SOCIETÀ

L’evoluzione e la fermentazione delle specie intorno ai sapiens, il caso del vino

Date un’occhiata alla prossima etichetta della bottiglia di vino che berrete, per cortesia! Bianco o rosso. Rosato o bollicine, che sia. L’8 dicembre 2023 è entrata in vigore una nuova normativa europea e dovrebbe essere diversa da quella degli ultimi decenni, qualunque sia la forma della bottiglia e la denominazione di origine più o meno controllata. Ci devono essere scritti gli ingredienti, come vada scritto ancora non si è capito bene. La normativa oggetto della svolta e poi della recente diatriba è il Regolamento (Ue) 2021/2117 pubblicato il 6 dicembre 2021 che prevede l’obbligo, a partire dall’8 dicembre 2023, di applicare un’etichetta contenente tutti gli ingredienti e tutti i valori nutrizionali dei vini e dei prodotti vitivinicoli aromatizzati. Prima di alcune novità ufficializzate negli ultimi giorni, la legislazione concedeva ai produttori la possibilità di visionare la dichiarazione nutrizionale e l’elenco degli ingredienti in modo completo ed esaustivo tramite QR-code, fatto obiettivamente discutibile.

Comunque sia, in qualche modo dal dicembre 2023 le etichette di vini e di prodotti vitivinicoli aromatizzati commercializzati nell’Unione Europea dovranno contenere sia la dichiarazione nutrizionale ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, lettera l), del regolamento (UE) n. 1169/2011 sia l’elenco degli ingredienti ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (UE) n. 1169/2011. In particolare, i valori nutrizionali dovrebbero fornire informazioni relative al potere calorifico dei vini e degli altri prodotti vitivinicoli aromatizzati, oltre che grassi, zuccheri, carboidrati, sale e proteine (ormai come in tutte le etichette da molti anni). Un’attenzione specifica sarebbe prestata all’indicazione di eventuali sostanze che possano provocare allergie e/o intolleranze. Tenendo conto delle limitazioni ovvie di tali indicazioni, e cioè che un numero così corposo di indicazioni è complicato da inserire all’interno di un’etichetta poco “spaziosa”, l’Unione Europea sembrava aver concesso a produttori e venditori di avvalersi di mezzi elettronici per adempiere agli obblighi previsti, cioè i QR-code. Sarebbe rimasto obbligatorio l’inserimento in etichetta solo del valore energetico dei vini e degli allergeni utilizzati.

Il 24 novembre scorso la Commissione Europea ha dato un’ultima interpretazione che ribadisce la necessità di molte informazioni direttamente sull’etichetta e non si sa ancora bene se le 50 milioni di etichette dei vini italiani (in larga parte già stampate) la rispetteranno. Il 30 novembre il ministero competente, il Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste (MASAF) ha emanato una circolare esplicativa, fornendo ulteriori indicazioni di chiarimento anche per la fase di controllo. Ma la situazione concreta è tutta da verificare, anche con l’aiuto di dettaglianti e consumatori. In particolare, sarà da valutare bene la tempistica di annotazione nel registro telematico dei prodotti vitivinicoli che alla data dell’7 dicembre 2023 risultino conformi alle definizioni merceologiche previste dal Regolamento OCM e che, come tali, potranno andare in deroga rispetto alle nuove regole d’etichettatura.

Date un’occhiata alla vostra etichetta, se vi capita dunque, e magari cogliamo tutti pure l’occasione per ragionare un poco sull’evoluzione del vino che amiamo, sulla specie madre e sul tipo o sui tipi di vitigno interessati, sulla lunga fase di trasformazione dell’analcolica uva in liquido odoroso alcolico e su uno dei fenomeni naturali più interessanti da millenni (di cui comunque non si troverà traccia sull’etichetta). Una delle manifestazioni più affascinanti della vita sulla Terra è proprio la fermentazione, frutto del suolo, dei lieviti e del lavoro umano: pane, birra, vino ne sono i prodotti più noti e imperituri. I due liquidi hanno effetti euforizzanti e divennero decine di migliaia di anni fa, agli albori delle pratiche fermentative, un elemento centrale dei comportamenti comunitari, anche bellici e religiosi, soprattutto fra le civiltà e i popoli dei nostri mari mediterranei intercontinentali. L’alimento fermentato non si coglie e mastica, ha bisogno di una attività umana intermedia, va considerato un “prodotto secondario” rispetto al primario lavoro di agricoltura e allevamento. Per certi versi, risulta così anche per la cottura, tuttavia il pezzo animale e vegetale dopo un po’ di arrostimento sul fuoco è più o meno lo stesso di quello precedente alla cottura.

La fermentazione impone, invece, attività antropiche e metaboliche più lente e complesse, in cui intervengono altri fattori fisici e chimici: occorre un vero e proprio “doppio” lavoro non solo da parte umana (per preparare e assistere) in modo di ottenere qualcosa di completamente diverso dopo, un cibo originale, commestibile e gradevole, con varie utilità o rischi, comunque l’aspetto decisamente diverso ed effetti ulteriori. A partire dalla differente storia mondiale di vigne, uve, mosti e vini, già si è parlato a inizio 2023 di alcune nuove scoperte sull’evoluzione della viticultura da parte dei sapiens. Vi erano stati anche rilevanti saggi di scienziati sulla geografia e sulla storia dei primi vini e delle prime birre, segnaliamo in particolare gli interessanti volumi scritti (bevendo insieme e condividendo l’amore per i vini italiani) dal biologo molecolare Rob DeSalle e dall’antropologo Ian Tattersall: i saggi del 2013 Il tempo in una bottiglia. Storia naturale del vino e del 2019 Storia naturale della birra, editi tempestivamente entrambi da Codice Edizioni (traduzioni di Sonia Cambursano e Gianni Pannofino). Via via è emerso che sia il pane che il vino non sono una delle conseguenze alimentari del Neolitico inoltrato, alcuni di noi avevano cominciato prima a goderne, in zone dell’Eurasia e anche su anfratti territoriali dell’attuale Italia.

Da migliaia di anni prima della svolta agricola e stanziale (comunque non lineare e controversa), successiva alla fine dell’ultimo periodo glaciale, la semplice formula era già nota ad alcuni saggi nostri progenitori: zuccheri (soprattutto in cereali e frutta) + lieviti (funghi, ovunque) = alcol + anidride carbonica. Partendo dai messaggi chimici di tipo alcolico emessi dalla frutta matura verso antenati primari frugifori, emersero presto ulteriori piaceri squisitamente umani. Già erano emerse tracce di pane nel Paleolitico. Ora gli archeologi stanno sempre più retrodatando anche i vigneti, sia l’apparizione della specie vegetale (le uve “da tavola”) che l’intervento umano capace di “cibarsi” in vario modo del processo fermentativo (i vini). Nel loro testo DeSalle e Tattersall segnalavano la scoperta di indizi di fermentazione alcolica (naturale o prodotta dall’uomo?) datati tra 7400 e 7000 anni fa in Iran, esistenza di vere e proprie cantine (strutture per la produzione di vino) circa 6000 anni fa in Armenia. Secondo loro, la birra viene prima del vino: la birrasarebbe probabilmente la bevanda alcolica più antica al mondo e certamente la più importante sul piano storico. I due scienziati ci raccontarono tutto sulla scienza, compresi gli aneddoti: dalle prime rudimentali pratiche di fermentazione dei sumeri fino al rinnovato amore per la produzione artigianale nell’America di oggi, il loro testo è sorprendentemente ricco di storie intriganti e curiose, narrate con acume e divertimento.

Ecologia, primatologia, fisiologia, evoluzione, chimica, archeologia, sociologia, fisica, neurobiologia sono ormai noti: perché iniziammo a bere la birra, le combinazioni di ingredienti per l’inconfondibile gusto, come il nostro corpo la metabolizza. Il vino, da parte sua, va studiato ancor meglio, occorre abbinare una storia vegetale del nostro continente. E, per gustarlo meglio, è bene sapere cosa ci mettiamo in bocca: il vino è insieme cibo alimento bevanda, prodotto di fattori biotici e pratiche umane, linguaggio diffuso in tutta la terra e lingua geograficamente determinata, materia di storia culture mito. La vite è una pianta molto sensibile al clima e il complesso fenomeno migratorio di questa pianta parte da lontano, così pure i tentativi di decifrare come, quando e dove sono state addomesticate le viti da vino e da tavola. Alcune risposte a queste domande di lunga data sono adesso arrivate dallo studio recente pubblicato dalla rivista Science che gli ha dedicato anche la copertina a marzo 2023 (ripresa in un breve articolo interno della versione italiana Le Scienze, volume 379 nel dicembre 2023): Autori Vari, Dual domestications and origin of traits in grapevine evolution.

Grapevine è la Vitis vinifera, connessa alla vite selvatica Vitis sylvestris. Le viti selvatiche più antiche crescevano tra 400.000 e 300.000 mila anni fa e, causa clima, si separarono circa 200.000 anni fa in due principali linee genetiche, l’occidentale (attuali Portogallo, Spagna e Francia) e l’orientale (attuali Israele, Siria, Turchia e Georgia), che si diffusero spontaneamente nell’Eurasia e, in qualche caso, si estinsero o si separarono ancora, a causa di climi troppo freddi o troppo aridi, oppure vennero trovate dalle specie umane lì immigrate o emigrarono insieme alle specie umane in movimento. Soprattutto come cibo non fermentato da tavola, ma forse non solo. Dopo l’addomesticamento oltre 10.000 anni fa, coltivazione e incroci successivi portarono ad almeno sei linee geografiche di discendenza che, in linea di massima, costituiscono i vitigni arrivati fino a oggi, con in Europa almeno quattro gruppi geneticamente distinti e la conseguente enorme varietà storica, geografica, culturale e tecnologica di vinificazioni.

Il gruppo di ricerca, coordinato da Yang Dong dell’università di Yunnan e dal Laboratorio di genomica vegetale di Shenzhen con la collaborazione di decine di studiosi, alcuni italiani (Gabriella De Lorenzis Università di Milano; Fabrizio Grassi, Milano-Bicocca; Francesco Sunseri, Mediterranea di Reggio Calabria; Francesco Mercati Istituto di bioscienze Cnr di Palermo) riporta ora i risultati della più vasta analisi genetica mai condotta sulla vite, con un dataset finale di 2.448 genomi di vitigni unici (a partire da oltre 3.500 sequenziati), raccolti da 23 istituzioni in 16 Paesi del mondo. Emerge che le prime “domesticazioni” della pianta, da tavola e da vino, finora inserite in un discreto guazzabuglio di difficile decifrazione, risalgono a circa undici mila anni fa, grazie a due differenti eventi, separati geograficamente di circa mille chilometri, avvenuti non solo nella regione delle odierne Armenia, Georgia e Azerbaigian (come era noto, anche da fonti storiografiche, seppur collocato in un tempo più vicino a noi), bensì anche in Asia occidentale e meridionale.

Nel Pleistocene il clima rigido determinava la separazione degli ecotipi di uva selvatica con una continua frammentazione degli habitat. Circa 11.000 anni fa l'addomesticamento avvenne contemporaneamente in Asia occidentale e nel Caucaso con la produzione di viti prima da tavola e poi da vino. La pianta “addomesticata” migrò dall’Asia occidentale, nei millenni successivi disperdendosi in Europa con i primi agricoltori aventi al seguito antichi ecotipi selvaggi occidentali, diversificandosi successivamente nel tardo Neolitico lungo i sentieri della migrazione umana in in antenati della specifica uva da vino occidentale. Le analisi dei tratti di addomesticamento rivelano anche nuove intuizioni sulla selezione per l'appetibilità delle bacche, l'ermafroditismo, il sapore di moscato (ricco di zuccheri) e il colore della buccia delle bacche. Questi dati dimostrano il ruolo della vite nell’inizio dell’agricoltura in tutta l’Eurasia. L’origine del vino in Europa nascerebbe successivamente, quindi, dall’incrocio tra le viti selvatiche di queste regioni e le uve domesticate del Vicino Oriente, inizialmente utilizzate solo per il consumo fresco (uva da tavola), stabilendo quattro grandi gruppi di viti coltivate in Europa lungo le rotte migratorie dell’uomo. Molto dipese poi dalle successive migrazioni umane e dai crescenti scambi commerciali, oltre che da usi e costumi delle varie comunità umane.

I ricercatori hanno sequenziato il DNA del progenitore selvatico, comparandolo con il DNA dei circa 3.000 campioni raccolti in tutto il mondo, identificando così anche alcuni geni, relativi a sapore, colore e consistenza dell’uva, che forse potrebbero aiutare i viticoltori ancor oggi a migliorare i prodotti e a rendere le varietà attuali più resistenti ai cambiamenti climatici. Si tratta di un lavoro corposo, frutto di un'ampia collaborazione internazionale a cui hanno preso parte ricercatori che hanno esaminato i genomi di migliaia di viti raccolte da tutta l’area terrestre eurasiatica e hanno scoperto che il primo addomesticamento delle uve selvatiche sarebbe avvenuto circa 11 mila anni fa, forse proprio al termine dell’ultima era glaciale, dunque connesso all’esordio di nuove condizioni climatiche (più miti e stabili con l’Olocene) e ben 4000 anni dopo rispetto a quanto ritenuto da alcuni precedenti studi.

L'origine del vino nell'Europa occidentale è associata alla fecondazione incrociata (introgressione) tra le tipologie selvatiche dell'Europa occidentale e le uve domestiche originarie del Vicino Oriente che erano inizialmente utilizzate come fonti alimentari. Il continuo reincrocio con varietà selvatiche locali ha probabilmente reso le viti più resistenti alle malattie e più tolleranti agli stress idrici, ma al tempo stesso anche meno idonee per usi diversi dalla vinificazione. Questi adattamenti, indispensabili in risposta alle condizioni climatiche delle zone più aride, avrebbero quindi fatto acquisire più rilevanza alla produzione del vino in alcune zone di espansione umana. La funzione antropica all’interno del triangolo virtuoso tra luogo, vitigno e memoria dovrebbe essere quanto più vicino alla “custodia”: una condotta rispettosa della terra e del vigneto, una cura del ciclo delle specie fra suolo, piante e animali (senza trattamenti chimici), un mosto sano, un processo fermentativo senza lieviti aggiunti né filtrazione.

Oggi il riscaldamento globale ha già cominciato a modificare la geografia delle produzioni vitivinicole, con effetti negativi su tanti territori tradizionalmente vocati e inaspettate opportunità per aree che in passato erano troppo fredde per poter ospitare vigneti. La vite ha accompagnato l'uomo lungo la rotta delle migrazioni sin da tempi molto remoti, adesso il rischio è di dover spostare i vigneti dalle aree in cui sono tradizionalmente più radicati e in cui hanno assunto un valore rilevante anche dal punto di vista economico, oltre che sociale e simbolico. La non lineare evoluzione storica e geografica del vino (da millenni a questa parte) è conoscenza indispensabile per chi coltiva e per chi consuma. Così, per esempio, la stessa sostituzione del piede franco con quello americano (per difendere le viti europee dal mortale attacco della filossera) andrebbe considerata una scelta giusta e indispensabile, ma non definitiva; il Novecento potrebbe essere un secolo di passaggio e il futuro di un enorme piacevole salubre consumo del vino non tutto già scritto. Del resto, ogni specie animale è materia viva composta perlopiù da acqua, noi umani almeno per il 70%; per sopravvivere conta più bere che mangiare; non si “mangia” se non si beve prima durante e dopo, almeno un poco d’acqua; il vino è un cibo.

I cibi fermentati sono pertanto sia solidi che liquidi; e la componente alcolica è questione rilevante (eventuale ma cruciale) dell’alchimia “alimentare” di ogni dieta, si guardi o meno al peso di chi “mangia”. Quando scriviamo di vino scriviamo di cibo, noi stessi talvolta non lo sottolineiamo abbastanza. Un sistema più biodiverso è più resiliente!Insomma, impariamo a frequentare meglio le viti oltre che il vino. Bere con piacere e moderazione vino a ogni pasto va messo in relazione con gli ecosistemi di produzione e di vita (in generale e vicino a noi), personalmente da consumatori con l’insieme degli zuccheri e dei carboidrati, delle calorie e dei grassi, dei gusti e degli spiriti di ogni alimentazione. A livello sia individuale che sociale. In qualsiasi momento o pasto della giornata, qualunque cosa si sia fatto prima e si debba fare dopo, aprire la bocca e ingerire cibo è questione liquida prima e più che solida, da cui dipendono piacere o umore, benessere e socialità. Partiamo di qui quando parliamo e scriviamo di dieta mediterranea!

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012