori, la barriera corallina della Florida è destinata a estinguersi, con conseguenze ecologiche ed economiche disastrose.

Senza barriere coralline le coste della Florida saranno più esposte al moto ondoso, alle tempeste tropicali e agli uragani. Il turismo legato alle barriere coralline scomparirà, e con essa la pesca: sia per il consumo locale che per l’esportazione. Se insomma scomparissero le barriere coralline della Florida, secondo le stime della NOAA, andrebbero in fumo oltre 4,4 miliardi di dollari derivanti dalle attività turistiche e dalla pesca e si perderebbero oltre 70.000 posti di lavoro.

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