SOCIETÀ
Spinti e respinti: la sofferenza dei migranti in Grecia e l'inerzia dell'Ue
Frontiere d’acqua separano migliaia di disperati da una remota chance di salvezza. Acqua di mare, per arrivare alle isole dell’Egeo nordorientale, Lesbo e Kos. Acqua di fiume, l’Evros, per il confine naturale che separa in terraferma la Turchia dalla Grecia e dalla Bulgaria. Erdogan (in piena violazione dell’accordo con l’UE) spinge i migranti siriani verso l’Europa per interessi e ripicche personali (fondi europei promessi e a quanto pare non interamente ottenuti, ma soprattutto nella speranza di creare un’emergenza umanitaria tale da ottenere l’appoggio della Nato nella guerra che sta combattendo in Siria). La Grecia blinda i confini con l’esercito e con la popolazione che si solleva a difesa del territorio e per scongiurare l’invasione.
Questa la fotografia, vista dall’alto. Da questa distanza non si vedono le sofferenze, le violenze, la fame, i pianti, il freddo, le ferite inflitte ai profughi che a migliaia premono sui confini, perché lì si trovano, lì qualcuno li ha fatti arrivare, perché indietro non si può tornare, perché a Idlib, confine turco siriano (900mila sfollati, la metà dei quali sono bambini), la situazione è ben peggiore. La “politica”, con la p che diventa più piccola del minuscolo, non si occupa di questi particolari: preferisce giocare a scacchi con la sofferenza altrui. Ma la cronaca a volte impone di avvicinarsi un po’ di più, di mettere a fuoco qualche dettaglio, qualche primo piano. Come quello del presidente turco Erdogan, che ringhia compiaciuto: «L'Europa credeva che stessimo bluffando, ma quando abbiamo aperto le porte, i telefoni hanno ricominciato a squillare». O quello del premier greco Mitsotakis, che gli risponde a brutto muso: «La Turchia è il primo trafficante ufficiale di esseri umani». Oppure quelli dei più alti rappresentanti dell’Unione Europea (la presidente della Commissione, von der Leyen, il presidente del Consiglio, Michael e quello del Parlamento, Sassoli) che martedì scorso sono andati a visitare il confine greco sull’Evron e che dicono «Grazie alla Grecia per essere il nostro scudo» e «Chi cerca di mettere alla prova l’unità dell’Europa resterà deluso», per poi aggiungere «La Turchia non è un nemico e le persone non sono mezzi per raggiungere un obiettivo». E dunque? Come si risolve? Chissà…
Le ronde paramilitari dei militanti di Alba Dorata
Però, mettendo ancor più a fuoco l’obiettivo, si vede anche altro. Come il gommone carico di migranti che al largo dell’isola di Kos viene affiancato da due imbarcazioni della Guardia costiera greca che gli tagliano la strada, provocando una collisione, colpendolo con un’asta e sparando colpi in acqua a scopo intimidatorio. Di qui non si passa, è il messaggio. E non importa chi è a bordo. Magari altri bambini, dopo quello morto in un altro sbarco drammatico a Mitilene, il principale centro dell’isola di Lesbo. Stringendo un po’ più l’immagine, sempre sul versante greco del confine sull’Evros, si possono vedere i soldati dell’esercito, il filo spinato, gli scontri continui con i migranti che tentano di passare, i fumogeni, i lacrimogeni. Ma anche le centinaia di trattori degli agricoltori di quelle zone, con la bandiera greca a sventolare, che offrono aiuto per pattugliare la frontiera (qui un video). Magari aiutati dai militanti di Alba Dorata, la formazione greca di estrema destra, che sono corsi qui come forza paramilitare per catturare profughi (a quale titolo e con quali metodi non è dato sapere) e consegnarli alla polizia. «Siamo dei patrioti, come Salvini lo è in Italia», ha dichiarato Dinos Theoharidis, il “colonnello” di Alba Dorata, come racconta Nello Scavo, di Avvenire, in un reportage da brividi.
Questa la guerra che si sta combattendo: la Turchia spinge i profughi al confine (media greci riportano testimonianze di siriani che dichiarano di essere stati improvvisamente fatti uscire dalle carceri) e ricatta l’Ue. La Grecia alza muri e sospende per un mese (almeno) le richieste di asilo (ricevendo, tra l’altro, il plauso del presidente americano Trump). L’Unhcr (United Nations High Commissioner for Refugees) alza il dito e sostiene che la Grecia non può smettere di accettare le richieste di asilo, denunciando al tempo stesso «un eccessivo e sproporzionato uso della forza». Secondo l’Alto rappresentante dell'Ue, Josep Borrell: «Oggi tutto viene usato come un'arma, persino i migranti, che vengono lanciati contro le frontiere».
E l’Europa resta a guardare
Torniamo così alla domanda di prima: e dunque? Chi la risolve questa situazione? Non certo la Turchia, ma neanche la Grecia e i suoi rigurgiti xenofobi. Il pallino è nelle mani (fragili) di un’Unione Europea che appare sempre più incapace di prendere una posizione netta, ferma, autorevole. Scrive il New York Times: «Per l’UE si tratta di uno scontro morale imbarazzante con i suoi valori professati di protezione dei diritti umani, della dignità individuale e del diritto di chiedere asilo ai sensi del diritto internazionale. Ma è anche un problema profondamente politico, dato il modo in cui i populisti (Orban in Ungheria, Salvini in Italia e Alternative for Germany) hanno tratto profitto dal caos del 2015 e dall’afflusso in Europa di oltre un milione di persone, per lo più musulmane». E riporta anche il parere di Mark Leonard, presidente dell’European Council on Foreign Relations: «La completa assenza dell'Europa dalla geopolitica finisce sempre per essere molto costosa. L'Europa è di nuovo in piena modalità spettatore, incredibilmente passiva durante l’intera crisi di Idlib, che era prevedibile e prevista». Medici senza Frontiere chiede di «evacuare le persone dalle isole greche verso i paesi dell’Unione Europea». Potrebbe essere una soluzione, soprattutto per alleviare decine di migliaia di sofferenze. Ma non accadrà. «Abbiamo un piano per aiutare la Grecia», ha dichiarato il presidente del Parlamento Ue, Sassoli. «Oltre a un potenziamento di Frontex vi saranno 700 milioni di euro per l’emergenza». Un vertice Ue-Turchia potrebbe tenersi a breve a Sofia (anche la Bulgaria, in misura minore della Grecia, è coinvolta nella pressione al confine): l’obiettivo sarebbe far sedere Erdogan e Mitsotakis allo stesso tavolo per trovare una via d’uscita alla crisi.
Infine la denuncia dell’arcivescovo di Atene, Sevastianos Rossolatos: «La pressione di questa massa di povera gente è enorme». Poi l’accusa alla Turchia: «Dopo averli portati gratuitamente in bus e taxi a ridosso dei nostri confini, lascia i migranti a vivere in condizioni disperate: dormono all’aperto e non hanno alcun aiuto». Spinti e respinti. Lì nel mezzo, tra i volti disperati di quelle persone, di quei bambini, c’è l’immagine da non dimenticare.