SCIENZA E RICERCA

Alla ricerca dell’echidna perduta

62 anni dopo il primo e unico ritrovamento arrivano nuove prove dell’esistenza di una specie che si credeva perduta.

Si tratta dell’Echidna dal becco lungo di Sir David Attenborough (Zaglossus attenboroughi), un simpatico abitante delle Montagne dei Ciclopi, nel nord della provincia indonesiana di Papua. Assieme all’ornitorinco e ad altre tre specie di echidna, è una delle cinque specie appartenenti all’ordine dei monotremi, sole custodi di una storia evolutiva unica e fragile iniziata 200.000.000 di anni fa.

Originariamente scoperta nel 1961 dal botanico olandese Pieter van Royen nell’area di Jayapura, identificata come specie a sé stante solo nel 1998, venne nominata in onore di Sir David Attenborough, il decano della documentazione della BBC che contribuì molto alla fama della grande biodiversità presente in Nuova Guinea.

“Ha le spine di un riccio, il muso di un formichiere e le zampe di una talpa”, così la descrive James Kempton, ricercatore dell’Università di Oxford e leader della Expedition Cyclops che nell’estate del 2023 si è resa protagonista di molte scoperte, prima tra tutte proprio quella dell’echidna.

“Il mio interesse per queste montagne e per l'echidna è nato circa quattro anni fa; trovavo elettrizzante l’idea delle specie perdute: ancora oggi vorrei potermi avventurare in un mondo in cui gli animali ormai estinti fossero ancora vivi”  racconta Kempton a Il Bo Live    “anche se potrei non sopravvivere a lungo”  aggiunge scherzando.

“Ci sono due ragioni principali dietro alla scelta dell’Echidna di Attenborough come focus della spedizione: la prima è che trovare un’altra specie ancora in vita appartenente all’ordine dei monotremi era una possibilità molto allettante; la seconda è invece legata al luogo dove è stata trovata precedentemente: le Montagne dei Ciclopi”. 

Queste montagne una volta erano isole nel mezzo dell’Oceano Pacifico, spiega Kempton, che in seguito allo scivolamento della Placca Australiana al di sotto di quella Pacifica hanno colliso con la costa settentrionale di Papua conferendole la forma che vediamo oggi. “Eravamo molto interessati a testare l’ipotesi che gli animali si siano diversificati indipendentemente su queste isole, prima di essere trasportati passivamente in Nuova Guinea dalla deriva dei continenti, e che questa sia la ragione di una così grande biodiversità presente sull’isola”

La Nuova Guinea è però sì terra di abbondanza ma anche di opposti; nonostante infatti si stimi che da sola ospiti circa il 7% dell’intera biodiversità mondiale pur occupando meno dell’1% delle terre emerse, è anche uno dei luoghi dove la perdita di specie si fa sentire di più: secondo uno studio pubblicato su Nature proprio lì si sono concentrate circa il 10% delle sparizioni mondiali di mammiferi e uccelli tra il 1996 e il 2008.

Fino a quest’estate si conoscevano solo quattro specie appartenenti all’ordine dei monotremi, sole custodi di una storia evolutiva unica e fragile iniziata 200.000.000 di anni fa. James Kempton, ricercatore presso l'Università di Oxford

“Nel caso dell’Echidna di Attenborough è ancora difficile dire se sia ecologicamente fondamentale per l’ecosistema dell’isola” osserva Kempton. Tuttavia, impegnarsi per proteggerla equivale a puntare i riflettori sulle Montagne dei Ciclopi, mettendole in risalto come prezioso ecosistema capace di ospitare fauna ancora sconosciuta: "Penso che questo avrà un impatto positivo per molte altre specie nella stessa regione contribuendo ad attirare nuovi finanziamenti e collaborazioni per la loro tutela e a costruire nuove partnership tra le organizzazioni interessate". La prima a implementare queste strategie di conservazione è stata Yappenda, una ONG con sede in Papua, che grazie all’attenzione generata dalla scoperta è già entrata in contatto con altre organizzazioni spianando la strada per nuove collaborazioni tra gli abitanti locali e gruppi internazionali.

Tra questi si trova anche la spedizione di Kempton che aveva tra i suoi obbiettivi primari quello di formare gli studenti dell’università indonesiana Cenderawasih nelle tecniche di sondaggio della biodiversità, in modo da farli diventare i futuri leader della conservazione in Papua. Tra questi studenti troviamo anche Gison Morib, una delle ultime aggiunte di Yappenda, il cui ruolo è quello di coinvolgere le comunità locali insegnando i comportamenti da adottare per tutelare il prezioso ambiente che le circonda e la loro stessa sopravvivenza. Ciò si rende necessario poichè la rapida crescita dei centri urbani, in particolare Jayapura e Sentani, sta attirando molti migranti in cerca di opportunità lavorative provenienti dagli altipiani centrali della Nuova Guinea; non tutti questi migranti però riescono sempre a trovare un’occupazione, così una parte di essi si vede costretta ad adottare gli stili di vita tradizionali tipici delle loro terre d’origine, come il disboscamento delle foreste per fare spazio alle coltivazioni di patate dolci e manioca, o come la caccia illegale di uccelli e mammiferi come casuari e canguri arboricoli; un approccio molto diverso dalle pratiche sostenibili che le comunità indigene hanno sviluppato nel corso dei secoli.

“Le Montagne dei Ciclopi sono una catena montuosa molto piccola e non saranno in grado di sostenere lo stesso livello di caccia e di deforestazione degli altopiani centrali”, continua Kempton.

Indispensabile per il successo della spedizione è stata la partecipazione dei tradizionali proprietari di queste terre: “Nello specifico abbiamo lavorato con la comunità del villaggio di Yongsu Sapari, che possiede una larga porzione di territorio sulla costa nord delle Montagne dei Ciclopi – spiega ancora il ricercatore – Ci hanno dato il permesso di fare ricerca sulla loro terra, anche in posti tradizionalmente sacri dove la caccia è tabù e solo pochi appartenenti alla comunità possono andare e ci hanno fornito un immenso aiuto nell’esecuzione delle nostre attività scientifiche”. Senza i collaboratori indigeni, insomma, la spedizione non sarebbe stata possibile, sia dal punto di vista scientifico che da quello logistico. Mentre infatti alcuni membri della comunità si occupavano fare da interpreti altri contribuivano al trasporto dell’equipaggiamento e a montare gli accampamenti oppure ospitando i membri del team nel villaggio stesso. Molto importante è stato anche il contributo nella gestione dei viveri in un contesto selvaggio, dove si sopravvive di una dieta molto povera a base di noodle, riso e pesce in scatola e dove bisogna attrezzarsi per filtrare l’acqua dei ruscelli e raccogliere quella piovana. La parte più fondamentale però è toccata a Zacharias e Samuel Sorondanya, le due guide locali, che avevano il compito di guidare la spedizione nella foresta, tracciando nuovi percorsi attraverso montagne inesplorate dove nemmeno i cacciatori indigeni più esperti si spingono.

Questo isolamento caratteristico del piccolo habitat dell’echidna di Attenborough è però un’arma a doppio taglio. Se infatti la topografia del territorio particolarmente scoscesa e accidentata scoraggia facilmente qualsiasi incursione umana e offre quindi in ottimo riparo naturale per le varie specie endemiche, è anche vero che rende anche molto complicate e rischiose tutte le iniziative di esplorazione scientifica. Trattandosi inoltre di un territorio ristretto, esso non può supportare una grande popolazione di echidna. Di questi pericoli ne sa qualcosa proprio Gison Morib, che si è ritrovato con una sanguisuga nell’occhio. “Nonostante i nostri sforzi per rimuoverla prima con una pinzetta, poi con una soluzione salina medica che ci eravamo portati, non si è staccata dall'occhio ed è rimasta lì per trentatré ore. Alla fine, abbiamo dovuto posticipare la spedizione e portarlo all’ospedale di Jayapura dove un’infermiera la ha rimossa con dell’etanolo.”

Nessuno è stato risparmiato dai continui morsi di sanguisughe e zanzare, e un membro del team ha anche contratto la malaria. A peggiorare le cose ci ha pensato l’umidità, facilitando le infezioni cutanee dovute a morsi e punture.

Ci sono molte sfide nella preparazione di una spedizione sul campo e questi sono tutti rischi che bisogna prevedere e mitigare accuratamente in fase di pianificazione – ci spiega Kempton – portare le giuste medicine è importante tanto quanto fissare gli obbiettivi di missione, assemblare la squadra e assicurare fondi e vari permessi per condurre la ricerca sul posto, trovare mezzi di comunicazioni affidabili con il modo esterno per le emergenze come un telefono satellitare e anche ideare i metodi con cui si andrà ad effettuare la ricerca.

Oltre all’Echidna di Sir David Attenborough, tra le molte altre scoperte della spedizione spiccano una specie di rana interamente nuova alla scienza, che per via della peculiare forma del suo naso è stata soprannominata dal team “rana dal naso di goblin”, e una nuova specie di gamberetto terrestre che vive nel suolo e sugli alberi a centinaia di metri d’altitudine sui versanti delle montagne, molto lontano dalle spiagge dove è normale trovarli.

In attesa di completare le analisi geologiche sui 75 chilogrammi di campioni di rocce raccolti e di pubblicare i risultati di Expedition Cyclops, James Kempton intanto sta già pianificando di tornare in Papua per continuare gli studi sulla popolazione di echidna e sulla sua distribuzione, e inoltre cercare nuovi dati sulla formazione dell’isola.

“Ho intenzione di fare nuove spedizioni in futuro per continuare a rispondere a questo quesito. È una questione scientifica molto interessante e fa parte di un discorso più ampio sul perché ci siano differenze nella biodiversità in tutto il pianeta. Trovare una risposta è importante sia per conoscere meglio il mondo che ci circonda, ma anche per aiutarci a preservarlo. Se sappiamo come la biodiversità è distribuita e perché è organizzata in quel modo, possiamo provare a prevedere come la sua distribuzione potrebbe cambiare in futuro in base alle mutevoli condizioni climatiche”

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