Alle mie spalle, all’interno del museo di Scienze archeologiche e arte dell’università di Padova, potete vedere il flauto di Pan con la storia di Pan che insegue la sua ninfa che si nasconde, trasformandosi in un canneto. Chi è la ninfa di cui si innamorano spesso anche gli scienziati? La verità.
Parto da qui per commentare un articolo uscito su Nature human behavior dal titolo “Dobbiamo aspirare a una maggiore umiltà intellettuale nella scienza”. Si racconta che il modo con cui vengono comunicate le scoperte scientifiche sono mediamente raccontate sempre in modo più eclatante, esagerato: “Viviamo un’epoca che ama le storie chiare, edificanti e molto forti – dice l’articolo - Ci piacciono sempre di meno quelle più oneste e più dubbiose”. E così non va bene, perché la comunicazione tende a sfociare nella promozione di sé, tanto più quanto meno lo scienziato è affermato.
L’articolo spiega che in 50 anni di ricerche pubblicate il linguaggio dell’understatement è andato a calare a favore dell’overstatement. Questa tendenza va contro un principio importante dell’etica scientifica chiamato “disinteresse”: quando comunichi i tuoi risultati devi cercare di essere sempre distaccato, di fare l’avvocato diavolo di te stesso.
Ci vuole, come etica della scienza e per i problemi che ha il metodo scientifico, molta più umiltà intellettuale nel comunicare i dati. Significa essere trasparenti sui limiti del proprio lavoro, traendone anche le conseguenze. Poi, il pezzo si conclude con una serie di raccomandazioni: dal titolo che non deve implicare affermazioni troppo forti. L’introduzione non deve essere esagerata, così come non devono essere selezionate le citazioni per far risaltare l’originalità del proprio lavoro e via dicendo. Una lista interessante per praticare questo elemento fondamentale della scienza: l’umiltà intellettuale.