Quello che si sta concludendo è stato un altro autunno caldo per gli incendi in California. Il Kincaide fire, il più vasto degli incendi divampato nello scorso ottobre, ha distrutto diverse centinaia di edifici bruciando più di trentamila ettari di territorio nella Sonoma valley, divenuta celebre per la produzione vinicola. Certo, niente di paragonabile a quanto accaduto un anno fa, con la distruzione totale della cittadina di Paradise e la morte di 85 persone, di gran lunga l'incendio più devastante nella storia dello stato americano, partito da un cavo elettrico spezzato dopo il crollo di un palo vecchio un secolo. E la peculiarità di quest'ultima stagione di incendi in California è stata proprio l'ondata ricorrente di blackout pianificati dalla utility energetica PG&E per prevenire o ridurre al minimo il rischio di incendi quando erano previsti forti venti e condizioni di bassa umidità. Il colosso energetico privato infatti, travolto dalle cause di risarcimento e dalle accuse di aver trascurato la manutenzione della propria rete di distribuzione, nel gennaio scorso ha dovuto avviare la procedura fallimentare, e ha cercato di ridurre al minimo le possibilità di essere la causa scatenante di nuovi incendi. Così a turno milioni di abitanti della Bay area tra ottobre e novembre si sono ritrovati per più giorni senza corrente elettrica, con forti disagi per la popolazione e danni per milioni di dollari alle attività produttive. E la California, epicentro dell'innovazione tecnologica e stato pioniere in fatto di legislazione sull'ambiente, oggi sembra smarrita di fronte al ripetersi negli ultimi anni di questo scenario (ecco una mappa interattiva degli incendi in California dal 1950 al 2018). Tanto da spingere un editorialista del New York Times come Fahrad Manjoo a sancire che “È la fine della California come l'abbiamo conosciuta”.
Per analizzare quello che sta accadendo in California abbiamo interpellato Chris Field, direttore dello Stanford Woods institute for the environment e docente di studi ambientali interdisciplinari all'università di Stanford.
Sedici dei venti incendi più distruttivi nella storia della California sono avvenuti negli ultimi vent'anni. Possiamo dire che i cambiamenti climatici hanno giocato un ruolo cruciale nel creare questo scenario di incendi più vasti e distruttivi?
Nella sequenza di incendi degli ultimi anni possiamo riconoscere chiaramente l'impatto dei cambiamenti climatici. Ma non dobbiamo trascurare almeno altri due fattori: la soppressione degli incendi che nel corso degli anni ha consentito l'accumularsi di grandi quantità di materiale vegetale combustibile, e poi il fatto che oggi molte più persone rispetto al passato vivono al confine tra aree selvatiche ed urbane. Quesi tre fattori insieme hanno generato l'incubo del rischio incendi che oggi dobbiamo affrontare.
Allo Stanford Woods Institute avete messo a punto un approccio sistemico nello studio e nelle misure di prevenzione e riduzione del rischio di incendi. In che cosa consiste?
Quando parliamo di incendi incontrollati (wildfires) affrontiamo una situazione complicata. Parliamo del rischio che corrono gli abitanti della zona di perdere le loro case, del rischio per gli ecosistemi, (quindi animali selvatici ma anche qualità delle acque e dell'aria). E poi c'è il rischio per il sistema climatico globale visto che un incendio sottrae carbonio stoccato nella vegetazione per rilasciarlo in atmosfera. E infine incendi di questa portata creano rischi anche a grande distanza, esponendo milioni di persone a particolati nocivi per la salute umana. E anche una delle migliori soluzioni tecniche oggi a nostra disposizione, gli incendi controllati, possono avere queste conseguenze sul clima e sulla salute. Quindi per cercare davvero delle soluzioni a questo problema dobbiamo tenere a mente tutti questi fattori insieme. Per questo nel gruppo di FIRE lavorano insieme esperti in fisiologia per gli impatti sulla salute, esperti di sostanze chimiche ritardanti che possano diminuire il rischio che si inneschi un incendio, ma anche esperti di comunicazione che lavorando con le comunità locali le aiutino a comprendere meglio i livelli di rischio e a decidere se continuare a vivere in quella zona o trasferirsi.
Se gli incendi controllati rimangono comunque uno degli strumenti più importanti per ridurre il rischio di vasti incendi così distruttivi, qual è il motivo per cui non vengono incrementati?
Attualmente in California è attivo un programma di incendi controllati, più diffuso sulle aree forestali di proprietà federale e molto più limitato in quelle statali o private. E ci sono diversi fattori che ne limitano la diffusione: l'impatto sulla qualità dell'aria, ma anche decidere a chi spetta la responsabilità finanziaria nel caso finiscano fuori controllo. E poi è necessario cambiare la gestione forestale perché anche in aree dove sarebbero opportuni incendi controllati, negli anni si è accumulato talmente tanto combustibile (alberi crollati, rami, piccoli alberi) che farebbe degenerare l'incendio. In generale però siamo convinti che dovremmo incrementare significativamente la quantità di terreno da sottoporre con regolarità a incendi a bassa intensità, almeno di un fattore 10 se non forse 100. E questo significa operare un cambiamento culturale. Tenendo a mente che prima che iniziassimo a sopprimere gli incendi, circa un secolo fa, molte di queste aree bruciavano regolarmente ogni 5-10 anni.
Uno dei macigni più ingombranti attualmente sulla via della riduzione del rischio incendi qui in California è però l'intricata situazione della società energetica PG&E. Che soluzioni vede all'orizzonte?
In California abbiamo un rapporto travagliato con la società fornitrice dell'energia elettrica, che è attualmente in procedura fallimentare. La rete è vetusta e aumenta la probabilità che con i forti venti che spirano tipicamente nel tardo autunno si verifichino crolli di pali e tralicci che fanno da innesco a nuovi incendi. Ci sono diversi modi per uscire da questa situazione: una possibilità è interrare i cavi come si fa in molti paesi, ma è una soluzione molto costosa. Un'alternativa è riprogettare una rete elettrica più intelligente, in grado di isolare velocemente – e poi far tornare operative altrettanto rapidamente - delle aree della rete più circoscritte possibili.
Quali effetti sulla salute state monitorando?
I miei colleghi hanno rilevato segnali evidenti di impatti a breve termine nell'esposizione al particolato degli incendi, per esempio ricoveri ospedalieri per attacchi d'asma, ma stanno studiando gli effetti a più lungo termine sul sistema cardiocircolatorio e immunitario (come raccontato di recente anche da Nature, ndr). La cosa impressionante è come un'area relativamente limitata colpita da un incendio possa generare fumi che si disperdono per centinaia di chilometri e impattare su decine di milioni di persone. L'anno scorso in vaste aree della California la qualità dell'aria è per stata per molti giorni simile a quella tipica di Delhi o di Kathmandu.
Insomma, anche secondo lei la California non è più quella di una volta?
Sono nato e ho vissuto qui la maggior parte della mia vita. E penso che nonostante tutti i problemi la California rimanga un posto meraviglioso dove vivere. Rispetto a qualche decennio fa oggi viviamo in una zona climatica diversa, che ci pone grandi sfide. Ma io credo che saremo in grado di venire a capo del problema degli incendi. Una delle cose che amo di più della California è che a tutti i livelli, dall'ufficio del governatore alle comunità locali e ai gruppi di attivisti, si vede un impegno reale e concreto ad affrontare i cambiamenti climatici, sia diminuendo le emissioni che preparando le comunità ad affrontare nel modo migliore le conseguenze inevitabili. Non risolveremo il problema rendendo le vite delle persone peggiori, ma dobbiamo creare piuttosto opportunità per migliorare le vite delle persone mentre cerchiamo di risolvere i problemi ambientali. Aggiungo che, a livello più globale, sono fortemente ispirato dai movimenti giovanili, anche se sono ben consapevole delle difficoltà di operare cambiamenti a livello di sistema. E credo che il problema più grosso oggi sia la mancanza di una leadership sui temi ambientali del governo degli Stati Uniti, che in quanto nazione più ricca e storicamente responsabile della maggiore quota di emissioni di gas serra ha profonde responsabilità.