Versatile, naturale, ecologico: il legno sembrerebbe la quintessenza del perfetto materiale green, rinnovabile e a basso impatto ambientale. Certo c’è la deforestazione, ma a questo riguardo si risponde che basta proteggere le aree a maggior tasso di biodiversità e ripiantare gli alberi nelle altre. C’è infine il problema del rilascio dell’anidride carbonica nell’ambiente, ma anche in questo caso si obietta che questo sarebbe ampiamente compensata dalla rigenerazione delle aree boschive; alcuni studi hanno anzi sostenuto che l’impiego del legno (in particolare per la confezione di prodotti a lunga durata e come materiale da costruzione, meno per la produzione di energia) avrebbe addirittura un effetto complessivamente positivo sui cambiamenti climatici.
Tutto bene dunque? Niente affatto, stando all’articolo recentemente pubblicato su Nature dall'équipe di ricercatori del World Resources Institute di Washington DC (Stati Uniti). Secondo la ricerca firmata da Liqing Peng, Timothy D. Searchinger, Jessica Zionts e Richard Waite, l’utilizzo su scala industriale della cellulosa sarebbe infatti tutt’altro che sostenibile e carbon neutral. Conclusione che tra l’altro mette in discussione uno strumento spesso utilizzato dagli enti governativi per sminuire l’impatto ambientale delle proprie economie: le linee guida dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) consentono infatti di tener conto nei propri bilanci sulle emissioni di CO2 anche dei cambiamenti nelle riserve di carbonio presenti nelle “foreste gestite”, che allo stato attuale rappresentano i tre quarti delle superfici boschive del pianeta.
Scelta che privilegia i Paesi più ricchi, che negli ultimi anni hanno visto aumentare l’area delle foreste a causa dell’abbandono di terreni agricoli, mentre nella fascia tropicale si ampliavano a dismisura le grandi monocolture. La critica mossa dai ricercatori statunitensi è che però in questo modo non vengono riportati accuratamente gli effetti della raccolta del legno, soprattutto per la ragione fondamentale che la ricrescita delle foreste, che in teoria dovrebbero compensarne gli effetti, avverrebbe anche senza intervento dell'uomo.
Come si intuisce, la questione tocca la gestione della crisi climatica a livello globale, con forti ricadute a livello di politiche pubbliche e imprese. A questo riguardo lo studio propone una stima degli effetti della raccolta del legno sul ciclo del carbonio dal 2010 al 2050 in diversi scenari di domanda e offerta, utilizzando un modello globale denominato CHARM (Carbon HARvest Model), basato su un approccio che considera lo spostamento del carbonio tra diversi pool di stoccaggio: dalla vegetazione ai diversi prodotti in cui è utilizzato, fino alle discariche. Il punto di partenza è che, su base globale, la domanda di legno dovrebbero aumentare del 54% tra il 2010 e il 2050, ovvero da 3,7 a 5,7 miliardi di metri cubi, con un +69% nei prodotti a lunga durata (LLP), +128% nei prodotti a vita breve (SLP) – soprattutto carta e cartone – e +22% e +91% nei prodotti a vita brevissima, come biocarburanti e scarti destinati ad essere comunque utilizzati come biomasse nelle centrali. Nel complesso l’industria del legno comporterebbe in media nel periodo considerato l’emissione di una quantità di anidride carbonica che andrebbe dalle 3,5 alle 4,2 gigatonnellate annuali a seconda degli scenari considerati, dalle quali scomputare dalle 0,8 alle 0,9 gigatonnellate di “benefici di sostituzione”, intesi come minori emissioni rispetto all’utilizzo per le stesse finalità di materiali come cemento, acciaio e combustibili fossili.
Si tratta comunque modo di più del 10% delle recenti emissioni annuali globali di anidride carbonica, una quantità tre volte superiore a quelle derivamnti del trasporto aereo: un dato insomma tutt'altro che trascurabile. In generale nel modello proposto i benefici derivanti dalla ricrescita delle foreste e dal rimpiazzo degli stock naturali sono decisamente sottostimati rispetto ai modelli tradizionali, e se incontrassero il consenso della comunità scientifica costringerebbero a un profondo ripensamento delle attuali politiche per il contrasto ai cambiamenti climatici e all’aumento dei gas serra. Soprattutto, anche secondo un altro studio pubblicato su Science, bisogna smettere di considerare l’esistenza e la crescita delle foreste come una motivo per continuare a produrre CO2 in altri modi, ma piuttosto agire fortemente sull’abbattimento degli attuali livelli di emissione. Gli alberi non possono più essere una scusa per inquinare.